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LE CINQUE VIE DI SAN TOMMASO D’AQUINO (terza parte)

Posted by on Nov 26, 2017

LE CINQUE VIE DI SAN TOMMASO D’AQUINO (terza parte)
  • 5° – perenne validità delle vie tomiste

Sulle vie tomiste è abbastanza diffuso un certo scetticismo che in primo luogo dipende dalla confusione tra valore logico ed efficacia psicologica di un argomento. È vero che probabilmente nessuna persona avrà creduto in Dio in virtù di una dimostrazione filosofica, ma, appunto, qui il centro del problema non è l’efficacia psicologica degli argomenti tomisti, bensì il loro valore logico. Il vero problema è vedere se un uomo che ha già la fede possa dare di essa anche una giustificazione razionale o sia costretto a rimanere chiuso nel soggettivismo delle sue impressioni del: io sento, mi piace….

La fede è un atto umano, anche se deriva dal dono e dal privilegio divino, ma l’uomo non deve credere se non ha valutato opportunamente che deve farlo, per questo la ragione è una ancella della fede, come la filosofia lo è della teologia. Accertatosi che l’oggetto della propria fede non è assurdo, ma credibile, l’uomo apre il suo cuore a Dio, gli dà il suo sì, l’assenso della sua fede, che a questo punto non può definirsi un salto nel buio. Altri accusano le vie tomiste di essere legate a teorie scientifiche oggi sorpassate (dicono in malafede, loro!), ma in esse in realtà è molto più evidente il carattere metafisico delle argomentazioni che quello scientifico, e se sono state accompagnate in San Tommaso da teorie scientifiche che oggi accantoniamo ciò non le rende dipendenti da esse. Invece, al di là di tutti i corollari, le cinque vie vogliono dimostrare che il mondo dell’esperienza non è davvero pensabile se non in rapporto a Dio. Come aveva intuito lo stesso Hegel nella “Enciclopedia”. Un terzo motivo di sfiducia molti lo vedono nella molteplicità delle vie, perché pensano che una sola dovrebbe essere la dimostrazione dell’esistenza di Dio, ma questo potrebbe essere solo se di Dio noi ne avessimo già un concetto, cosa che possiamo farci, invece, solo alla fine di una ricerca razionale basata sulla esperienza, la sola che ci offra il pensabile. Per cui le vie suppongono che l’uomo non abbia il concetto di Dio prima di averne dimostrata l’esistenza. O meglio, un concetto di Dio nell’uomo esiste, almeno a livello di senso comune, che dovrà essere poi verificato e purificato da una ricerca più approfondita seria ed onesta.

Le cinque vie partono dunque da ciò di cui si ha esperienza e approdano al punto di dire che ciò di cui abbiamo esperienza non potrebbe esistere se non esistesse un’Altra realtà che chiamiamo Dio. Il presupposto delle vie è che il contraddittorio sia anche impossibile, perché se la realtà si esaurisse tutta e solo in ciò di cui si ha esperienza resterebbe contraddittoria perché esige l’esistenza di un Altro come condizione della sua esistenza. Vediamo, perciò, come la contingenza costituisce il punto di arrivo e non di partenza delle vie tomiste. Perché se noi cogliessimo subito tale contingenza della realtà ne coglieremmo subito anche la dipendenza da un Altro.

Le cinque vie non si propongono questo, ma intendono scoprire cinque segni diversi di contingenza, proprio perché noi non intuiamo immediatamente la dipendenza delle cose da un altro (da Dio), dobbiamo andare in cerca di questi segni, dobbiamo interrogare le cose sotto diversi aspetti. Punto di avvio delle cinque vie è invece  costituito dal problema del moto, prima e più manifesta via di accesso all’esistenza di Dio.

Una caratteristica che vale la pena sottolineare a proposito delle cinque vie è che a differenza della  critica kantiana, le vie non arrivano alla affermazione della esistenza necessaria di un “X” che non si sa cosa sia, ma arrivano alla esistenza di una realtà (X) già determinata da un certo numero di attributi che abbiamo visto sono:

  • indivenibilità o Atto Puro
  • la Causa Prima
  • la Necessità
  • il Sommamente Perfetto
  • il Solo Intelligibile

Tali attributi non vengono appiccicati alla essenza facendo surrettiziamente ricorso alla prova ontologica, ma vengono inferiti da una realtà che per essere spiegata esaurientemente ha bisogno di un essere con quelle caratteristiche, altrimenti resta nella sua assurdità. Con queste vie, dunque, non abbiamo l’intuizione di Dio, non conosciamo la ragione per cui Dio è; ma conoscendo il mondo, che pur si dimostra intelligibile e scoprendo in esso certi sintomi: che è provvisorio; che non ha in se la sua spiegazione; per tutto questo rimanda ad un Altro che, per spiegare tale realtà conosciuta, dovrà avere certi attributi, come abbiamo visto, i quali in un certo modo aprono la strada all’accoglienza di Dio, quanto nel fatto che esse indicano il procedimento che ogni uomo pensante può seguire nell’elevarsi a Dio. Un’altra difficoltà che può trovare l’accoglienza delle vie tomiste la possiamo vedere nella critica al principio di causalità che insieme a quello di non-contraddizione fonda la base delle vie tomiste, critica già di Hume e Kant.  La negazione di questo principio emerse, come logica conseguenza, quando all’inizio della filosofia moderna si cominciarono a trovare pregiudizi sul valore delle nostre conoscenze.

Hume dice che è oggettiva solo quella conoscenza derivata dai sensi i quali perciò percepiscono solo la successione dei fenomeni, non il loro nesso causale, il quale invece deriva dall’abitudine soggettiva umana ad abbinare i fenomeni successivi;

Kant, anche per lui il p.d.c. non ha valore oggettivo ma solo soggettivo in quanto che esso è una legge stabilita dalla mente e non attinta dalla realtà perché la nostra conoscenza sensitiva è di enti singolari i quali possono darci materia solo per giudizi particolari e non universali.

Contro entrambi diciamo che la nostra conoscenza oggettiva non è limitata a quello che percepiamo con i sensi perché oltre a essi abbiamo l’intelletto (senso interno) col quale possiamo valicare i confini del mondo fenomenico e penetrare l’intima natura delle cose e vedere le leggi universali che regolano la realtà. Invece il principio di causalità (sia efficiente che finale) è assolutamente certo, poiché fondato nelle stesse essenze sia dell’ente composto che dell’ente dell’agente, e scaturisce da esse come proprietà essenziali. Inoltre è anche un principio universale, vale per ogni ente composto e per ogni agente. Tale principio perciò non può essere negato senza contraddizione e questo dipende dalla sua stessa indole perché se esso viene negato immediatamente porta con se la negazione del principio di non-contraddizione. E questo non nel senso che dipende dal principio di non-contraddizione ma in quanto parlare di composto-non causato equivale a dire composto-non composto, o di agente-non agente, poiché nel concetto di ente composto è implicito quello di avere una causa in quanto non è ente per essenza. Perciò anche il principio di causalità, con quello di non-contraddizione, è per se noto e coloro che  lo negano affermano tale carattere nello stesso momento in cui lo negano.

fonte

esserecristiani.com

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