Alta Terra di Lavoro

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LA NOTTE DELLA TAMMORRA 2019 DI CARLO FAIELLO HA CHIUSO IL SIPARIO

Posted by on Ott 8, 2019

LA NOTTE DELLA TAMMORRA 2019 DI CARLO FAIELLO HA CHIUSO IL SIPARIO

La Notte della Tammorra 2019 organizzata dal Canto di Virgilio con la direzione artistica di Carlo Faiello che si è tenuta alla rotonda Diaz di Napoli la sera di ferragosto anche quest’anno ci ha regalato importanti novità e grosse emozioni.

Per fortuna non sono mancate le inestinguibili polemiche che alla fine hanno solo certificato la riuscita dell’evento e guai se non ci fossero perché un evento senza polemiche vuol dire che è stato un flop.

C’è chi ha evidenziato, devo dire con acume e competenza, che per come è strutturato lo spettacolo  il titolo bisognerebbe cambiarlo da Notte della Tammorra a Festival Internazionale della Musica del Regno perché, tranne nella parte iniziale e in quella finale dedicate ai Tammorrari in purezza,  s’è assistito ad esibizioni di alto livello che rappresentavano i territori dell’Italia Peninsulare, una volta Regno,  per volontà del Direttore Carlo Faiello come accade da anni. Nulla da dire sull’osservazione ma non bisogna dimenticare che l’iconoclastasia storico cultura che da piu di un secolo mezzo  ammanta la civilta napoletana e napolitana non permetterebbe mai un titolo dell’evento sopra indicato come non permetterebbe nemmeno il recupero dell’essenza dell’antica festa di Piedigrotta, per qualche anno è stato fatto ma per colpa della politica non ha lasciato nessuna traccia, detto questo possiamo accettare di buon grado il titolo attuale perché Tammorra vuol dire Tamburo che ha in se i cromosomi dell’ universalità dove Napoli occupa il posto principale.

Anche quest’anno  abbiamo assistito all’eterna polemica montata dai presunti artisti che si accreditano come custodi della tradizione che ormai è diventata stucchevole e ignorata da quasi tutti ma come una cambiale, ad ogni evento, viene presentata e sistematicamente cestinata perché chi la presenta non si rende conto che è scaduta da tempo.

Come ripetuto più volte la Tradizione è innovazione dove l’uomo non è spettatore dei cambiamenti ma il protagonista, immaginiamo un treno merci che ad ogni fermata riempiamo con tutti gli elementi in natura e le operatività dell’uomo che poi riprende il viaggio sulla ferrovia chiamata Storia. Prima di arrivare alla fermata successiva la Tradizione controlla il carico e tutto il superfluo lo butta via lasciando soltanto quello che ha valore che si mescolerà con il nuovo carico che a sua volta riceverà lo stesso trattamento, insomma le impurità e le cose inutili verranno sempre scartate perché solo così la storia dell’uomo può continuare ad essere narrata. Non bisogna dimenticare, altresì, che il tutto viene sovrapposto al concetto della “Divina Provvidenza” di Gianbattista Vico.

Se piu di un secolo fa all’apparizione dell’organetto, come della fisarmonica, i musicanti dell’epoca avessero rigettato queste novità strumentali perché non tradizionali oggi li vedremo considerare strumenti della Tradizione? Il pianoforte come oggi lo conosciamo bisognava rifiutarlo perché era uno strumento costruito con metodi troppo innovativi? Vengono costruiti nuovi strumenti e ogni giorno nascono linguaggi musicali diversi quindi, come sempre, esistono  dei buoni musicisti e dei cattivi musicisti, dei buoni cantanti e dei cattivi cantanti, dei buoni compositori e cattivi compositori. Quando in quel di Atina abbiamo presentato il libro di Enzo Amato “La Musica del Sole” e il M.so s’esibito nel seguente pezzo qualcuno di noi che ascoltava s’è preoccupato se rispettava la tradizione oppure no?

Questa sterile e inutile polemica purtroppo anche in questo campo è messa in piedi dal mondo giacobino di sinistra, comunemente chiamati radical chic, che si puo definire anche neo “catarismo” e che ha la sua genesi a Roma, a Milano e a Bologna che in tutti i settori della cultura applica una dittatura feroce che al loro confronto i soviet ci appaiono dei liberali.

Controllate i film degli ultimi 30 anni, controllate il teatro come la letteratura, la pittura e la scultura per non parlare della Musica, e vi accorgete che sono sempre gli stessi a lavorare, sempre le stesse tematiche ma soprattutto sempre la stessa mediocrità. Roma pensava di diventare “la Terza Roma”  come aispicò Mazzini ma è diventata invece “la Terza Roma” ben descritta da Gramsci cancellando la propria storia, la propria identità e la propria dimensione universale per diventare una colonia molto provinciale che non crea più cultura ma la assorbe e la produce grazie soprattutto alle innumerevoli risorse economiche che gli piovono dall’alto per il suo status di capitale.

Gli operatori artisti e culturali Romani soffrono di forti complessi di inferiorità che cercano di superare anche con lo studio e con la ricerca che in se è una grande virtù ma diventa fine a se stessa se quel lavoro viene considerato come punto di arrivo e non come punto di partenza, vogliono storicizzare e cristallizzare tutto arroccandosi dietro al distorto concetto di tradizione per espropriarlo al Sacro con l’unico risultato di farlo passare come uno slogan autoreferenziale . I romani si son trasferiti da Fregene e Torvaianica nel Salento, hanno partorito anche la canzoncina tormentone dell’estate, dimenticando che lavorano, si divertono ed esistono, dimenticanza che hanno anche i Salentini, grazie ai Borbone, a Roberto De Simone, agli NCCP ad Eduardo, ad Eugenio Bennato e Carlo D’Angio , la storia si fa con le carte e non con le opinioni come ripete sempre lo storico Laborino Fernando Riccardi.

I presunti operatori della musica popolare si auto promuovono soldati a difesa della tradizione ma sono disgustati dal “popolo” se segue in massa “Gigione” sconfinando nel futurismo marinettiano e considerano “popolo” solo se è allineato e coperto alle loro disposizioni, consiglio di vedere l’illuminante film con Monica Vitti ed Angela Luce, “Nini Tirabusciò la donna che inventò la mossa”. Vi ricordo, infine, che l’altro vostro incubo, Nino D’Angelo, a distanza di quasi 40 anni quando si esibì all’Operà di Parigi, grazie al vostro santone Roberto De Simone s’è esibito anche al San Carlo di Napoli.

Da segnalare l’ultima operazione che sta avvenendo nel teatro a Roma, con il patrocinio di Gigi Proietti, dove è stato messo in piedi un “teatro alternativo” di tipo elisabettiano che ha avuto  un successo di pubblico enorme con la conseguente nascita di una scuola di teatro basata su Shakespeare ignorando la grande tradizione della commedia dell’arte romana che era seconda solo a quella napoletana . Mi sorprende che Gigi Proietti , uno degli ultimi e più nobili esponenti della suddetta commedia, non abbia voluto fare cose diverse legate all’identità romana, forse le indicazioni o imposizioni della……..moda del momento non si possono contraddire o forse sta aiutando anche chi vuole recuperare il Teatro Romanesco ma lo sanno in pochi compreso lo scrivente. Vuoi vedere che ha ragione un attore romano , il nome non lo ricordo, che parlando sulla nascita di nuovi metodi di studio teatratali mi disse che lo si è fatto perché altrimenti avrebbero lavorato solo attori napoletani e siciliani? Non tocchiamo per ora l’argomento Siae perché merita un approfondimento particolare per la gestione scandalosa e poco trasparente messa al servizio degli artisti salariati, tranne in qualche rara eccezione.

La musica popolare, come per i balli popolari, non si può avere la presunzione di congelarla perché è intrinsicamente anarchica, ribelle, fantasiosa , trasgressiva, creativa, geniale, anonima e un humus per gli ambienti piu colti che da tempi immemori attingono dall’arte di strada. La musica classica romantica dove ha attinto? il blues e il jazz come nascono? Le Villanelle e Moresche che sono la genesi la musica leggera contemporanea  dovevano nascere e morire cosi? Quindi non state a vedere se una ballatrice fa il passo giusto o il ballatore ha aumentato il ritmo e non rispetta il ”dogma” della tradizione” o se quello strumento non la patente giusta per essere suonato e andate oltre a questi stupidi preconcetti , considerate che esiste una forma artistica che si esprime in purezza che va protetta perchè se non ci fosse si perderebbe l’identità ed esiste un’altra forma artistica, da voi considerata con disprezzo inquinata, che compone nuove cose e va avanti e che grazie a quello che si produce salvaguarda la tradizione e la suddetta identità. Sophia Loren nel ballare il Mambo in molti film ha trasmesso la sua incapacità o qualcos’ altro?

Per tornare alla “Notte della Tammorra” cominciamo col dire che, come sempre, la prima parte viene lasciata alle figure storiche del mondo della Tammorra come Vincenzo Rea detto ‘Tarantella’,  Masino Tirozzi detto ‘‘o figlio d’’o zi’ padrone’ e Raffaele Inserra affiancati dai giovani come Gianfranco Ricco detto ‘Antichità’ e Catello Gargiulo che  proseguono su quella strada non solo come artisti ma anche come sacerdoti  del treno Sacro chiamato Tradizione dimostrando di meritare ampiamente questa responsabilità.

Non poteva mancare Marcello Colasurdo uno dei mostri sacri a cui andrebbe consegnata una laurea ad Honoris Causa della Musica Popolare, che con la consueta energia e forza ha chiuso la Notte della Tammorra, se non interveniva la polizia a chiudere il concerto si faceva l’alba.

Marcello, come spesso accade, fa degli sconfinamenti nella politica, legittimi per altro, ma gli faccio notare che inneggiare la Pace condannando la guerra per poi passare alla canzone “Bella Ciao” è un po contradditorio perché il canto partigiano è un canto di guerra, di morte e non di pace. Caro Marcello l’inno che più rappresenta il popolo Napoletano nella sua intimità più profonda è il “Canto dei Sanfedisti” scritto da un anonimo popolano durante la Repubblica da Operetta del 1799 che esaltava la controrivoluzione del popolo Napoletano e metteva a fuoco le vere motivazioni dei Giacobini Francesi e Napoletani che purtroppo sono sempre più attuali e che oggi si nascondono dietro……… “Bella Ciao”. Se “Il Canto dei Sanfedisti” è un trattato di filosofia scritto dal popolo napoletano il nostro canto partigiano è certamente questo

 

Notte di Luna e notte di stelle non solo perché erano in cielo ma perché Carlo Faiello le ha portate sul palco in pasto al numeroso pubblico accorso a vedere lo spettacolo  a cominciare da Giovanni Mauriello che insieme al figlio Matteo, il ragazzo non ha timore a fare lo stesso mestiere del padre  affrontando senza paura gli sconvenienti che si portano dietro tutti i figli d’arte, e accompagnati alla chitarra dallo stesso Carlo Faiello hanno eseguito un vasto repertorio tradizionale identitario che per come lo hanno interpretato sembrava scritto qualche giorno prima.

Un’altra stella che ha brillato nella notte Ferragostana Napoletana è stata quella di Peppe Barra che ha sciorinato un’interpretazione,  il tempo sembra esser diventato il suo miglior amico,  che ha mandato in visibilio l’esigente pubblico partenopeo a cui ha dedicato “Cicirinella” che da molti anni non interpretava e chiudendo con l’immortale Tammurriata Nera, che credo, nessuno riesce a rappresentarla come lui.

Grandissime interpretazioni del Gran Capitano di Spagna Marcello Vitale che nonostante non avesse la spada ma la sua fedele chitarra battente ha conquistato Napoli per una notte emozionando e lasciando senza fiato il pubblico.

Fiorenza Calogero ormai possiamo considerarla l’usignolo della Notte della Tammorra che in splendida forma ci ha regalato dei momenti di altissima emotività  quando insieme a Carlo Faiello e Nello Daniele ha ricordato Pino Daniele.

Quando si è figlio o fratello d’arte di autentici mostri sacri, in questo caso parliamo di Pino Daniele, è dura esercitare la stessa professione e ci vuole del coraggio a farlo perché è inevitabile fare dei confronti e spesso chi vuole azzardare ne esce con le ossa rotte ma Nello Daniele, che bella sorpresa, è riuscito a farci dimenticare in pochi minuti di essere il fratello di Re Pino. Ha eseguito delle interpretazioni di qualità dove si notava certamente la sua ispirazione verso il suo caro fratello Pino, mezzo mondo lo fa, ma facendoci vedere il suo stile e la sua personalità.

Leonardo Da Vinci definiva la musica “l’architettura dell’invisibile” ma senza scomodare uno dei geni universali basterebbe dire che basta una goccia di pioggia che cade su una foglia per far nascere la musica e questo è accaduto anche nella Notte della Tammorra dove abbiamo assistito a musica che usciva da un bidone o da una scopa. Per questo dobbiamo dire grazie alla genialità di Capone Bunghete a Banghete che ci ha “cacciato gli occhi da fuori e rivoltare le orecchie” nel vedere e nel sentire musica che usciva da comuni e umili oggetti  che nelle sue mani sembravano dei sofisticati strumenti musicali. Per riprendere il discorso strumentale sulla musica tradizionale quando Capone ha duettato con Marcello Vitale oppure quando suonava per Ashai Lombardo Arop secondo voi qualcuno ha pensato che si stava oltraggiando il tempio della musica popolare?

Sabatino Esposito un “tammorraro” che da anni è presente alla kermesse ferragostana lo abbiamo visto suonare un po con tutti, non solo con Marcello Colasurdo, e merita una menzione particolare perché quando suona il tamburo lo fa in maniera divina trasmettendo energia e allegria che diventa un “viagra” per chi lo ascolta, sembra veramente il Vesuvio che erutta ma a differenza della celebre “Muntagna” non dissemina morte ma vita.

Il legame di sangue con grandi artisti non ha riguardato solo Nello Daniele ma anche Antonia Nerone  che accompagnata dal padre Andrea, memoria storica vivente della musica popolare internazionale, ha cantato divinamente il pezzo scritto anni fa dal padre, “Nenna Ne”, come nessuno riesce a fare. E’ stato definito l’inno della Terra di Lavoro ma poterlo definire tale è un azzardo perché la Terra di Lavoro è stata la provincia più antica d’Europa che copriva un territorio che andava da Nola fino a Sora e Fondi passando per il Matese per Sessa e per Mondragone. Un territorio dove convivevano tante lingue diverse, tante cucine diverse e tanti linguaggi musicali diversi sia in quella aristocratica che in quella popolare quindi non possiamo definire il testo di Nerone l’inno della Terra di Lavoro. Certamente è un altro pezzo musicale che rappresenta l’anima della musica “napolitana” quella che si componeva non nella città di Napoli ma nel Regno Napoletano che racchiude il sentimento e le passioni dei contadini e dei pastori dell’entroterra e dei pescatori delle coste che soltanto l’animo di un suo figlio illustre, Andrea Nerone, poteva comporre.

Discorso a parte meritano il gruppo di Zampognari di Villa Latina, per secoli si è chiamata Agnone, Domenico Fusco con Diego Fusco, Angelo Fusco, Luca Petrilli, Salvatore Sarda   e le ballatrici Maya Tedesco, Marilena Norato, Lorenza Di Stefano e Cinzia Zomparelli che sono partiti dall’alta Terra di Lavoro per arrivare nella loro antica capitale, Napoli, e ripristinare una verita storica nel campo della musicale che in molti hanno dimenticato o ignorano, la tradizione musicale che si trova da Teramo a Malta nasce perché tutti i territori che fanno riferimento all’ex Regno di Napoli rientrano nella grande famiglia della scuola Musicale Napoletana.  A questa premessa storica non sfugge l’alta Terra di Lavoro che dopo più di un secolo ritorna ad esibirsi in una grande manifestazione musicale popolare a Napoli vicino al Santuario della Madonna di Piedigrotta grazie ai suddetti artisti vestiti con abiti tradizionali e con i famosi “scarpitti” ai piedi come i Briganti Insorgenti che per la loro fedeltà e per la loro audacia, portata fino alle estreme conseguenze, hanno sempre servito il Re della Nazione Napolitana e sono stati gli ultimi a capitolare anche per i primi dieci anni della nascita dell’Italia.

I Zampognari, accolti da un generale scetticismo sia dietro le quinte ,dove si pensava che dovessero suonare solo per 5 minuti, che tra il pubblico preoccupato di assistere a delle novene natalizie, insieme alle loro ballatrici hanno preso in mano con decisione la situazione e come i Briganti e Brigantesse che erano arrivati a Napoli a servire il proprio Re, in questa caso Carlo Faiello, sono riusciti a capitalizzare al meglio i pochissimi minuti messi a loro disposizione, causa il grande ritardo sulla tabella di marcia del concerto, per la prova generale e una volta sul palco si son presi  con prepotenza i microfoni che gli servivano e lo spazio per le ballatrici riuscendo a regalare al pubblico presente 20 minuti di energia vera ed emozioni forti con Ballarelle e Saltarelli che i Napoletani, dopo averli accolti con cinico sarcasmo, hanno apprezzato con grande entusiasmo e alla fine cercavano di imitare i balli, c’è stato chi dal pubblico ha montato un filmato dedicato solo a loro.

Chi, oltre a Carlo Faiello, ha capito la portata storica dell’esibizione dei Zampognari e delle Ballatrici è stato Enzo Esposito “Tammurriello” ma non c’è da meravigliarsi perché è un artistita napoletano doc  a 360 gradi anche lui degno figlio della sua terra e della sua città che da anni gira il Regno a mescolare le sue conoscenze con quelle di chi lo ospita, virtù fondamentali per qualsiasi attività d’artista. Nella Notte della Tammorra ha prestato la sua opera come ballatore arricchendo il bellissimo corpo di ballo dove ha spiccato Ashai Lombardo Arop ballerina elegante e aggraziata che ha lasciato sul palco e nei cuori di chi l’ha ammirata il suo essere afro-napoletana.

Se Marcello Vitale emulava con la sua chitarra il Gran Capitano certamente Pasquale Nocerino sembrava  l’arciere del Re solo che a posto di arco e freccie aveva la bacchetta e il suo violino che per come lo ha suonato sembrava veramente un aristocratico cavaliere.

Il vero protagonista della serata è senza ombra di dubbio Carlo Faiello che grazie alla sua direzione artistica ha donato al numerosissimo pubblico un’altra notte magica all’insegna della musica, dell’identità, della tradizione e del divertimento creando un ponte tra antichi e nuovi linguaggi musicali. Napoli in questo “Truman Show” globalizzato è ancora uno dei pochi posti al mondo, forse l’ unico, che non assorbe cultura ma la crea e la mette a disposizione di chi vuole usufruirne e grazie anche ad un personaggio come Carlo Faiello che da tempo gira il Regno non alla ricerca di musicisti o cantanti bravi, a Napoli ce ne sono in quantità industriale,  ma di identità antropologiche che si esprimono attraverso l’arte e che sono fondamentali  per la sua produzione artistica e culturale.

Carlo ha certamente la fortuna di essere nato a Napoli che per secoli è stata la Capitale di un Regno e che da millenni è una città Cosmopolita abituata, quindi, a confrontarsi con chiunque ha voglia di farlo e abbia qualcosa di originale da poter offrire. A Napoli la Musica e il Teatro era ed è l’industria Nazionale quindi, senza percorrere grandi distanze, ha a portata di mano materiale che utilizza per sue creazioni artistiche. Senza toccare le fondamenta della Notte della Tammorra, nel pieno rispetto del Tempio Sacro della tradizione, Carlo ha iniziato e finito il concerto con la consueta esibizione dei Tammorrari, come ad ogni edizione ha fatto esibire nuovi gruppi e nuovi cantanti di altri territori mescolandoli con mostri sacri come Peppe Barra e Giovanni Mauriello. Siamo passati dalle Zampogne ai Bidoni, dalle Ciaramelle alla Scopa, dalla Chitarra Battente alla Batteria ma soprattutto ha dimostrato grandissimo coraggio a portare i Zampognari con Ballatrici che si esibivano in Saltarelli e Ballarelle, da lui fortemente voluti come ha informato pubblicamente a Sessa. Lo ha pensato gia dall’autunno scorso e programmato con attenzione attraverso il concerto di Capodimonte e quello di Sessa dove ha apprezzato le Ballatrici Maya Tedesco, Lorenza Di Stefano e Cinzia Zomparelli.

Carlo ha ascoltato con attenzione i musicanti che venivano dal Museo della Zampogna di Villa Latina ma questo non gli bastava e quella sera ha preteso che facessero una prova, anche se breve, si è preoccupato personalmente che fosse sgombrato il palco da qualsiasi oggetto per l’esibizione delle Ballatrici, anche dai fili più apparentemente innoqui , ha preteso i costumi tradizionali ma non perché aveva dei dubbi sulla perfomance dei Musicanti e delle Ballatrici dell’alta Terra di Lavoro ma perchè voleva “Scassare” e ha “Scassato”.

Come sempre Carlo Faiello ha fatto girare i suoi musicisti, a cominciare da se stesso, per tutto il concerto con molti artisti che si avvicendavano sul palco senza mai perdere il controllo degli arrangiamenti e questo grazie alla sua capacità di musicista, di compositore e di saper scegliere bene i suoi compagni di viaggio.

Chiudo segnalando che c’era, nonostante  fosse ferragosto, il numeroso “Popolo della Tammorra” che non ha mai smesso di ballare creando la cornice giusta all’evento, rinnovo i miei complimenti al popolo Napoletano che anche in questa occasione ha dimostrato la sua grande competenza musicale e artistica senza fare sconti a nessuno mettendo in discussione anche se stesso come nel caso dei zampognari, prima derisi e poi portati in trionfo, di seguito tutti i video del concerto.

Claudio Saltarelli

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