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Le profezie di Don Bosco 2: i Savoja

Posted by on Apr 12, 2017

Le profezie di Don Bosco 2: i Savoja

Il nostro amico Davide Cristaldi completa l’opera conle profezie di Don Bosco a Casa Savoja. Potremmo dire parafrasando il titolo di una fortunata serie di film con protagonista Sylvester Stallone: DON BOSCO 2, LA VENDETTA!

CATANIA – Qualche giorno fa abbiamo pubblicato le memorie di Don Bosco sugli abboccamenti tra i reali napoletani ed il santo torinese, e sull’infausta profezia che egli fece loro. Torniamo volentieri sull’argomento, questa volta per conoscere le profezie toccate ai reali piemontesi che, come si leggerà, furono molto più atroci di quanto non capitò ai Borbone.

LA MALEDIZIONE DEGLI ANTENATI

Tutto ebbe inizio nel 1855, quando nel parlamento piemontese fu proposta la famosa legge d’incameramento dei beni ecclesiastici contro la quale Don Bosco fu fiero oppositore fin dalle prime discussioni parlamentari come dimostrano le arringhe dinnanzi i suoi allievi. Durante una di queste ebbe a parlare delle “maledizioni che stavano scritte dagli antichi Duchi di Savoia nelle carte di fondazione dell’Abbazia d’Altacomba contro quei loro discendenti che avessero osato distruggerla od usurparne i beni”.

Uno degli allievi, “Il giovane Savio Angelo nell’udire quella serie di orrende minacce concepì un’idea ardita. D. Bosco, senza dargli consiglio, gliela aveva destramente insinuata; e bastò. Il giovane cercò e trovò copia di quella carta di fondazione, trascrisse tutte le maledizioni in un foglio, si firmò con nome, cognome e qualità, chiuse il suo foglio in una busta e lo indirizzò al Re”.

Nei giorni seguenti, verso il fine del mese di novembre, fece uno strano sogno…

“Era circondato da preti e da chierici: ad un tratto vide avanzarsi in mezzo al cortile un valletto di Corte, col suo rosso uniforme, il quale, con passo affrettato venuto alla sua presenza, gli parve che gridasse: – Grande notizia! – E quale? gli chiese D. Bosco. – Annunzia: gran funerale in Corte! gran funerale in Corte! D. Bosco a questa improvvisa comparsa, a questo grido, restò come di sasso, e il valletto ripetè: – Gran funerale in Corte! -D. Bosco allora voleva domandargli spiegazione di questo suo ferale annunzio, ma quegli erasi dileguato”

“D. Bosco, risvegliatosi, era come fuori di sè e, inteso il mistero di quell’apparizione, prese la penna e preparò subito una lettera per Vittorio Emanuele, palesando quanto gli era stato annunziato, e raccontando semplicemente il sogno”

Il giorno seguente, prese a raccontare il sogno anche ai suoi allievi ed ai suoi chierici, ma nessuno di loro aveva saputo di persone inferme a corte, tuttavia quando la missiva fu recapitata a Vittorio Emanuele, egli “lesse con indifferenza quel foglio e non ne tenne conto” secondo quando  gli riferirono alcuni confidenti che Don Bosco che aveva a Palazzo.

L’ATROCE PROFEZIA: FUNERALI A CORTE

“Erano passati cinque giorni da questo sogno, e Don Bosco, dormendo, nella notte, sognò di bel nuovo. Gli pareva di essere in sua camera a tavolino, scrivendo; quando udì lo scalpitare di un cavallo in cortile. Ad un tratto vede spalancarsi la porta ed apparire il valletto nella sua rossa livrea, che entrato fino a metà della camera gridò: Annunzia: non gran funerale in Corte, ma grandi funerali in Corte! – E ripetè queste parole due volte. Quindi ritirossi con passo rapido e chiuse la porta dietro di sè. D. Bosco voleva sapere, voleva interrogarlo, voleva chiedergli, spiegazione; quindi si alzò da, tavolino, corse sul balcone e vide il: valletto nel cortile che saliva a cavallo. Lo, chiamò, chiese perchè fosse venuto a ripetergli quell’annunzio; ma il valletto gridando: – Grandi funerali in Corte! – si dileguò.” 

Anche la mattina seguente, Don Bosco scrisse una lettera al Re di Sardegna, stavolta più esplicita, in cui chiedeva al Re di non approvare la legge sui conventi:

“Venuta l’alba, D. Bosco stesso indirizzò al Re un’altra lettera, nella quale raccontavagli il secondo sogno e concludeva dicendo a sua Maestà – che pensasse a regolarsi in modo da schivare i minacciati castighi, mentre la pregava di impedire a qualunque costo quella legge”.

Secondo le memorie di Don Bosco, il re rimase profondamente turbato dalla seconda lettera e spedì all’oratorio il marchese Fassati a chiedere conto ed a dimostrare la sua protesta. Tuttavia, “gli avvisi di D. Bosco non furono ascoltati. Il 28 novembre 1854 il Ministro guardasigilli Urbano Rattazzi presenta va ai deputati un disegno di legge per la soppressione dei conventi. Il Conte Camillo di Cavour, Ministro delle finanze, era risoluto di farlo approvare a qualunque costo”.

Gli effetti di quella profezia ignorata non tardarono ad arrivare:

“Il 5 gennaio la Regina Madre Maria Teresa quasi improvvisamente erasi ammalata. L’augusta inferma moriva il 12 gennaio poco dopo il pomeriggio, in età di cinquantaquattro anni. Grande sventura fu pel Piemonte la perdita di Maria Teresa, che spandeva quotidianamente sugli infelici beneficenze senza numero”.

Vittorio Emanuele ricevette altre inquietanti lettere (le cui memorie però non ci dicono se sono da addebitare a Don Bosco), di questa levatura:

“Mentre si chiudeva quel feretro, giungeva all’indirizzo del Re un’altra lettera misteriosa, che diceva senza nominare alcuno: “Persona illuminata ab alto ha detto: Apri l’occhio: è già morto uno: se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare”.

“Il Sovrano, letto questo foglio, rimase sbalordito, e in preda a viva inquietudine non poteva più aver riposo. L’avv. Enrico Tavallini accenna a questo stato di animo del Re, minacciato dei castighi del cielo da continue lettere di prelati”.

Ma quelle lettere, che apparentemente contenevano solo minacce, furono in realtà il preludio di un nuovo funerale:

“La Regina Maria Adelaide nel punto della morte di Maria Teresa trovavasi nel quarto giorno del puerperio, avendo dato alla luce felicemente un bambino. Ed essa, che tanto amava la suocera, fu colpita da sì vivo dolore, che colta da una metro-gastro-enterite si ridusse a pericolo di vita. Alle 3 pom. le fu portato il Santissimo Sacramento dalla Regia Cappella della Sindone. Folla immensa accorreva in tutte le chiese per il ristabilimento della sua salute. L’intiero Piemonte si associava ben di cuore alle pene della famiglia reale, verificandosi l’antica massima che in Piemonte le sventure del Re sono sventure del popolo. Ma il giorno 20 fu amministrato l’Olio santo alla Regina, e verso il mezzogiorno l’augusta inferma, entrò in agonia; alla sera verso le ore 6 spirava nel bacio del Signore, a soli 33 anni di età” 

Nè qui finivano i lutti di casa Savoia. La stessa sera fu dato il Santo Viatico a S. A. R. Ferdinando duca di Genova, già logoro di sanità, fratello unico del Re Vittorio Emanuele era immerso nel più straziante dolore”, anche lui trentatrenne.

 

“LA FAMIGLIA DI CHI RUBA A DIO NON GIUNGE ALLA QUARTA GENERAZIONE”

Don bosco usò anche l’arma dell’informazione al fine di mettere in guardia il governo dall’approvare la legge Rattazzi, facendo pubblicare alcuni testi tra cui il libercolo del Barone Nilinse intitolato: “I beni della chiesa, come si rubino e quali siano le conseguenze; con breve appendice sulle vicende del Piemonte”. In tale libro, che mise un sano timore ai potenziali acquirenti di ex conventi e monasteri, si elencavano tutti i castighi che erano capitati a chi si fosse macchiato del furto nella casa di Dio e vi si affermava l’antico detto che “La famiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione!” 

“Senonchè, mentre in senato si discuteva sul malaugurato progetto, il 17 maggio la casa reale fu coperta nuovamente di gramaglia. La compianta Regina Maria Adelaide aveva messo alla luce un maschio gli 8 di gennaio di quest’anno. Il bambino, Vittorio Emanuele Leopoldo Maria Eugenio godeva di ottima salute e prosperava; quando in breve fu ridotto agli estremi ed andò a raggiungere la madre. In quattro mesi il Re aveva perduto la madre, la moglie, il fratello ed il figlio. Il sogno di D. Bosco erasi pienamente avverato”. 

Alla fine mancava solo la firma di Vittorio Emanuele II per approvare la legge di incameramento dei beni ecclesiastici e nuovamente dinnanzi ai suoi allievi Don Bosco ebbe ancora a profetizzare, in una nuova lettera che fece indirizzare al Re:

“Maestà, non sottoscrivete la legge soppressiva dei conventi, altrimenti sottoscrivereste a molte disgrazie su di voi e sulla vostra famiglia. Dì ciò vi avverto come suddito fedele, affezionato ed ossequente ”.

Ed un altra ancora in latino in cui campeggiava la frase:

“Dicit Dominus: Erunt mala super mala in domo tua”. 

Dunque, “Non più scongiurava, minacciava ancor più gravi castighi se avesse posto la sua firma alla legge”
Intanto nuova disgrazia turbava la Casa Reale. Sua Maestà, nel mese di settembre, venne colta nel castello di Pollenzo da una febbre intensa, con artritide acuta e, diffusa a molte articolazioni. La malattia fu gravissima e mise tutto il regno in grande ansietà; ma come Dio volle si sviluppo un’eruzione migliare che fece il suo regolare periodo, e a poco a poco il Sovrano si ristabilì. Il 27 settembre però era stato obbligato a delegare il principe Eugenio di Savoia Carignano a provvedere in suo nome sugli affari correnti d’urgenza, firmando i decreti reali. La legge emanata contro i conventi continuava a portare tristi frutti…”

La parte finale della profezia di San Giovanni Bosco si compì con l’esilio di Umberto II, il re della Quarta Generazione, il 13 giugno del 1946.

Farà impressione sapere che Umberto II, ultimo  re d’Italia, è seppellito nell’Abbazia di Altacomba….

Davide Cristaldi

fonte istituto ricerca storica delle Due Sicilie

 

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