Alta Terra di Lavoro

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Le province siculo-partenopee nel Regno d’Italia (V)

Posted by on Ago 21, 2019

Le province siculo-partenopee nel Regno d’Italia (V)

Parte quinta: L’Età Giolittiana (1898-1921)

L’impronta di Giovanni Giolitti nella politica italiana è stata innegabilmente importante, tanto che questo periodo politico passò alla storia come “Età Giolittiana”. Furono gli anni delle concentrazioni industriali, delle formazioni delle masse popolari socialiste e cattoliche, dell’attività coloniale italiana in Eritrea, Libia e Dodecaneso, delle rivolte per il pane e della nascita del Partito Fascista.

Dell’età giolittiana, resta impresso nella memoria il fatto che la moneta nazionale faceva aggio sull’oro (1909), vale a dire che la valuta circolante era proporzionale alle riserve auree del Regno. Ciò accadeva in Italia, nei principali Paesi europei e negli U.S.A., facilitando le transazioni ed i commerci internazionali mediante la stabilità delle monete e la certezza dei cambi tra diverse valute.

Tale risultato venne ottenuto ad un costo umano incalcolabile. Dall’inizi del 1900 circa dieci milioni di italiani, nessuna regione del Bel Paese esclusa, lasciarono l’Italia per emigrare, principalmente verso l’America, sia negli Stati Uniti che in Perù, Argentina e Cile. Viaggi senza ritorno: gli emigranti partivano da analfabeti, parlando ognuno il dialetto d’origine, e questa “verginità” formativa facilitava in qualche maniera il loro inserimento nelle nuove patrie, unitamente alla “italica” capacità di adattamento ad ogni luogo e situazione.[1]

Gli emigranti costituirono una solida base per la politica giolittiana, il cui disegno si fondava sullo stimolo e la protezione industriale, la protezione e la difesa del Bilancio del Regno, l’eliminazione del monopolio da parte dei privati e sull’opposizione alle forze finanziare estere. Da un lato, infatti, l’emigrazione risolveva drasticamente problemi sociali incombenti ed enormi, semplicemente espellendoli dal Paese, dall’altro il governo poté contare sull’enorme massa di valuta pregiata che gli emigrati stessi inviavano In Italia alle loro famiglie. Se, come detto, l’emigrazione interessò tutte le regioni italiane, lo stesso non può dirsi circa gli effetti e le conseguenze sui tessuti economico-sociali delle diverse realtà locali. Il nord, infatti risultò geograficamente e politicamente favorito dalle nuove politiche industriali. Le ricche commesse statali per armamenti e ferrovie vennero sempre più spesso affidate alle ditte del triangolo Milano-Torino-Genova, mentre il sud restava indietro. Soprattutto, furono i territori a più forte vocazione agricola e pastorizia (Abruzzi, Calabrie, Sicilia e, soprattutto, Basilicata) a vedersi disgregata la società contadina, senza che venisse attuata alcuna riforma in grado di offrire prospettive diverse dall’emigrazione.

Un dato significativo è quello della cantieristica navale, un tempo “fiore all’occhiello” dell’industria borbonica, con gli stabilimenti del Napoletano e siciliani. Ancora negli anni intorno al 1870 la costruzione dell’ammiraglia della flotta militare italiana, la corazzata Duilio, era stata affidata al regio cantiere di Castellammare di Stabia. Da allora la produzione fu progressivamente trasferita a Genova, tanto che alla vigilia della Grande Guerra, una sola delle sei grandi navi da battaglia era stata costruita a Castellammare.

Giolitti introdusse il suffragio universale maschile, facendo salire con ciò il numero di elettori a quota 8.000.000. Il voto fu esteso anche agli elettori analfabeti di età superiore ai 30 anni, il voto femminile era ancora lontano e inimmaginabile.

Patrocinò l’avventura coloniale in Libia nel 1912, e la conseguente guerra all’Impero Ottomano e anche se più tardi si dimostrerà contrario all’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra Mondiale, che annegherà la Belle Epoque in un mare di sangue, Giolitti partecipò alla “corsa agli armamenti”, preludio del conflitto. Cercò di venire a patti con Mussolini. Nel 1921 gli propose un governo di conciliazione, ma senza successo.

Giolitti presidente del Consiglio

Per riassumere possiamo suddividere l’età giolittiana in 5 tappe:

Giolitti 1° (maggio 1892 – dicembre 1893)

Inizia con la crisi del governo Crispi, messo in minoranza nel febbraio 1981 a seguito di una proposta di legge di inasprimento fiscale. Dopo un breve governo liberal-conservatore guidato dal marchese Di Rudinì (6 febbraio 1891 – 15 maggio 1892), Giovanni Giolitti, che apparteneva ancora al gruppo crispino, venne nominato Primo ministro il 15 Maggio 1892.

La crisi economica aveva portato ad un aumento del costo di prima necessità portando la popolazione a manifestare e protestare in numerose piazze italiane. Giolitti si oppose all’uso della forza per reprimere i moti di piazza. Ma le voci di tassazione progressiva sui redditi fecero perdere i consensi dei cedi borghesi e dei proprietari terrieri che vedevano minacciati i proprio interessi economici e le accuse di aver coperto le irregolarità fiscali della Banca Romana costrinsero Giovanni Giolitti a dimettersi il 15 dicembre 1893.

Giolitti 2° (novembre 1903 – marzo 1905)

Giovanni Giolitti torna al governo il 3 novembre 1903. Il secondo governo Giolitti varò norme a tutela del lavoro infantile e femminile e su tematiche sociali quali invalidità, infortuni e vecchiaia. Le cooperative cattoliche e socialiste furono ammesse nelle gare di appalti e fu data indicazione ai prefetti di usare una maggiore tolleranza verso gli scioperi apolitici.

Il secondo mandato di Giolitti fu caratterizzato dall’apertura ai socialisti e dal tentativo di estendere il consenso al governo alle aree popolari e operaie grazie a una retribuzione salariale migliore, la quale avrebbe garantito un migliore tenore di vita. Rimasero esclusi da questo miglioramento di condizioni sociali i lavoratori meno qualificati concentrati maggiormente nelle regioni meridionali.

Importanti provvedimenti furono anche presi nel campo delle infrastrutture, nazionalizzando la rete ferroviaria e la realizzazione del traforo del Sempione e nel campo economico mirando alla sviluppo economico attraverso una stabilità monetaria.

Giolitti 3° (maggio 1906 – dicembre 1909)

Nel febbraio 1906 Giolitti insidiò il suo terzo governo a seguito della caduta del governo Fortis. In questo periodo di congiuntura economica apparentemente positiva dovuta alla stabilità monetaria che caratterizzò i primi anni del Novecento l’Italia vide comparire il fenomeno dell’emigrazione, dovuta sia ai dissesti economici da malapolitica che a disastri naturali come l’eruzione del Vesuvio nel 1906 e il terremoto che devastò Messina e Reggio Calabria nel 1908.

Nel suo terzo governo, Giolitti continuò le politiche dei suoi primi due mandati e favorì lo sviluppo dell’industria pesante, ancora arretrata rispetto al resto dell’Europa a causa della mancanza di capitali da utilizzare per svilupparla.

Giolitti 4° (marzo 1911 – marzo 1914)

Nel suo quarto governo Giolitti tentò di coinvolgere il Partito Socialista, che ufficialmente rifiutò ma poi votò, come si conviene, a favore. Il programma del governo prevedeva la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita e l’introduzione del suffragio universale. Tematiche di notevole impatto sociale che furono realizzate anche se dal suffragio “universale” rimanevano ancor escluse le donne. Un universo solo maschile. Ma noi eravamo italiani non turchi!

Nel settembre del 1911, dietro a crescenti spinte nazionaliste Giolitti diede inizio alla guerra di Libia, conflitto che divise il Partito Socialista e lo allontanò dal governo in maniera irrimediabile.

Giolitti 5° (giugno 1920 – luglio 1921)

L’ultimo governo di Giolitti si insedia nel giugno 1920, durante il biennio rosso (1919-1920). Le frequenti agitazioni socialiste spinsero Giolitti ad appoggiarsi alle squadre fasciste, credendo che la loro violenza potesse in seguito rientrare all’interno del sistema democratico.

Sviluppo diseguale

In sintesi abbiamo riportato gli eventi più significativi del periodo giolittiano. Ora riteniamo opportuno riportare cosa succedeva nel frattempo nelle regioni meridionali e in Sicilia

Come precedentemente detto l’età giolittiana è contraddistinta da una notevole crescita della società nazionale. Il paese, inizialmente, è ancora prevalentemente agrario e ogni regione ha pochi legami di interesse comune con le altre. C’è comunque un’aria di ripresa che investe tutta l’Italia. L’Italia del nord vive la sua prima rivoluzione industriale assieme allo sviluppo di un certo capitalismo agrario. La crescita è notevole in tutte le regioni comprese quelle meridionali e la Sicilia. La velocità di crescita è però diseguale tra regioni del nord e regioni del sud. Perché?

Andando a vedere le sequenza dei governi ci accorgiamo che dopo Crispi e Di Rudinì nessun meridionale e nessun siciliano avrà più ministeri “forti” come gli Interni, la Guerra, le Colonie, i Lavori pubblici e l’Agricoltura. L’assenza politica meridionale e siciliana in questi ministeri ha avuto, senza dubbio, la sua efficacia nel determinare la diversa velocità di sviluppo tra nord e sud. I fondi in bilancio in questi ministeri venivano dirottati in proporzione molto maggiore verso il centro nord che non verso il sud. Gli stanziamenti ministeriali per l’agricoltura erano destinati prevalentemente all’Emilia e alla Val Padana, in risposta alle richieste socialiste per le opere di bonifica. La disattenzione per l’industrializzazione dell’Isola era poi pressoché totale. Come abbiamo avuto occasione di scrivere, all’inizio del secolo i Florio avevano fondato un vero impero economico-finanziario ma dopo la caduta di Crispi e poi del Di Rudinì la loro influenza su Roma venne a cessare quasi di colpo. Per fare qualche esempio, i Florio avevano chiesto finanziamenti per costruire il Cantiere navale a Palermo ma degli 80 milioni di commesse della marina militare ai Florio non arrivò neanche una lira e mentre le industrie di Milano ottennero 150 milioni per le ferrovie ai Florio non fu affidata neanche la commessa per la costruzioni dei carri ferroviari per la Società Sicula. Anche in questo caso però non possiamo fare a meno di notare che pur avendone la possibilità i Florio anziché favorire la formazione di un partito industriale nell’isola che perseguisse lo sviluppo industriale, cioè quello che gli stessi Florio avrebbero dovuto perseguire, si schierarono clamorosamente con gli obsoleti partiti agrari! Si schierarono cioè con le famiglie aristocratiche e decadute delle loro mogli! Di quelle mogli che avevano cercato e sposato per dare una giustificazione alla loro ascesa sociale. Gli agrari, miopi e conservatori non spinsero mai verso l’industrializzazione ma verso il mantenimento della “industria agricola”.

È in questo periodo che Ignazio Florio fonda il giornale L’Ora chiamando a dirigerlo Vincenzo Morello [2]. Il giornale nasce come un giornale d’opposizione ma l’opposizione era volta non a difendere gli interessi industriali dell’isola ma gli interessi degli agrari ed della vecchia aristocrazia latifondista! Il maggior referente della politica dei Florio fu il Sonnino [3] che rappresentava gli interessi agricoli nazionali e non Giolitti che rappresentava invece l’avanguardia, cioè gli interessi industriali nazionali. Fu proprio il fatto che Giolitti non favoriva gli interessi degli agrari meridionali che portò il Salvemini a definirlo “ministro della malavita”, perché, Giolitti, vecchia volpe della politica, in cambio del sostegno parlamentare della borghesia agraria e dei latifondisti meridionali, tollerava che nel mezzogiorno venissero calpestate la libertà e le più normali regole di civile convivenza.[4] Continuava nell’isola come nelle altre provincie meridionali il dominio del padrone tanto è vero che nelle elezioni del 1900 mentre il nord elegge deputati che puntano alla modernizzazione, a sud si continuano a mandare al parlamento i rappresentanti dell’ala più restauratrice e conservatrice. Questo stato di cose avrebbe portato ad un divario sempre più grave tra nord e sud.

E’ strano che il primo a non capire che il tentativo di mantenere certi privilegi feudali avrebbe segnato una decadenza e uno sfruttamento delle regioni meridionali sia stato proprio Ignazio Florio e che con questo ha segnato in maniera irreversibile il declino e la fine della dinastia. Eppure Florio non era un latifondista ma un industriale. Il programma di Florio si realizzò parzialmente con lo sviluppo del credito agrario e del movimento della cooperazione agricola, Giolitti non era un fautore del partito agrario e non lo appoggiò mai pur avvalendosi, per formare i suoi governi, delle rappresentanza della borghesia agraria meridionale. Tuttavia se a Palermo regnava Ignazio Florio, a Catania “regnava” Giuseppe de Felice Giuffrida [5] che non era un industriale, ma era un socialista riformista. Giolitti, mentre trattava il Florio con sufficienza, assicurava a Giuffrida lo stesso sostegno politico che dava al nord tanto che Catania divenne la capitale dell’industrialismo del sud. La Milano del sud, come si autodefinì. Giolitti dal canto suo non chiamò mai al suo governo i cosiddetti ascari, ma il fior fiore della intellighenzia meridionale (Vittorio Emanuele Orlando [6], Angelo Majorana, Camillo Finocchiaro Aprile [7], Luigi Sturzo [8]e Napoleone Colajanni [9]) ma che poco facevano se non assecondare i desideri di una certa classe sociale o opporre loro uno sterile dissenso. Un po’ come succede ora con l’attuale governo delle destre leghiste.

Da un altro punto di vista se il movimento agricolo siciliano avesse potuto ispirarsi ai fasci siciliani e non all’aristocrazia del latifondo il risultato avrebbe potuto esser diverso. Ma i Fasci Siciliani erano stati repressi nel sangue, da siciliani come Crispi, ed i contadini siciliani e meridionali non furono riconosciuti come proletari e furono abbandonati dal partito socialista che aveva già stabilita la “padanizzazione” a scapito della meridionalizzazione o cosa più rara ancora dell’italianizzazione.

In Sicilia abbiamo avuto grandi capi sindacali ma non è mai stato concesso loro di superare la provincia. Gente come Bernardino Verro o Nicola Barbato hanno predicato o sono morti invano. È in questo triste periodo che si acuisce il fenomeno dell’emigrazione. I poveri non credono più a una rinascita. Possono solo andarsene e ricostruire altrove. Fenomeno migratorio che arricchirà, e molto, chi resta e gestisce questo traffico migratorio, in parte legalmente e in molta altra parte illegalmente.

I Socialisti si concentrano sul Nord

A rendere impotente il movimento agricolo meridionale e siciliano contribuì inoltre la soluzione alla questione agraria che il Partito socialista diede a livello nazionale stabilendone la “padanizzazione” ed escludendo il Meridione. Il socialismo dei contadini dei latifondi non era considerato “ortodosso”. Non ci fu collegamento tra le organizzazioni socialiste del sud e quelle del centro-nord. La Federterra nazionale comprendeva solamente braccianti emiliani e lombardi, la Confederazione del Lavoro rappresentava soltanto gli operai delle industrie settentrionali. In un tale contesto il socialismo meridionale non aveva alcuna possibilità di crescita. Tuttavia nello sciopero del 1902 in Sicilia avvenne un fatto di particolare rilevanza storica nazionale: don Luigi Sturzo, in ossequio alla enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, che era stata in un primo tempo interpretata in senso interclassista, reputò utile che il movimento sociale cattolico, come e insieme al Movimento socialista, riconoscesse legittimo fare ricorso allo sciopero quando le condizioni lo rendevano necessario. L’alleanza durò poco, l’anno successivo Luigi Sturzo, richiamato da papa Leone XIII ad una “corretta” interpretazione, si sganciò dai socialisti e organizzò da solo uno sciopero di mezzadri a cui parteciparono 50.000 persone [10]. L’Enciclica papale, in effetti, ad un certo punto recitava “ …gli operai cristiani non hanno che due partiti; o ascriversi a società pericolose alla religione o formarne di proprie e unire così le forze per sottrarsi francamente da sì ingiusta e intollerabile oppressione.

La stagione degli scioperi agricoli non fu comunque destinata al successo e si concluse nel 1904 con il clamoroso fallimento dello sciopero generale indetto dalla Confederazione Generale del Lavoro.

Nel 1906, la competizione tra socialisti e cattolici socialisti si spostò nel campo della cooperazione agricola. Nel 1906, infatti, era stata finalmente approvata la legge Sonnino [11]che dava la possibilità di accedere al credito agrario per prendere in affitto i grossi latifondi per dividerli tra i soci delle operative. Si veniva a creare così un nuovo rapporto tra contadino e rendita fondiaria senza l’intermediazione dei gabelloti. La prima “affittanza collettiva” fu realizzata da Luigi Sturzo a Caltagirone e subito dopo Bernardino Verro realizzò un’affittanza socialista a Corleone. Le affittanze si diffusero rapidamente in Sicilia e stranamente in Lombardia mentre non ebbero successo nel resto del meridione e del centro Italia.

Verro inoltre si batteva per queste affittanze che eliminavano la figura del gabelloto per la evidente funzione antimafia che svolgevano. I gabelloti fino ad allora erano stati i soli a potersi permettere di prendere in affitto i feudi e potevano imporre sia ai proprietari che ai contadini le condizioni che erano a loro (gabelloti) più favorevoli. Non era certamente casuale che Verrò subì un primo attentato nel 1911 e fu poi ucciso nel 1915.[12]

Anche l’industria zolfifera entrò nel 1905 in uno stato di crisi. Infatti in quell’anno scadeva il contratto decennale con la “Anglo-Sicilian- Sulphur-Company”, voluto nel 1895 dai Florio, che rilevava e collocava il prodotto a prezzi prestabiliti, a causa della concorrenza dello zolfo fuso americano che per l’estrazione si avvaleva del moderno metodo Frasch [13] che pare non potesse essere applicato in Sicilia per motivi geologici. Venne perciò costituito il consorzio obbligatorio per l’industria zolfifera e una Banca di Credito minerario che, imponendo la riduzione della produzione in quantità tale da essere smaltita, in qualche modo tamponò la crisi. Scaduto il contratto la crisi fu inevitabile.

Il crollo dell’economia meridionale

Il contrasto di interessi tra il nord industriale, inserito nel contesto economico europeo e atlantico e sostenuto dalla politica, e il sud agricolo, condizionato dagli sfavorevoli fattori geopolitici e strutturali e condannato al ruolo subordinato di consumatore e all’esercizio di una economia depressa, gravò sempre più sul meridione e la Sicilia. I produttori agricoli del sud subivano contemporaneamente la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli e inoltre pagavano al nord per l’acquisto dei manufatti come macchinari, fertilizzanti, ecc. che invece erano sovvenzionati con lo sconto alla produzione per le pubbliche sovvenzioni che ricevevano.

Gli intellettuali dell’epoca, come De Viti De Marco o Azimonti, deploravano il “perfido gioco” di una classe politica che favoriva l’industria contro l’agricoltura e all’interno dell’agricoltura favoriva la coltura del grano a danno di altre colture più ricche e accusavano lo Stato di sottrarre capitali all’agricoltura per favorire l’industria a danno delle zone agricole più povere e più deboli. [14]

A contribuire pesantemente a questo stato di cose vi era chiaramente una corresponsabilità della classe politica e della borghesia meridionale (Vittorio Emanuele Orlando, Angelo Majorana, Camillo Finocchiaro Aprile, Nunzio Nasi e tanti altri meridionali si avvicendarono nei governi Giolitti ma nessuno di loro fece mai qualcosa per migliorare realmente le condizioni del sud) che si guadagnarono la critica e le requisitorie di uomini del valore di Gaetano Salvemini ed Antonio Gramsci.

Sempre durante il periodo giolittiano, quasi non bastassero le condizioni di depressione e di inferiorità in cui il Sud si dibatteva, il 28 dicembre 1908 un cataclisma di immani proporzioni si abbatteva su Messina e Reggio Calabria. Messina fu completamente rasa al suolo e sotto le macerie rimasero oltre 100.000 vittime. Anche Reggio Calabria cadde con oltre 12.000 vittime.

Carne da cannone

La situazione del Meridione si era già tanto deteriorata da indurre il Parlamento a costituire una commissione parlamentare di inchiesta, che però si limitò a constatare l’insufficienza della azione governativa. Nel 1903 Francesco Saverio Nitti aveva sostenuto la necessità di evitare la deindustrializzazione di Napoli, presentando alla Camera un programma di interventi. Non se ne fece nulla. Nel 1908 i deputati Porzio e De Nicola cercarono di insistere perché fossero affrontate le questioni più urgenti di Napoli, ma essendo di destra, dovettero conformarsi alla politica liberista, che ormai aveva il suo radicamento nel capitalismo del nord. Così come detto in precedenza, i politici meridionali di destra assunsero una posizione subordinata al potere capitalistico anche quando ebbero incarichi – talvolta importanti – a livello governativo. Per questioni ideologiche, non sostennero l’azione dei socialisti e del blocco popolare, che anzi trovò nei monarchici e nei cattolici tradizionalisti i più feroci avversari. La sinistra continuò da sola la battaglia per il sud: Arturo Labriola si impegnò a fondo per affrontare i problemi, ottenendo risultati non solo nella industrializzazione, ma anche nel campo dell’istruzione popolare, delle abitazioni e della riforma giudiziaria.

Il Meridione era diventato: «una immane colonia di sfruttamento umano, dove nuovi negrieri razziavano ogni anno, non più africani ma un crescente contingente di disperati bianchi il cui numero salì progressivamente da 107 mila – media annua del periodo 1876-1880 a 310 mila – media annua del periodo 1896-1900; 554 mila – media annua del periodo 1901-1905; 651I mila – media annua del periodo I906-191O; 711 mila – media dell’anno 19I2; 872 mila – nell’anno I913, anno di vigilia della prima guerra mondiale, che troncò questa tratta sino alla fine delle ostilità, per fornire carne da cannone in abbondanza alle offensive, negazione della strategia di un altro piemontese. Nessun documento meglio di queste cifre potrebbe illustrare i risultati economici e sociali della politica della borghesia italiana “liberale” di quegli anni» [15]

Allo scoppio della 1ª Guerra Mondiale «Napoli partecipò con uno slancio di patriottismo che manifestava il superamento del regionalismo sentimentale sopravvissuto all’unificazione nazionale».[16]

Il Meridione lamentò due terzi delle vittime del conflitto (più di 600.000 morti) pur avendo circa un terzo della popolazione totale. La Grande Guerra finì per favorire gli insediamenti industriali del Nord-Ovest, accrescendo lo squilibrio nord-sud economico e di strutture quali strade, ferrovie, acquedotti.

Inserto

Poesia, musica e teatro

A cavallo dei due secoli si affermano poeti come BovioDi GiacomoRussodi cui trattiamo in altra sezione del sito. La canzone napoletana si afferma come melodia internazionale: sulle orme dei classici Fenesta ca lucive, il cui motivo si ripete nella Sonnambula di Bellini e con la bellissima Te voglio bene assai di Raffaele Sacco, musicata da Donizetti, si susseguirono Funiculi Funiculà di Giuseppe Turco e Luigi Denza; Carulì e Era de Maggio, la Luna nova, tutte tre del Di Giacomo, musicate da Mario Costa; l’intramontabile Marechiaro ancora su versi del Di Giacomo musicata da Francesco Paolo Tosti; Scétate di Ferdinando Russo e Mario Costa e ancora di Salvatore Di Giacomo ‘E spingule francese musicata da Enrico De Leva. Seguirono Lariulà musicata da Mario Costa e, se non la più bella decisamente la più fortunata, ‘O Sole mio di Giovanni Capurro ed Edoardo Di Capua. Agli inizi del Novecento, al grande successo di I ‘te vurria vasà di Vincenzo Russo ed Eduardo Di Capua seguirono altre canzoni che sono rimaste nel repertorio classico napoletano: Torna a Surriento dei fratelli De Curtis; ‘A vucchella, poesia di Gabriele D’Annunzio musicata dal Tosti; Uocchie c’arraggiunate di Angelo Falcone e Rodolfo Falvo e Guapparia, ancora del Falvo su versi di Libero Bovio. Anche durante la guerra la canzone napoletana continua ad affermarsi in tutto il mondo; basterebbe ricordare ‘O zampugnaro ‘nnammurato di Armando Gill, Santa Lucia luntana di E.A. Mario, Na sera ‘e maggio di Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi.

Il teatro a cavallo tra i due secoli si impernia su un grande attore-autore: Eduardo Scarpetta, che iniziò la sua carriera debuttando al San Carlino. Seguì un altro grande: Raffaele Viviani. Una citazione a sé merita il Cafè Chantant, come il lussuoso Salone Margherita di Napoli, dove le si esibivano le glorie del varietà, macchiettisti, vedettes internazionali e sciantoselocali per l’elegante e frivola gente della Belle Epoque.

L’orchestrina suonava, come sul Tinanic, colato a picco nel 1911. Il simbolo di un’epoca mai compresa a fondo, e che perciò riesce ciclicamente a riproporsi ed ad incubare nuove sventure.

Fara Misuraca

Alfonso Grasso

Note

[1] In realtà la capacità di adattamento è caratteristica comune e peculiare della specie homo sapiens, quella capacità che gli ha consentito di colonizzare anche gli habitat più inospitali dalla Lapponia al Sahara

[2] Vincenzo Morello (Bagnara Calabra10 luglio 1860 – Roma30 marzo 1933) è stato ungiornalista e politico italiano. Fu nominato senatore del Regno d’Italia nell’aprile del 1923. Noto col soprannome di Rastignac, prima di dirigere l’Ora, Morello aveva scritto sulla Tribuna di Roma, all’epoca il giornale più diffuso nel centro-sud. (da Wikipedia)

[3] Sidney Costantino Sonnino (Pisa11 marzo 1847 – Roma24 novembre 1922) è stato unpolitico italianopresidente del Consiglio dei ministri del Regno dall’8 febbraio al 29 maggio 1906e dall’11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910. Nel 1880 nella XIV legislatura è eletto deputato nel collegio di San Casciano in Val di Pesa ed in parlamento appartiene all’ala conservatrice. Nel 1893è ministro delle Finanze e del Tesoro nel terzo Governo Crispi. Sonnino in governo persegue una politica di risanamento dei conti anche con misure impopolari (aumento dei dazi sul grano) e di rafforzamento della Banca d’Italia. Durante la crisi di fine secolo, diede inoltre ordine di sparare sulle folle che manifestavano. Sonnino si pone su posizioni liberalconservatrici, ostili alla politica di più ampie aperture di Giovanni Giolitti. Nel 1901 fonda, insieme ad Antonio Salandra, un nuovo quotidiano a Roma: il Giornale d’Italia. Il giornale è concepito per dare voce alla Destra storica, corrente che in questo periodo si contrappone alla politica di Giovanni Giolitti. (da Wikipedia)

[4] “Nel Mezzogiorno d’Italia, la potenza sociale, politica, morale della piccola borghesia intellettuale è assai più grande e più malefica che nel Nord. Ed è questo uno dei flagelli più rovinosi del Mezzogiorno. Si può dire che, nel Mezzogiorno, la piccola borghesia intellettuale è nella vita morale quel che è nella vita fisica del paese la malaria”….”La classe cosiddetta intellettuale del Mezzogiorno vien su in una ignoranza mostruosa e crassa, in una assoluta incapacità di costruirsi con le sue iniziative personali, attraverso la vita, una seria cultura”….”Avvezzi, fin dai primi anni, a sentir magnificare la “raccomandazione” come il solo mezzo per andare avanti nella scuola, nel Tribunale, nella banca, in municipio, a Roma, essi non vedono nella vita se non un gioco di protezioni, uno scontrarsi di influenze più o meno efficaci, un prevalere di simpatie o antipatie capricciose. Per essi non esiste nessuna scala di valori morali obbiettivi” …. “Si dice che noi meridionali siamo intelligenti….Andate in un pomeriggio di estate in uno di quei “circoli di civili” in cui si raccoglie il fior fiore della poltroneria paesana; ascoltate per qualche ora conversare quella gente corpulenta, dagli occhi spenti, dalla voce fessa, mezzo sbracata, grossolana e volgare nelle parole e negli atti; badate alle scempiaggini, ai non-sensi, alle irrealtà di cui sono infarciti i discorsi”….”La vita pubblica è assolutamente impraticabile per chi non sia una canaglia. Dinanzi alla mischia furiosa e volgare dei partiti, all’uomo onesto non rimane che chiudersi in casa, con la convinzione che gli uni valgono gli altri, e che il Paese andrà alla malora tanto con gli uni quanto con gli altri” (Da Gaetano Salvemini “ La piccola borghesia intellettuale nel Mezzogiorno d’Italia, da “La Voce”, 16 marzo 1911).

[5] Giuseppe de Felice Giuffrida (Catania, 11 aprile 1859 – Aci Castello, 19 luglio 1920) è stato un politico italiano, d’ispirazione socialista. Eletto deputato nel 1892, fu uno dei principali organizzatori dei Fasci siciliani. Subì la repressione del governo Crispi, arrestato venne condannato a 18 anni di carcere dal tribunale militare di Palermo. Trascorrerà in carcere solo 2 anni, ed usufruendo dell’amnistia tornerà libero. Nel 1902 sarà eletto sindaco di Catania e guiderà la prima amministrazione di sinistra della città. Nel 1914 sarà eletto Presidente della Provincia di Catania il 10 agosto 1914. (da Wikipedia)

[6] Vittorio Emanuele Orlando (Palermo, 18 maggio 1860 – Roma, 1º dicembre 1952) è stato un politico e giurista italiano. Nel 1897 fu eletto deputato del collegio di Partinico, in provincia di Palermo, dove fu sempre rieletto fino al 1925. Schierato con Giolitti, dovette subito affrontare da parlamentare il compito di sventare, insieme con socialisti, repubblicani, radicali e giolittiani, mediante il ricorso all’ostruzionismo parlamentare, il tentativo reazionario del Pelloux. Nel 1903 fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo Giolitti; dal 1907 resse il dicastero di Grazia e Giustizia. Alla caduta del governo Giolitti nel 1909 ottenne l’apprezzamento di Pio X, che egli aveva appoggiato nella sua opera di repressione del movimento modernista. Tornò ad assumere un incarico ministeriale – quello di Grazia e Giustizia – nel novembre 1914, con il gabinettoSalandra, decisamente favorevole all’entrata in guerra dell’Italia a fianco delle potenze dell’Intesa. Orlando, già neutralista, dopo l’intervento si dichiarò apertamente favorevole allaguerra ed esaltò le violente manifestazioni di piazza del maggio 1915. (da Wikipedia)

[7] Camillo Finocchiaro Aprile (Palermo28 gennaio 1851 – Roma26 gennaio 1916).  Politico egiurista italiano e ministro della. Deputato alla Camera nel 1882, eletto a Palermo, fu sempre rieletto fino alla morte. Fu ministro di Grazia e Giustizia e Culti del Regno d’Italia nei governiPelloux IFortis IFortis II e Giolitti IV nonché ministro delle Poste e Telegrafi nel Governo Giolitti I. Nel 1913 fece approvare il nuovo Codice di procedura penale. Fu anche vicepresidente della Camera e commissario al Comune di Roma. Padre di Andrea Finocchiaro Aprile, leader delmovimento separatista siciliano. (da Wikipedia)

[8] Luigi Sturzo (Caltagirone, 26 novembre 1871 – Roma, 8 agosto 1959) Sacerdote e politico italiano. Tutta l’attività politica di Sturzo è fondata su una questione centrale: dare voce in politica ai cattolici. Sturzo si impegnò per dare un’alternativa cattolica e sociale al movimento socialista. (da Wikipedia)

[9] Napoleone Colajanni (Castrogiovanni, 1847 – Castrogiovanni, 2 settembre 1921). Scrittore e politico italiano. Nel 1890 fu eletto per la prima volta deputato nazionale, ma continuò la carriera accademica, diventando professore di Statistica all’università di Palermo nel 1892. Dopo avere svolto un ruolo da leader di fatto dei repubblicani in Parlamento, muovendosi da promotore di iniziative parlamentari come l’inchiesta sull’Eritrea (1891) e la denuncia dello scandalo della Banca Romana (1892), nei primi anni del decennio fu leader dei Fasci dei lavoratori siciliani, rompendo duramente con Francesco Crispi nel 1894 per lo stato d’assedio in Sicilia. L’anno successivo prese parte da promotore al congresso fondativo del Partito Repubblicano Italiano. Allo scoppio della prima guerra mondiale, nonostante le sue idee antimilitariste, fu sostenitore dello schieramento interventista, prima di condurre una vigorosa campagna contro l’Avanti, organo del Partito Socialista Italiano appena sottratto alla direzione di Benito Mussolini, e di criticare apertamente le simpatie bolsceviche del PSI. (da Wikipedia)

[10] F. Renda, Socialisti e cattolici in Sicilia.

[11] Sonnino già nel 1893, aveva presentato alla Camera un disegno di legge per disciplinare i rapporti tra i contadini e i cerealicoltori in Sicilia, ma la proposta non fu approvata. Per alcuni il Meridione era una appendice della penisola, solo il tacco e la suola di uno stivale. Tuttavia Sonnino non rinunciò ai suoi obiettivi. Il disegno di legge, presentato una prima volta nel 1902, venne riproposto durante i mesi del primo governo Sonnino, che iniziò l’8 febbraio 1906 e si concluse il 29 marzo, ed aveva come obiettivo specifico quello di dare assistenza economica ai contadini del Sud, affinché questi non cadessero vittime degli usurai. Il Governo cadde poco dopo, ma il 15 luglio dello stesso anno, riconfermato Giolitti come Primo Ministro, la Legge Sonnino venne approvata. Erano gli anni della crescita demografica e dello sviluppo, gli anni in cui veniva regolamentato il lavoro dei fanciulli e delle donne, affermato l’obbligo del riposo settimanale, riconosciuto il diritto alla maternità per le donne lavoratrici; erano gli anni delle leggi speciali, quelle che si proponevano di finanziare opere di sistemazione idrogeologica, di bonifica, di realizzazione di nuove vie di comunicazione e di creare impianti industriali nel Sud. Erano gli anni in cui la mancata incisività delle decisioni normative diedero ampio spazio alla trasgressione:le clausole sui patti agrari della Legge Sonnino vennero svuotate di significato e nelle campagne Meridionali la condizione non subì miglioramenti decisivi, sebbene la legge n.383, 15 luglio 1906 prevedesse l’esenzione dell’imposta sui fabbricati rurali, e la riduzione del 30% dell’imposta erariale per i redditi inferiori a 6.000 Lire. Il disegno di legge aveva tutti i requisiti per contribuire ad un miglioramento delle condizioni sociali ed economiche del Sud, ma in realtà non si concretizzò quanto Sonnino aveva sperato: alla fine del 1907 erano stati emanati, infatti, soltanto alcuni regolamenti per la diffusione dell’istruzione elementare e per la costruzione di vie di comunicazione per i comuni con i maggiori disagi. L’usura continuava ad essere una delle piaghe sociali più diffuse e le condizioni dei contadini non sarebbero migliorate di molto negli anni successivi, quelli che videro un’accentuazione dello squilibrio tra Nord e Sud, per l’ubicazione di nuovi impianti industriali in quella parte d’Italia, il Settentrione, dove maggiormente si era predisposti ad investire denaro, in grado di dare concreti risultati anche a lungo termine. (Irene Quaresima http://www.napoliontheroad.it/quaresimasonnino.htm).

[12] F. Renda, Storia della mafia

[13] Il metodo FRASCH permetteva di estrarre lo zolfo in profondità, attraverso dei semplici pozzi dove veniva immessa acqua calda che scioglieva lo zolfo dalla roccia e la soluzione acqua-zolfo veniva aspirata attraverso delle pompe. Questo sistema eliminava totalmente il lavoro di escavazione in galleria con un notevolissimo abbattimento dei costi di estrazione.

[14] In Salvo di Matteo, Storia della Sicilia, pag, 517

[15] Ritter F., La via mala, Milano, 1973, p. 13 e seguenti

[16] Pontieri E., in Gleijeses V., La Storia di Napoli, p. 853.


Bibliografia aggiuntiva della parte quinta

AA.VV. Storia della Sicilia, Società Editrice Storica di Napoli e Sicilia

Di Matteo, F., Storia della Sicilia, Edizioni Arbor, 2006

Lupo, S., Quando la Mafia trovò l’America, Einaudi 2008

Mack Smith, D., Storia della Sicilia medievale e moderna, Laterza, 1971

Montanelli, I., L’Italia di Giolitti, BUR

Renda, F., Socialisti e cattolici in Sicilia, S. Sciascia Ed., 1972

Renda, F., rancesco Storia della Sicilia, Sellerio Editore 2003

Renda, F., Storia della mafia, Pietro Vittorietti edizioni, 1998

Ritter F., La via mala, Milano, 1973

fonte http://www.ilportaledelsud.org/giolittiana.htm

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