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L’ETA’ DELL’ORO DI FERDINANDO IV (SESTA PARTE)

Posted by on Giu 22, 2017

L’ETA’ DELL’ORO DI FERDINANDO IV (SESTA PARTE)

LA LEGISLAZIONE …WELFARE STATE……… DI SAN LEUCIO

Del resto, mentre ogni studioso ha voluto tentare paragoni con le idee del tempo stiracchiando il testo dello statuto verso l’umanitarismo e verso il giusnaturalismo, l’unico accostamento che si può fare è proprio quello con le reducciónes gesuitiche. Infatti, cardine del sistema leuciano, enunciato da una serie di «Doveri negativi» e «Doveri positivi» della morale comune, e da «Doveri generali» e «Doveri particolari», legislazione vera e propria della comunità, è la «perfetta eguaglianza» in cui

«il Savio, il Ricco, l’Agricoltore, l’Artista, quando impiegano i loro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche a pro’ dei cittadini, possono ben vantarsi di essere benefattori dell’umanità».

Per questo, come avevano già fatto i missionari del Paraguay, nessuno deve distinguersi dagli altri se non «per esemplarità di costume ed eccellenza di mestiere», e il vestire «per evitar la gara nel lusso» sia uguale per tutti (si tenga presente che, a quel tempo, era normale che i popolani di ogni paese, regione, corporazione, avessero costumi tradizionali della stessa foggia). Lo stesso concetto di uguaglianza proibisce di farsi chiamare col “Don” (uno spagnolismo che era ormai dilagato nel Napoletano), distintivo riservato, come in origine, «solo ai sacri ministri». Fra i doveri particolari vi sono la riverenza e l’ossequio che i cittadini devono ai sovrani e il rispetto ai ministri che li rappresentano.

Il diritto di famiglia, pensato come abbozzo di una riforma da estendere a tutto il regno, è fra le parti più innovative della legislazione. L’età degli sposi, infatti, non può essere inferiore ai vent’anni per i maschi e ai sedici per le femmine, e il matrimonio sarà autorizzato dal “Direttore dei mestieri” per lui e dalla “Direttrice” per lei, provando che entrambi siano «provetti nell’arte, a segno di potersi lucrar con sicurezza il mantenimento».

Le doti sono abolite, e il Re stesso provvederà a fornire l’abitazione, la mobilia, la suppellettile e gli attrezzi del mestiere, due telai per la tessitura della seta, e tutto ciò che possa occorrere in casa. Comunque, pur avvertiti, «acciò vada tutto con decenza […] nella scelta non si mischino punto i genitori, ma sia libera dei giovini».

La cerimonia del fidanzamento ci trasporta in piena Arcadia: «Nel giorno di Pentecoste, nella Messa solenne in cui interverranno tutti gli abitanti del luogo e le fanciulle e i giovini esteri che travagliano nelle manifatture, da due fanciullini dell’uno e dell’altro sesso si porteranno all’altare, per benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche per gli uomini e di color naturale per le donne.

E nel terminar questa funzione, da ciascuno individuo se ne prenderà uno, come le palme. Nell’uscir poi dalla chiesa, i pretendenti, nell’atrio di essa dov’è il battisterio, presenteranno il lor mazzetto alla ragazza pretesa: e questa, accettandolo, lo contraccambierà col suo, ma escludendolo, con polizia e buona maniera, glielo restituirà. E né all’uno né all’altra sarà permessa contestazione alcuna: e perciò, i primi ad uscir di chiesa saranno i Seniori del Popolo per imporre loro la dovuta soggezione. Coloro che contraccambiato si saranno il mazzetto, lo porteranno in petto sino alla sera quando, dopo la Santa Benedizione, accompagnati dai rispettivi genitori, si porteranno dal parroco che registrerà i nomi e la parola».

Le leggi di San Leucio, «essendo lo scopo di questa società che tutti rimangan nel luogo», sono alquanto severe per quel che riguarda i matrimoni “extracomunitari”: alle fanciulle che vogliono maritarsi fuori dalla colonia viene consegnata una dote di cinquanta ducati «senza speranza di mai più potervi tornare», al giovane che vuol prendere una moglie di fuori, gli è permesso a condizione che prima costei impari il mestiere, in caso contrario anch’egli dovrà lasciare per sempre la comunità.

Altrettanto rigore viene usato con i bighelloni che, se compiuti i sedici anni, non mostran voglia di lavorare, saranno mandati in casa di rieducazione finché non ritornino ben istruiti. Seguono consigli e ammonizioni sui doveri dei coniugi e dei genitori esortati ad educare la prole nei doveri e nelle virtù ma, soprattutto, nella religione: «Questo è di tutti i doveri l’articolo più importante: e perché scorgo che da esso deriva non solo la pace e il benessere delle famiglie ma benanche la prosperità la felicità dello Stato».

L’istruzione, «per divenir uomo dabbene ed ottimo cittadino», è obbligatoria per tutti, dai sei anni, e comprende, oltre le nozioni elementari, la formazione professionale con macchine moderne, abili istruttori, corsi di aggiornamento. Il lavoro sarà pagato in relazione alla perizia, fino al massimo «che godesi da’ migliori artisti nazionali e forestieri».

E se il talento personale andrà ancora oltre, gli artigiani più meritevoli saranno premiati con segni di distinzione, medaglie d’argento e d’oro da portarsi in petto, e il privilegio di sedere in chiesa al “banco del Merito” a sinistra dell’altare, di fronte a quello dei “Seniori”. I testamenti sono aboliti: «la sola giustizia naturale e la natural equità sia la face e la guida di tutte le vostre operazioni», raccomanda il sovrano.

Unica successione resta quella di primo grado: figli e figlie hanno parti uguali, la vedova, se mancano figli, gode dell’usufrutto. In mancanza d’eredi, i beni del defunto vengono devoluti ad un “Monte degli orfani” dalla cui cassa saranno mantenuti coloro che non sono ancora in grado di sostenersi col lavoro, e a cui il Re aggiungerà del suo quello che manca.

L’esortazione alla concordia familiare, a quella tra fratelli, figli e genitori, si estende ai maestri, ai benefattori, agli anziani: «l’amore è l’anima di questa società». Società tradizionale, e quindi patriarcale, eppure democrazia estesa dove, dai capi famiglia, nella festa di San Leucio, vengono scelti «cinque dei più savi, giusti, intesi e prudenti» che, col nome di “Pacieri” o “Seniori del Popolo”, insieme al parroco, governano la comunità.

Essi provvederanno all’annona, all’esercizio dei commerci, al calmiere dei prezzi, all’ordine e alla moralità pubblica, all’assiduità e all’esattezza del lavoro, all’igiene, alla sanità, con la visita giornaliera dei malati che saranno «assistiti tanto nello spirituale che nel temporale con la massima esattezza e scrupolosità».

San Leucio, difatti, vanta realizzazioni d’avanguardia: una “Casa degli infermi” per i malati contagiosi sia cronici che acuti, «separata totalmente dall’altre, in luogo di aria buona e ventilata», dove, due volte l’anno, viene praticata a tutti i bambini la vaccinazione antivaiolosa. Anche ai bisogni di quest’ospedale provvede il Re di tasca sua.

Ma il “welfare state” va ancora più in là: una “Cassa della carità”, sovvenzionata da una tassa proporzionale al reddito degli abitanti e da libere offerte, provvede ad ogni bisogno degli sventurati, dal sussidio in denaro fino alle esequie e ai suffragi religiosi. Gli evasori fiscali, i «contumaci», additati dapprima al pubblico disprezzo, non avranno mai più, se recidivi, diritto a nessuna forma di assitenza, neanche alle esequie ed ai suffragi.

“Dalla culla alla tomba”, la colonia di San Leucio provvede ai suoi abitanti senza mai dimenticare il fondamento dell’uguaglianza. Le onoranze funebri perciò, gratuite, saranno «semplici, divote, senza distinzione», di chiunque si tratti. Ma la comunità, quando si tratti di un Seniore, onorerà il defunto con la presenza di tutti i capi famiglia che, portando ceri per riconoscenza, lo accompagneranno all’estrema dimora. E lo stesso faranno gli allievi per i Direttori e per le Direttrici.

Ma l’ottimismo cristiano impedisce che il dolore turbi oltre misura la serena convivenza dei leuciani: «Non vi siano lutti, e solo nelle morti de’ genitori e degli sposi, per gli ultimi uffizi dovuti ai medesimi, sia permesso alla tenerezza dei figli, delle mogli e de’ mariti un segno di duolo di un velo al braccio per l’uomo e di un fazzoletto nero al collo per la donna, per due mesi soli al più».

Quando un abile artigiano muore, è un altro leuciano, di preferenza, a prendere il suo posto, ma gli sarà pagata solo una parte del salario del defunto: la metà o un terzo, a seconda che ella abbia o no figli che la sostengano, andrà alla vedova finché rimanga in vita.

Sulla comunità incombe rassicurante la figura paterna del Re che premia, soccorre ma vigila perché la legge sia applicata con intransigenza. Ogni grave trasgressione è punita senza appello e ne fanno le spese anche i congiunti. Sono delitti gravi quelli contro il buon costume, che comportano l’espulsione dalla colonia, quelli contro la regola del vestire, che privano per sempre il colpevole dell’abito, dei proventi e degli altri benefici.

Alla giustizia ordinaria, dopo essere stato spogliato dell’abito del luogo, viene consegnato chi si macchia di reati comuni penali o civili. Al codice vero e proprio è annesso, poi, col titolo «Doveri verso Dio, verso sé e verso gli altri, verso il Re, verso lo Stato», un vero e proprio “catechismo” «per uso delle scuole normali di S. Leucio» formulato secondo la prassi post tridentina delle domande e delle risposte.

Sebbene finalizzata alla vita della comunità, la catechesi, impartita con estrema chiarezza e facilità, non si discosta minimamente dalla dottrina cattolica: peccato, grazia, redenzione, salvezza sono espressi in maniera assolutamente ortodossa e teologicamente corretta. Del Dio di Gesù Cristo, a differenza della “deità” razionalista o del “grande architetto” teosofico, si enunciano tutte le peculiarità cattoliche: unità e trinità, creatività dal nulla, provvidenza, giustizia, misericordia.

Come ha esordito invitando all’osservanza della legge divina, così, sviluppandone i precetti, si chiude la legislazione della colonia di San Leucio che contiene, inoltre, due graziosi inni, uno per il mattino, l’altro per la sera, composti in stile metastasiano, con intercessioni per «la pietosa Carolina e la Regia amabil Prole», per «i nostri amorosi Genitori, i Parenti, i patri Lari, i Maestri, i Direttori».

Un minuzioso orario per tutti i mesi dell’anno fa da appendice e chiude il volumetto. Si noti, a questo proposito, che il tempo assegnato al lavoro, secondo quella che era la normale giornata di fatica del popolo di quel tempo, è, in media, e a secondo della lunghezza della giornata nella stagione, di undici ore al giorno. Nelle manifatture inglesi, nella stessa epoca, si praticavano turni di lavoro dalle quattordici alle diciotto ore per gli adulti, alle sedici ore per i ragazzi fra i dodici e i quattordici anni. Il lavoro maschile e quello femminile, a San Leucio, erano perfettamente uguali e Ferdinando rifiuterà di abrogare questa norma quando, nel 1804, il direttore generale della filanda gli farà notare gli alti costi delle manifatture dovuti alla parità di trattamento.

ll successo dello statuto e la fama della colonia di San Leucio (che oltretutto produceva sete preziosissime esportate dovunque), furono immediati: una vera apoteosi accolse la legislazione nel Regno e all’estero dove l’opera del Re, stampata, oltre che in italiano, latino e greco, anche in tedesco e francese, venne immediatamente chiosata, commentata, paragonata a quelle dei più celebri filosofi e legislatori dell’antichità.

A Napoli non vi fu, in pratica, persona colta, che non scrivesse e pubblicasse le proprie considerazioni e le proprie lodi, non sempre dettate solo da cortigianeria, per quel testo e quell’opera che anche i futuri oppositori di Ferdinando IV di Borbone non poterono omettere di esaltare.

La piccola comunità di setaioli ispirava anche i musicisti: in suo onore il Paisiello componeva la Nina pazza per amore. Una portoghesina dalla vita molto chiacchierata, una tale Eleonora Fonseca Pimentel che era riuscita ad imbucarsi a corte dove assillava la Regina e le dame con i suoi panegirici in poesia, aveva composto delle rime d’occasione: Ferdinando vi scendeva dalle nubi come «novello Numa».

Naturalmente, come abbiamo visto, ognuno la piegò al suo vento e così, intorno alla piccola comunità si concentrarono gli sforzi di tutti gli intellettuali. Si chiedeva a gran voce che le leggi leuciane venissero estese a tutto il Regno e che la stessa architettura delle sue case e dei suoi stabilimenti, progettati dal Collecini, potessero essere il centro di una “Ferdinandopoli”, una città fantastica e ideale che, a partire dal nucleo di San Leucio, si estendesse, secondo uno smisurato progetto urbanistico, a tutta la Campania. Anche questo era nella moda della cultura europea ed anche in questo campo, Napoli segnò il primato del suo pensiero.

 

fonte

la storia che non si conosce

 

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