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L’Europa come l’Impero romano: l’implosione per il calo delle culle

Posted by on Feb 14, 2016

L’Europa come l’Impero romano: l’implosione per il calo delle culle

di Giulio Meotti

Quei razionalisti polemici di Voltaire e Gibbon attribuirono la caduta dell’Impero Romano al disfattismo ispirato dal cristianesimo, atterriti dall’immagine della chiesa dell’Aracoeli e dello sciamare sul Campidoglio di frati salmodianti. Altri sono ricorsi all’insufficienza militare, la sclerosi amministrativa, il benessere, il distacco degli animi, le diserzioni, le connivenze con gli invasori. Gli studiosi ispirati al materialismo storico, come Mazzarino e Mazza, hanno fatto risalire il crollo alla crisi monetaria, mentre i marxisti, come Gordon Childe, hanno puntato sulle contraddizioni di una società basata sulla schiavitù.

Adesso uno storico francese, Michel De Jaeghere, nel suo libro di seicento pagine “Les derniers jours”, gli ultimi giorni, scrive che la causa della caduta dell’Impero fu l’implosione demografica. Il libro, recensito in maniera entusiastica dall’accademico francese Jean d’Ormesson, sostiene che Roma collassò, passando da un milione di abitanti ai ventimila del V secolo. Si produsse quella che Eric Dodds ha definito “un’epoca d’angoscia”. La denatalità portò alla crisi dell’amministrazione, del sistema stradale, dell’erogazione di acqua su lunghe distanze, dell’irrigazione, dei mulini; e così aumentarono la vulnerabilità alle malattie e l’emigrazione. Infine, il calo generale ridusse le capacità militari e di sicurezza dell’Impero. Dal 165 d.C., la popolazione diminuì bruscamente: un quarto degli abitanti scomparve tra il 200 e il 400, e un quarto della restante popolazione tra il 400 e il 500. E’ quella che De Jaeghere definisce “démographie du déclin”, la demografia del declino, riprendendo la tesi di un altro francese, il docente della Sorbona Pierre Chaunu che nel suo libro “Un futur sans avenir”, uscito da Calmann-Lévy, analizzò il crollo demografico del tardo Impero, il passaggio dai 55-60 milioni di abitanti dell’epoca di Augusto a 25-30 milioni. La storia della caduta dell’Impero, scrive De Jaeghere in conclusione, “è un avvertimento per noi”, ponendo in rilievo le analogie tra quell’immenso rivolgimento e il travaglio dell’occidente. Alcuni giorni fa, l’Economist ha dedicato un servizio speciale al crollo demografico della ricca e imperiale Germania. La città di Schladen-Werla, nella Bassa Sassonia, è uno dei centri urbani tedeschi entrati nella “spirale del diavolo”, come l’ha definita il sindaco Andreas Memmert. La città perderà un terzo della popolazione entro il 2030. Scrive l’Economist che nel 2060 i tedeschi saranno scesi di un quinto della popolazione totale. Dagli attuali 47 milioni di abitanti, la Spagna è destinata a passare a 35 milioni in trent’anni. E l’Italia è in pieno suicidio demografico. La burocrazia che si estende in modo incontrollabile, le ville dei senatori egoisti e oziosi, i fragori degli scontri religiosi e razziali scorrono ammonitori fra le belle pagine di De Jaeghere, costantemente tenendo di mira il presente, la nostra abulia, il nostro cedimento interiore.

Montaigne, nel freddo inverno del 1580, si guardò intorno e rifletté sulla “grandezza infinita” soffocata sotto i ruderi di Roma. Adesso è il momento di quella che Cyril Connolly ha chiamato l’ora di chiusura dei giardini d’occidente?

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