Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

L’IMPRESA GARIBALDINA di GIACINTO DE’ SIVO

Posted by on Giu 4, 2019

L’IMPRESA GARIBALDINA di GIACINTO DE’ SIVO

“…Ed avea ben preparata la macchina; avea ben colme d’oro le mani; aveva uffiziali e ministri fra gli uffiziali e ministri del re assalito; aveva con sé e per se i camorristi; aveva sicurezza di non esser turbata pel non intervento; avea la bandiera d’un re di vecchia stirpe, con la croce spiegata; e, in caso di sconfitta, ben a ragione si fidava nel soccorso di questo nuovissimo re.

Lo appellò quindi re galantuomo, re di setta, re che piglia l’altrui e il fa pigliare.

Quindi preparò navigli, uomini ed arme in Genova sotto gli occhi di tutte le nazioni; quindi il famigerato marinaio di Nizza, alla presenza delle armate francesi ed inglesi, fe’ co’ suoi mille il grande intervento.

Questo medesimo Garibaldi, non con mille, ma con quattromila, undici anni innanzi, era entrato in Terra di Lavoro ad Arce; ma combattuto dalle guardie urbane, dopo alquante ore, all’avvicinarsi del maresciallo Ferdinando Nunziante rattamente si fuggì.

Ora undici anni di più l’han fatto prode! Senza offesa da’ nostri marini, l’Eroe discende a Marsala; è rotto sì a Catalafini, ma il nostro generale ritraeva i soldati dalla vittoria.

Quindi un primo consiglio d’estera potenza faceva uscir da Palermo ventimila uomini, senza colpo ferire; dappoi che al pio Francesco era messo innanzi agli occhi il danno della città, vicina ad essere insanguinata e abbattuta.

Seguiva il fatto d’arme di Melazzo, dove il colonnello Bosco con duemila uomini urtava in dodicimila Garibaldini.
La storia dirà forse il perché da Messina prima partiva, e poscia era chiamato indietro il soccorso di milizie, che avrebber posto fine alla guerra.

E un secondo estero consiglio faceva ritrarre dalla Sicilia tutte le non vinte nostre soldatesche.
In tal guisa aveva la rivoluzione un regno intatto, e trovava arme ed agio per invader l’altro. Il mondo vide rinnovellati gli giuochi stessi tante volte usati.

Luigi XVI, circondato da consiglieri Giacobini, fu indotto a quelle concessioni che il portarono al patibolo. Carlo X cadde per simiglianti consigli, e Luigi Filippo che da’ Carbonari era stato innalzato al trono, ne discese vittima egli stesso.

Similmente il nostro re, che in quel momento supremo avrebbe dovuto stringer forte le redine dello stato, fu da’ suoi consiglieri spinto a promettere il richiamamento della costituzione.
Allora infranse il suo scettro. Le sette domandano sempre costituzioni, ma non per francare i popoli, bensì per avere un terreno dal quale impunemente avventar colpi al trono e alla società.

Avean fallato nel 1848; non si fallò nel 1860. Subito i fuoriusciti ed i traditori presero il governo; abusarono della cavalleresca pieghevolezza del monarca, tutte cose mutarono, disposero essi delle forze e delle ricchezze nazionali, e prepararono il cammino trionfale al Garibaldi.

Per guadagnar tempo da corromper l’esercito, finsero trattare una lega italiana; inviarono loro ambasciatori a Torino; e sindaco il re galantuomo si piegò a scrivere al Garibaldi, pregandolo si arrestasse. Ma costui baldanzosamente niegava; e la commedia col ricusarsi la lega si compieva.

A tanta ignominia i ministri patrioti e liberali discesero, che un regno di Napoli pitoccava da un avventuri ero e da un Piemonte d’esser lasciato stare! Ma i liberali non han patria.

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