Alta Terra di Lavoro

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L’ORGANIZZAZIONE DEI SEDILI IL RETICOLO URBANISTICO DEI SEDILI

Posted by on Gen 24, 2020

L’ORGANIZZAZIONE DEI SEDILI IL RETICOLO URBANISTICO DEI SEDILI

Dal periodo della regnanza normanna a quella angioina con la sua riforma, il numero dei seggi era così composto:

1 – SEGGI MAGGIORI, corrispondenti topograficamente ai 4 quartieri più antichi della città di Napoli

2 – 25 SEGGI MINORI all’interno di quelli Maggiori. Questi sedili si suddividevano, a sua volta, in:

A) OTTINE per il popolo;               B) TOCCHI o Tocci per la nobiltà.

Molti di questi seggi minori presero il nome dalla famiglia nobile più potente ivi residente, nonché dalla chiesa presente nel quartiere, come dal luogo stesso. Tale moltitudine di seggi, distribuita su tutta la città in forma di maglia reticolare, garantiva un più funzionale decentramento dell’ordinamento amministrativo ed una maggiore autonomia governativa sulle decisioni territoriali. Ciò è documentato sia dalla lettera di S. Gregorio Magno ai napoletani, sia dalla scrittura d’immunità concessa da re Tancredi agli amalfitani (1190).

Simile modello di organizzazione amministrativa si diffuse anche in altre città regie del Mezzogiorno, quali ad esempio Aquila, Lucera, Sorrento, Trani e Cosenza, seppur anche nelle città demaniali si formarono aggregazioni nobiliari.

Dalla riforma di re Roberto d’Angiò (metà XIII sec.), il numero dei seggi scese a cinque e successivamente a sei, includendo quello di Popolo, restando invariato fino all’epoca della loro abolizione nel XIX secolo.

LA STRUTTURA DEL SEGGIO

Il seggio, oltre ad essere formato spesso da un edificio a pianta quadrata con una piccola sala per riunioni ristrette, aveva anche un locale adibito a sala per le assemblee, ove si riunivano i vari delegati iscritti delle aree rionali dei quartieri. Tali delegati erano scelti dagli iscritti al seggio che si chiamavano “cavalieri di seggio”,  mentre le consorti erano dette “dame di piazza”. Costoro provvedevano, in assemblea, alla nomina annuale dei rappresentanti di seggio, chiamati “consoli” nel basso medioevo e poi eletti ( sei deputati per ogni seggio, cinque eletti per quello di Nido, per un totale di ventinove rappresentanti con età superiore a ventuno anni) “pel mandato che ricevevano di elezione dal rispettivo seggio”.
Gli eletti erano rappresentanti delle principali famiglie aristocratiche, residenti nell’area, preposti ad occuparsi dei pubblici affari.

Costoro si radunavano periodicamente nel sedile per discutere in pubblico dibattito di varie problematiche cittadine, per le quali faceva seguito una specifica delibera. Questi esponenti, comunque, appartenevano a famiglie che erano, a detta dell’Ammirato, “un’ordine di discendenza, la quale trahendo una persona principio, e ne’ figliuoli, e da’ figliuoli a nipoti, e così per conseguente da’ nipoti a pronipoti ampliandosi”.
Gli eletti, su scelta del seggio, potevano recarsi a corte per riferire al sovrano quanto era stato deliberato dall’assemblea della piazza. Gli eletti, inoltre, avevano diritto di sedere nel Collaterale e precedevano negli onori i feudatari ed i supremi ufficiali del regno in tutte le solennità. Venivano consultati periodicamente dai sovrani, quando doveva essere promulgata una legge, rappresentando così un prezioso organo di rappresentanza cittadina, atto a scongiurare eccessive politiche fiscali.

Gli eletti dei sedili, con i feudatari del regno (principi, duchi, marchesi, conti, baroni) nonché con i sindaci, formavano il parlamento dei deputati della città di Napoli, che deliberava su numerose e variegate iniziative (donazioni alla corona: quelle del 1507-1520-1523-1524, la difesa militare, le campagne di guerra, accordi economici-commerciali etc).
Esisteva, poi, un parlamento generale che riuniva esclusivamente i baroni del Regno delle varie province per decisioni urgenti ed importanti sulla sicurezza dello stato o sulla raccolta della regalia reale(60).
L’ascrizione al seggio di nuove famiglie avveniva per il tramite di una commissione giudicante interna (poi sostituita nel tempo da altri organi), atta ad esaminare tutte le prove nobiliari (il vivere “more nobilium”), e si formalizzava attraverso una cerimonia con regole fissate dai capitoli del seggio. Tra le antiche prerogative, sull’esempio dei Tebani, si diffuse quella di ammettere tra la nobiltà “que’ del popolo, ch’eran ascesi a gradi di ricchezze, e quegli ancora che per lungo tempo erano nobilmente vissuti, ed avevano lasciato il mercantare, ed altri simili mestieri, o che per lungo tempo erano vissuti con arme e cavalli”. Si giunse, poi, ad aggregare sulla base del solo principio del “vivere nobilmente”, sia nel caso di “cittadini come forestieri”, nonché in base al contrarre “parentela co’ Nobili” o al vivere in un quartiere del seggio.
Il Mazzella, invece, ha evidenziato nella sua opera che taluni requisiti richiesti per appartenere alle classi nobili dovevano essere:

1.- “l’antichità”, cioè il “contar molti gradi, o come dir si debbia molte generationi, o’ ver molte età”;

2.– “lo splendore”, cioè “honori e dignità avute…baronaggi e titoli..le lettere, il valor militare, la fede, la liberalità, e la giustizia, e soprattutto la santità, la patria”.
E’ da evidenziare che i sedili, seppur erano autorizzati a questionare con controlli sui requisiti necessari al patriziato, non entrarono mai in merito nelle controversie sui diritti successori al titolo tra gli eredi. Taluni seggi, come Nido e Capuana, giunsero, invece, ad espellere quei personaggi ritenuti non più degni di appartenere alla piazza, a causa di un loro comportamento nefasto o per fatti incresciosi. Re Filippo II  stabilì, come già detto, che l’aggregazione di una famiglia al seggio doveva ottenere la nomina regia. Difatti, sotto tale sovrano fu respinta la richiesta del menzionato gruppo di nobili di aprire le “piazze” ad altre famiglie, aumentandone il numero.
Il viceré di Napoli, don Giovanni Mariquez de Lara, giustificò il sovrano rifiuto con l’aver voluto evitare un contrasto tra la nobiltà di Piazza e la nobiltà fuori Piazza o extra sedile.

Tale diniego reale intese non modificare l’organizzazione dell’antico governo cittadino, nonostante l’espansione della città di Napoli con suo modificato assetto urbanistico e consequenziale crescita degli abitanti, nonché la riduzione del numero degli esponenti di alcuni seggi (Porto e Montagna) a causa dell’estinzione di talune famiglie ascritte.
In sintesi fu preclusa, alla più recente nobiltà ed al ceto borghese, la possibilità di entrare a far parte del governo amministrativo, rappresentando, inoltre, un primo tentativo palese della monarchia di indebolire il governo dei sedili, garante dell’antico sistema oligarchico aristocratico. Del resto, i sovrani ed i viceré, videro nei sedili, per la loro forza sociale e politica, la costante minaccia degli equilibri governativi all’interno della città e del regno. Ciò spiega, difatti, i divieti imposti nel corso dei secoli alle piazze a riunirsi in assemblee, senza autorizzazione reale giustificatrice. Qualora il governo reale veniva a conoscenza di iniziative del genere da parte dei sedili, provvedeva allo scioglimento delle adunate con l’uso della forza.

Era, anche, norma che per ogni seggio si scegliesse un eletto tra i sei nominati, (per un totale di sei per le piazze nobili, che si appellavano “capitani dei nobili”, ed uno per il Popolo, detto “capitano di strada Popolare”), con mandato annuale, ai quali si affidavano le chiavi di ogni porta cittadina , una copia ai capitani ed altra all’eletto del Popolo.
Nel marzo del 1655, ad esempio, erano : Nido (Pompeo Pignatello di Montecalvo), Montagna (Antonio Muscettola), Portauova (Andrea Capuano), Porto (Luise Macedonio), Capuana (Filippo Capecelatro). Costoro, inoltre, sotto la presidenza di un magistrato di nomina regia (“Grassiere”)(61) designavano i magistrati del Tribunale di S. Lorenzo Maggiore, chiamati ad adempiere a talune funzioni governative della città (magistratura municipale). Tali rappresentanti si riunivano nella sala del Capitolo del convento omonimo, sede del Tribunale. Il Consiglio del Tribunale, formato dagli eletti, durava in carico un anno e prendeva le decisioni sulle necessità dell’amministrazione della città, oltre a rilasciare attestati di nobiltà ad esponenti della nobiltà “extra sedilia”.
Il Tribunale di San Lorenzo costituì speciali “deputazioni” per favorire la normale amministrazione. Le deputazioni erano nove con precise mansioni:

a) Prima Deputazione (Pecunia) si occupava della gestione del patrimonio cittadino: tasse e pratiche fiscali. L’esattoria delle gabelle era affidata ad un esponente di famiglia ricca. Per la consuetudine di affidare tale servizio, diretto da un “Portolano”, a personaggi della famiglia Moccia, nel tempo si diffuse la costumanza popolare di indicare con il termine “moccia” qualsiasi tipo di esazione materiale.

b) Seconda Deputazione svolgeva funzione di controllo e revisione sull’amministrazione cittadina.

c) Terza Deputazione (Fortificazioni) era preposta al mantenimento delle opere di fortificazione cittadina.

d) Quarta Deputazione (Mattonato/Fortificazioni/Acqua) si occupava della fortificazione interna, dell’approvvigionamento idrico, dei fabbricati edili e manutenzione delle strade. Tale deputazione, formata dai vari rappresentanti di seggio (ad esempio D. Francesco Capuano fu deputato nel 1741 per il seggio di Portanova, come lo fu il di lui figlio Gio. Battista nel 1767 e 1773 ), si interessò spesso della confacente sistemazione urbanistica. Tra gli ultimi piani di sviluppo urbanistico è noto quello ben articolato del 1789 di Vincenzo Ruffo, approvato dal Tribunale di S. Lorenzo. Circa i compiti di manutenzione delle strade cittadine, si ricorda che queste nel ‘500 erano pavimentate con grossi mattoni di argilla, cotti nell’isola di Ischia. Successivamente, tale pavimentazione fu sostituita con ciotoli di fiume, “alla romana”. Nel ‘600, infine, si utilizzarono grosse squadrature rettangolari di selce o piperno (“valovo” o basolo).

e) Quinta Deputazione (Capitoli) si occupava della conservazione dei capitoli, con privilegi e garanzie concessi alla città e regno, nonché della rispettiva attuazione. Si aggiunse alla deputazione quella dei “pregiudizi” con compiti di nomina del primo ambasciatore alla corte di Madrid, onde denunciare eventuale soprusi contro la città. Tale Deputazione fu spesso contrastata dal viceré con l’appoggio del popolo per timore di una perdita di potere.

f) Sesta Deputazione (Monasteri) si occupava dei rapporti con i monasteri, curando contatti e giurisdizione. Quando tale funzione fu assolta dal re, la deputazione fu soppressa.

g) Settima Deputazione tutelava con una continua opera di vigilanza il privilegio (concesso da Papa Paolo III ed imperatore Carlo V) di non far entrare in Napoli la Santa Inquisizione. Sorse in conseguenza dei citati tentativi di introdurre detto tribunale a Napoli ad opera di vari Vicere’, a cominciare da Raimondo di Cardona, che autorizzò nel 1509 l’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione, generando un immediato tumulto popolare durato quasi undici anni.

h) Ottava Deputazione si occupava della zecca formata da ventitré membri, che si recavano alla zecca quando necessitava mettere in circolazione nuove monete. Fu abolita ed inglobata dalla Regia Camera della Sommaria.
i) Nona Deputazione si occupava della gestione delle riserve di olio, presso i depositi (cisterne), necessarie nei periodi di occupazione. Era formata da un deputato per ogni seggio per meglio gestire l’annona olearia. Per tale attività i banchi cittadini mettevano a disposizioni un capitale di 4000 ducati  che venivano restituiti. Commercianti e bottegai d’olio erano obbligati a comprare l’olio dalla Deputazione. Questa fu abolita dopo i tumulti per l’Inquisizione perché l’annona dell’olio e del grano dovevano essere sotto il controllo diretto del viceré. Fu, poi, il viceré conte Olivares che fece approvare l’istituzione del Tribunale dell’Annona e costruire nel 1596 un edificio-magazzino per le farine nella strada del molo Piccolo, su progetto dell’architetto Domenico Fontana. Altro edificio fu costruito nei pressi di Port’Alba, vicino alle mura angioine. Fu chiamato dal popolo “o fosse u ggrano “ per la presenza di tanti fossi serbatoi di contenimento del grano.

Tra le Deputazioni straordinarie si aggiunse quella “per la peste” del 1656, detta, poi “della Salute”. Circa quest’ultima Deputazione le cronache hanno scritto: “questo tribunale della Deputazione si tiene ogni giorno, cossì la matina come il doppopranzo, nella Doana della Farina vicino al Molo, e li Deputati sono trentasei, cioè sei per ogni piazza, inclusavi quella del Popolo”.
A gennaio del 1691 i deputati erano: Nido (A. Carafa, G. B. Galluccio, G. Pignatelli, L. Riccio, L. Capece, G. Dentice), Montagna (P. Russo, G. Sanfelice, G. Cicinello, C. Carmignano, R. Coppola), Portanuova (A. de Ponte, N. Mormile, F. di Liguoro, V. Capoano, P. Moccia), Porto (N. Arcamone, C. Ruffo, C. Strambone, F. di Gennaro, F. di Dura), Capuana (A. Capecelatro, M. Filomarino, F. Guindazzo), Popolo (G. A. Vitagliano, D. Longo, A. del Tufo, P. Vitolo, L. Frabicatore, S. di Franco). Inoltre, tra i medici addetti alle visite vi fù il famoso Marco Aurelio Severino.

Il Tribunale di S. Lorenzo si occupava di varie corporazioni, quale quella dell’Arte della Lana, molto potente e collegata allo sviluppo di allevamenti locali.



fonte http://www.nobili-napoletani.it/sedili_di_Napoli.htm

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