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Maradona, la camorra e l’intervista a Maurizio Costanzo

Posted by on Mag 6, 2017

Maradona, la camorra e l’intervista a Maurizio Costanzo

Giovedì 26 gennaio, a Canale 5 è andato in scena Diego Armando Maradona. L’intervista concessa a Maurizio Costanzo, divisa per temi e argomenti, è stata a cuore aperto, sincera. Il “pibe de oro” in nuova versione, più sereno con l’ultimo amore e il rapporto ricucito con i figli. Ma c’è stato un passaggio che, più degli altri, mi ha incuriosito perchè mi è apparso una novità. Una notizia-conferma data dopo 28 anni.

Un passaggio su un tema ancora oggi d’attualità, nel capitolo sui rapporti del grande genio calcistico con la camorra quando era a Napoli. Diego ha ammesso che sentì a telefono Carmine Giuliano, con cui aveva conservato contatti, uno degli 11 figli del capostipite Pio Vittorio del clan camorristico dominante per anni a Forcella, temendo per la sorte delle figlie. E Carmine, morto da qualche anno per tumore, gli rispose: “Stai tranquillo, nessuno farà del male alle tue figlie. Se la vedrebbe con me e i miei fratelli”. Un episodio preciso, un altro tassello di un periodo, tra il febbraio e l’aprile del 1986, da raccontare ancora. Anno 1986, Maradona al Napoli da due anni. L’anno dopo sarebbe arrivato lo scudetto. Un idolo, un genio su cui nessuno in città poteva azzardare critiche o dire male. Era l’anno dell’inchiesta torinese del pm Giuseppe Marabotto sulle scommesse clandestine nel calcio, che arrivò con perquisizioni e indagati anche nella nostra città. Ne fu coinvolto anche Salvatore Lo Russo, uno dei fratelli del clan dei “capitone” a Miano. Il 27 febbraio di quell’anno, gli agenti della Squadra mobile di Napoli, allora guidata da Matteo Cinque, fecero una perquisizione a casa di Carmine Giuliano, uno dei gestori del business totoclandestino in città inventato dal fratello Lovigino. Vi trovarono 71 foto. In alcune compariva Maradona con Carmine e Raffaele Giuliano, ma anche con la loro sorella Celeste. Il rapporto della polizia segnalava “la strana presenza del Maradona in compagnia di pregiudicati inquisiti per camorra, ritenuti organizzatori del lotto clandestino fonte principale di introiti al clan Giuliano”. Si suggerivano accertamenti, ma la cosa si arenò. Salvo poi inserire quelle foto nel fascicolo, in un’indagine per spaccio di droga, a carico di due coniugi di Forcella: Emilia Troncone e Raffaele De Clemente. Arrivò lo scudetto, delle notti brave di Diego e della droga nessuno voleva parlare. Anche perché, il 3 dicembre del 1986, Maradona era stato già sentito come teste dopo un episodio inquietante: contro la sua auto era stata lanciata una pericolosa biglia d’acciaio. Un segnale su cui nulla si accertò, mentre il presidente Corrado Ferlaino invitava Diego ad evitare compagnie discutibili. Nell’estate del 1989, alla vigilia della stagione che avrebbe portato al secondo scudetto, Il Mattino pubblicò le foto di Maradona con i fratelli Giuliano. Fu uno scoop del capocronista Giuseppe Calise, che scrisse: “Nessuno vuole fare alcun collegamento diretto, ma bisogna chiedersi come nacquero quelle foto”. Quell’estate, Diego ritardò il ritorno a Napoli. Diffuse un comunicato in cui temeva per la vita sua e della famiglia. Ci fu un furto a casa della sorella, la moglie Claudia fu minacciata durante la partita Napoli-Pisa. “Un complotto contro di me” scrisse Maradona in un comunicato. Sulle foto con i Giuliano, poi finite nel fascicolo degli indagati per spaccio di droga, Maradona aveva guià dichiarato ai pm Lucio Di Pietro e Linda Gabriele, nel famoso interrogatorio del dicembre 1986: “Sono normali foto con tifosi nel corso di festeggiamenti per il Napoli”. Carmine Giuliano, sempre sentito quell’anno come teste, aggiunse dettagli: “Sono un acceso tifoso di Maradona, un ultras come tutte le persone nelle foto. Dopo l’inaugurazione del Napoli club a Forcella, è stato a casa di tanti tifosi e anche a casa mia”. Una conoscenza particolare almeno dal 1986, di cui Maradona si ricordò nell’estate del 1989. Il racconto della telefonata con Carmine Giuliano, ricordata nell’intervista a Costanzo priva di contesto storico, ha fornito un nuovo tassello a ciò che accadde allora. Maradona disse a telefono in quell’estate del 1989: “Se toccano le mie figlie, non giocherò mai più al calcio”. La rassicurazione, una protezione a voce, di Carmine Giuliano anche a nome dei fratelli allora ancora uno dei clan camorristici di peso a Napoli, convinse Diego che non aveva nulla da temere. La camorra vegliava sull’idolo della città. Questi i fatti. Poi una sequenza di insinuazioni sui fornitori di droga a Diego, sulle sue amicizie anche con i Lo Russo cui si sarebbe rivolto per avere indietro il “Pallone d’oro” rubato nei caveau della Banca della Provincia di Napoli. Di certo, anche l’inchiesta sulle minacce, affidata all’allora pm Federico Cafiero oggi procuratore capo a Reggio Calabria, fu archiviata. Gli esponenti dei clan di camorra sono sempre stati tifosi, l’amore per il Napoli ha sempre superato barriere sociali e fedine penali. Una passione livellatrice. E il potere camorra, che si è sempre intrecciato con tutti gli altri poteri della società italiana, non poteva non aver avuto contatti con l’allora potere Maradona. Ma i contatti, nei modi raccontati, non hanno mai superato i limiti, mai sconfinati in richieste illecite come hanno accertato le inchieste giudiziarie di quegli anni. Maradona era un Dio, l’altare a lui dedicato domina ancora Forcella. Un foto con lui era ostentazione di potere nei quartieri-Stato, come dichiararsi suo “amico”. Fargli del male, o chiedergli cose diverse dall’autografo, non conveniva. Neanche ai clan di Forcella. Piaccia o no, è questa la verità accertata.

Gigi Di Fiore

Articolo pubblicato da

ILMATTINO domenica 29 gennaio 2017

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