Alta Terra di Lavoro

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Michele Arcangelo Pezza, da bracconiere a colonnello e duca

Posted by on Ott 31, 2017

Michele Arcangelo Pezza, da bracconiere a colonnello e duca

Nel film “Donne e briganti” di Mario Soldati, ribattezzato “Fra Diavolo”,                                                      realizzato nel 1950 e prodotto dalla Lux Film, Michele Pezza è un bel ragazzo di ventotto anni, bruno,solido, dagli occhi brillanti di gaiezza, dal sorriso raggiante, che ama Marietta, osteggiato da Peppino Luciani, fratello della giovane, figlia di un albergatore, che, sentendosi in punto di morte, gli rivela un segreto: egli ha potuto ammassare sacchi d’oro in una cassapanca, grazie a Marietta, che non era la sorella, ma la figlia illegittima del re di Napoli, Ferdinando IV, portata, vent’anni prima, una sera di tempesta, dal cardinale Ruffo, che gli assegnò duecento ducati al mese, somma che gli venne sempre regolarmente versata.

Il sovrano, accompagnato dal cardinale Ruffo e da alcuni dignitari di corte, andò a visitare, quindici anni dopo, il borgo di Itri, festeggiato da tutta la popolazione. Mentre egli  arringava i paesani, Michele, che era già riottoso, insolente, sgranocchiava nocciole e ne sputava i gusci ai piedi del cavallo del re, il quale sussultava ogni volta… Sua Maestà, per vendicarsi di questo comportamento, gli fece delle occhiatacce e gli dedicò una “pernacchia”, quella villana smorfia di casa nostra che si accompagna ad un rumore di bocca molto sgarbato.

Morto l’albergatore, il giovane che non è ricco, ma la cui tessitura delle calze gli permette di vivere senza troppi pensieri e che possiede le terre che circondano la sua casa, chiede la mano di Marietta a Peppino, che gliela rifiuta con sdegno. Poi Michele gioca un brutto scherzo ad alcuni militari borbonici, per cui fu costretto a fuggire, inseguito dai soldati lanciati sulle sue tracce. Nel depistaggio è aiutato da un vecchio monaco francescano, Marco. Quando si ingaggia un combattimento tra le truppe di Ferdinando IV  e quelle francesi, che avevano invaso il regno di Napoli, nutrendosi sulle spoglie dei paesi invasi, intervenne con una prontezza ed una precisione notevoli lasciando sul terreno molti transalpini, per la qual cosa fu ringraziato dal sergente del drappello per il suo eroismo e per le sue qualità di tiratore.

Da quel giorno, cominciò la carriera del celebre “Fra’ Diavolo”, che i francesi qualificarono bandito, ma che fu, in realtà, un patriota, capo di partigiani che non volevano vedere la loro patria cadere nelle mani dell’invasore. Del pacifico tessitore di calze il caso aveva fatto un valente capobanda, troppo indipendente per piegarsi alla disciplina di un esercito regolare, ma troppo amico dell’avventura per non consacrarsi appassionatamente al suo nuovo destino.

Numerosi paesani dei dintorni si unirono a lui e si accamparono con Michele nella montagna. Frate Marco serviva da agente di collegamento tra il mondo civile e quei fuorilegge  che egli approvvigionava del suo meglio ed informava sui movimenti delle truppe nemiche.

Il Pezza divenne presto così celebre che il colonnello Hugo (il futuro padre del grande poeta) ricevette per missione quella di combatterlo e di catturarlo.

Il popolo di Terra di Lavoro si infatuava per” Fra’ Diavolo”, di cui si citavano, ridendo, le astuzie di guerra, i tratti di coraggio. Il re gli aveva inviato una magnifica cintura di seta, sulla quale era ricamata, in lettere d’oro, la seguente dedica: “A Fra Diavolo, il suo Re Ferdinando”. Questo regalo accompagnava un brevetto che nominava il franco tiratore colonnello delle guardie del re, al fine di sottrarlo, all’occorrenza, all’esecuzione immediata che sarebbe il suo destino, se gli invasori l’avessero catturato.

Peppino, che odiava il giovane ribelle, perché il ricordo di lui gli impediva di sposare Marietta, che era nel convento di Itri, per cui decise di andare a raggiungerlo. Poi saprebbe ben trovare un’occasione per perderlo. Egli si recò presso il quartier generale del Pezza, che andò al suo villaggio natìo per incontrare Marietta. Egli dormì nel convento, le cui porte furono chiuse da Peppino, per tagliargli ogni ritirata. Le porte del convento furono sfondate da un reggimento francese, poiché occorreva alloggiare in questo vasto locale un generale e il suo Stato Maggiore.

Brutalmente tratto dal suo sogno felice dai canti rivoluzionarii dell’invasore, Michele Pezza vide che non avrebbe potuto fuggire senza essere catturato, per cui si arrampicò sul tetto, attraverso un abbaìno, e vi si tenne bocconi, l’occhio in agguato.

I francesi si affaccendavano nelle stanze deserte e vi si installavano. Egli approfittò della baraonda generale per saltare dal suo abbaìno, attraversare in tromba le stanze ancora inoccupate e scappare per il giardino.

Il colonnello Hugo, che l’aveva visto darsela a gambe, si mise a ridere: -Un uomo nascosto in un convento! …E quale fifa, alla nostra vista!

Però, quando penetrò in una delle camere che si trasformavano rapidamente in uffici, scorse, ai piedi del letto, una larga sciarpa azzurra, dalle lettere dorate: “A Fra Diavolo, il suo Re Ferdinando”.

– Oh! Che sarebbe? … Banda di idioti! Avreste lasciato filarsela Fra Diavolo! E’ troppo forte! Fate dare l’allarme! Che si insegua quell’uomo! Subito!

“Fra’ Diavolo” conosceva, fortunatamente, i minimi sentieri del territorio. Egli giunse, trafelato, il fiato grosso, fino ad una carretta, che era quella di una vivandiera francese, Flora, graziosa ragazza arrendevole, che squadrò quel bel ragazzo dagli occhi di fuoco, dal viso maschio, sorridendo e additandogli un mucchio di fascine, sotto il quale egli si nascose. Poi ella prese un pediluvio. Quando  gli inseguitori giunsero alla sua altezza e la interrogarono, Flora additò loro una vaga direzione, scherzando con essi e gettando l’acqua dal suo catino sulle fascine, con un’aria decisa. Quando essi furono lontani, Flora si chinò verso il fuggitivo e disse, ridendo: “Perdonatemi di avervi innaffiato… Essi stavano per guardare da questo lato: sarebbe stato più grave…”

– Grazie, mia bella! disse Michele. Quanto volete?

Un ceffone fu la replica immediata di Flora: “Per chi mi prendete? Mi credete capace di far fruttare un simile servizio? Se avessi saputo che me ne avreste ringraziato così, avrei fatto meglio  a lasciarvi andare, sorta di cretino!”

A sua volta, Michele la schiaffeggiò. Flora restò a bocca aperta, sbalordita dalla prontezza del gesto. Egli scoppiò a ridere: “Oh! Scusa! Spingo un poco lontano l’ingratitudine. Voi m’avete salvato la vita: perché dire che lo rimpiangete? Sapete chi sono io?”

“Perbacco! Si parla abbastanza di voi, nella regione!  Però io non vi ho chiesto niente…Siete giovane, siete bello, difendete il vostro Paese…Tutto ciò non è fatto per dispiacermi. E poi  non sono soldato, io: ad essi  tocca acchiapparvi, è il loro mestiere, dopotutto!”

“Siete la mia Provvidenza!” mormorò Michele, pieno di gratitudine.

E siccome la bella ragazza gli sorrideva, credette di non poter meglio ringraziarla che abbracciandola. Ciò  fece piacere a tutti e due.

“Questo non è tutto! osservò Michele. Occorre che raggiunga il mio campo…”

“Ciò non sarà facile! opinò Flora. I nostri hanno appostato delle sentinelle sulla strada. Rischiate di essere pizzicato…”

Siccome Michele rifletteva, Flora propose: “Fidatevi di me…Farò tutto il mio possibile. Soltanto occorrerà restare tranquillo in fondo al carretto e non mostrare la punta del vostro naso illustre!”

Quando i suoi soldati ritornarono con le pive nel sacco, il colonnello Hugo decise: “Riacciuffate immediatamente la vettura che portava le religiose che abbiamo incrociate in strada. Non sono lontane. Esse ci informeranno sicuramente…Riportatele il più veloce possibile e con riguardi!”

Due ore più tardi, le religiose, sgomente, erano riportate al loro convento e comparivano dinanzi al colonnello Hugo.

“Ho trovato questo in una camera del primo piano… disse egli esibendo la cintura dell’eroe. Chi occupava quella camera? ”

Vi fu un silenzio costernato. Marietta si avanzò, tutta pallida: “Io!” disse.

Sentiva pesare su di lei gli sguardi scandalizzati di tutta la comunità. La sua colpa era rivelata alle sue care religiose, senza che lei potesse invocare la minima circostanza attenuante,  in presenza del nemico!

“Allora, signorina, dovete sapere a chi appartiene questa sciarpa?”

Mariette restò silenziosa, gli occhi ostinatamente abbassati. La Madre Superiora si avanzò allora e venne a considerare, attraverso i suoi occhiali, il cangiante ornamento: “Ma sappiamo tutte a chi appartiene questa sciarpa! Abbiamo appena terminato di ricamarla, su ordine del re, per il colonnello Pezza…”

Marietta sentì immediatamente il sangue che veniva al suo volto. Cara Madre, che, malgrado la sua testa poco solida, trovava il mezzo di salvare la peccatrice stornando da lei i sospetti!

Il colonnello non fu che a metà gonzo e gratificò Marietta di un piccolo saluto ironico.

Nel frattempo, Flora e la sua carretta andavano a portare del vino a tutti i posti di guardia disseminati sulla strada. Michele restò nascosto nella carretta; Flora si lasciava rubare un bacio qua e là, per non attirare i sospetti. Quando  si inoltrò nella strada che le indicava Michele, egli l’abbracciò; poi decretò: “Questa notte, io ti proteggo! Tu hai ben meritato di essere la nostra invitata!”

Vedendo apparire Michele, che credeva catturato dai francesi, il traditore Peppino, che già aveva preso dal capo il suo abito più ricamato, con l’intenzione di appropriarsi del grado di colui che egli aveva subdolamente consegnato al nemico,  credette di sognare. Michele corse da lui: “Non temere nulla per tua sorella…Il convento è evacuato!” disse egli vivamente.

Poi Michele presentò Flora ai suoi uomini, che  vennero, tutti, ad ammirare, da vicino, la  vivandiera. Fra’ Marco servì al capo e a quella che l’aveva salvato un pranzo  tanto copioso quanto possibile. Poi Flora, seduta a terra, posò languorosamente il capo sulle ginocchia di “Fra’ Diavolo”. Loro due formavano una coppia pittoresca e bella. Peppino borbottò: “Se Marietta ti vedesse, sarebbe edificata…”

“Marietta non ha niente a che vedere in questa faccenda! tuonò Michele. Flora, questa sera, ha diritto alla mia gratitudine per avermi salvata la vita!”

“Chi è Marietta?” chiese Flora, con un tono distaccato.

“Una ragazza che amo da sempre e che dovevo sposare domani…disse Michele. Non parliamo di lei, vuoi?”

“Perché? Mi crederai gelosa? scoppiò a ridere la vivandiera. Io non ti chiedo né amore, né fedeltà…Le circostanze  ci hanno messo in presenza; cerchiamo di passare il più piacevolmente possibile gli istanti che ci sono accordati!”

“Ecco chi è saggiamente ragionevole! approvò Michele, divertito. Però che direbbero i tuoi amici, se ci vedessero in così buoni termini?”

“Oh! gli uomini sono uomini! Se tu credi che essi si privano del piacere, quando  se ne presenta l’occasione? In questo momento, credi che il nostro colonnello sia in procinto di recitare dei madrigali a certa ragazza che ha fatto tornare sui suoi passi, poco fa?”

“Una ragazza?” ripetette Michele, stretto da un’improvvisa angoscia.

“Eh! sì, una ragazza che se ne fuggiva con delle religiose…”

“Marietta!… esclamò Michele, che fu all’impiedi in un secondo. Occorre che la liberi! Subito!”

“Tu sei folle!  Tu hai visto quanto è pericoloso avventurarsi sulle strade!” protestò Flora.

“Ho più di un’astuzia nel mio sacco… “ brontolò Michele.

Nel bel mezzo della notte, le sentinelle che sorvegliavano il convento annunciarono al colonnello Hugo che quattro contadini volevano parlargli, a proposito di “Fra’ Diavolo”. Essi si lamentavano dei balzelli del “bandito” e proponevano di aiutarli nella sua cattura. Hugo li ricevette e fece uscire i suoi soldati. I sedicenti contadini cominciarono a lagnarsi, poi, bruscamente, si liberarono dei loro stracci e puntarono le loro pistole sul colonnello.

“Bravo! fece spavaldamente l’ufficiale. Ben giocato, in verità”

“Non ti faremo del male se tu ci dici dove è Marietta…disse Michele. Tu sai? Quella ragazza che tu tieni prigioniera con le religiose. Parla! I miei uomini sono fuori, attendono il mio segnale!…”

Per tutta risposta, Hugo alzò le spalle e tese a Michele un foglio che egli precisamente aveva appena firmato, quando  erano entrati i patrioti. Michele Pezza arrossì, impacciato: egli non sapeva leggere e passò il foglio a Frate Marco, che decifrò, del suo meglio, il salvacondotto accordato alle religiose e a Marietta. Michele esultava, meravigliato: “Tu hai fatto ciò, il francese? Tu sei un vero soldato!”

Egli gli tese la mano. Hugo la serrò senza entusiasmo: “Non lo si potrebbe dirlo di te, Fra Diavolo! ”

“Come! Sappi che io sono tuo pari! Colonnello Michele Pezza, dell’esercito reale del re di Napoli, mio signore!”

“Un colonnello che mi fa una guerra di scaramucce e se la dà a gambe appena noi siamo in numero…Io, io chiamo ciò un vile!”

Michele ebbe un sussulto indignato. I suoi occhi scintillavano: “Tu vedrai se sono un pusillanime! Quella spada è la tua?”

“Sì…”

“Ebbene! battiamoci!”

Michele lanciò al suo nemico disarmato la spada appesa al muro e sguainò la sua. Fu un combattimento  magnifico, di due schermitori  di egual forza, ben risoluti a vincere.

Fuori, Peppino si era installato sul davanzale della finestra e sorvegliava le fasi di questo duello augurandosi che l’ufficiale francese spedisse il suo avversario in un altro mondo. Gli altri uomini di Michele Pezza sorvegliavano i sorpresi francesi, catturati e legati stretti. Però la lotta durava, stupenda… Ad un certo momento, la spada di “Fra’ Diavolo” agganciò una carta dello Stato Maggiore appesa al muro e la fece cadere; apparve allora il ritratto di Ferdinando IV, ricoperta dalla carta. Michele scoppiò a ridere, senza cessare di combattere. Stupefatto, Hugo segnò una leggera esitazione e Michele fece volare fuori della sua mano la spada del suo avversario. Hugo impallidì, ma Pezza raccolse l’arma e la rese al colonnello.

Peppino si accorse che uno dei prigionieri francesi si era appena sbarazzato dei legami che serravano le sue mani.  Egli si guardò bene dall’impedirgli di liberarsi del tutto… Alcuni istanti più tardi, i trombettieri suonavano l’allerta, chiamando un rinforzo a soccorso del colonnello e dei suoi uomini. Michele impallidì, a sua volta. Egli credette che Hugo l’avesse giocato, ma potette constatare che il colonnello stesso era sorpreso.  Quest’ultimo sorrise: “Avete tenuto poco fa la mia vita in capo alla vostra spada e vi siete condotto da nemico leale. A mia volta: filatevela velocemente. Un’altra volta non vi manchero… Ma, prima, ditemi quello che posso avere di ridicolo, perché avete riso così forte, un momento fa…”

Michele scoppiò a ridere, serrando la mano che il colonnello gli tendeva: “Non ridevo di voi, ma di Ferdinando, nostro re…Ciò mi accade ogni volta che scorgo il suo volto…, poiché figuratevi che…”

Hugo non seppe mai perché Ferdinando IV rallegrava così il suo difensore, poiché Peppino, furioso nel vedere i due avversari stringersi la mano, aveva appena sparato un colpo di pistola contro Michele, colpito nella spalla.

Dopo di che, il traditore corse a raggiungere gli uomini del Pezza, disorientati dopo che essi sentivano suonare le trombe francesi: “L’allerta è data! Il capo sta per essere ucciso dai francesi! Scappiamo!”

Egli trascinò i fedeli di “Fra’ Diavolo”. Quando essi ritornarono al loro campo, Fra’ Marco volle avere alcune spiegazioni; il monaco ripeteva: “Non voglio lasciare il corpo di Michele ai nemici! Occorre andare a riprenderlo e seppellirlo degnamente!”

“Qui sono io che comando, ormai!  esclamò Peppino. E intendo che si obbedisca! Finita la buona vita fantasiosa che vi faceva condurre il Pezza!”

Il povero Fra’ Marco ne fece la prima esperienza: un’ora più tardi, su ordine del nuovo capo, egli dondolava in capo ad una corda.

Hugo, stupefatto, si chiedeva da dove era partito il colpo che aveva appena abbattuto il suo nemico ai suoi piedi, al momento stesso in cui era libero. Egli fece chiamare il chirurgo del reggimento: “Operate quest’uomo e curatelo come se fosse dei nostri…” disse.

Michele, inanimato, subì l’estrazione della pallottola. La ferita era grave, immobilizzando, per parecchi mesi, il colonnello napoletano, che i francesi lasciarono poi nel suo villaggio di Itri.

Nel frattempo, le truppe di “Fra’ Diavolo”, durante alcuni anni, lottavano con un’energia indomabile, ma invece dei fatti d’armi eroi-comici di poco tempo prima, si segnalavano ora delle atrocità, delle imboscate subdole, dei saccheggi, degli stupri… La popolazione stessa tremava dinanzi alle truppe del “Fratello Diavolo”.

Nel 1806 le vittorie francesi costrinsero Ferdinando IV a rifugiarsi in Sicilia. Egli lasciava a Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, il reame di Napoli, che un primo trattato firmato con il Primo Console, nel 1801, gli aveva lasciato.

Questo re troppo debole, al momento di lasciare Napoli, volle perlomeno ricompensare colui che, per anni, era stato il suo sostegno, quel “Fra’ Diavolo” che incarnava la resistenza del popolo napoletano. Egli lo convitò nel suo palazzo, per conferirgli il titolo di duca di Caserta.

Il cardinale Ruffo, però, vegliava. I modi del sedicente “Fra’ Diavolo” non gli sembravano molto conformi alla leggenda popolare. Egli immaginò dunque di far venire al palazzo reale, nello stesso tempo che il pseudoMichele Pezza, la piccola Marietta, di cui il popolo lo sapeva preso. Poi il cardinale si nascose, per non perdere niente della scena.

Marietta, sorpresa di essere convocata al palazzo, lo fu ancora molto di più scorgendo Peppino, sotto la brillante uniforme di “Fra’ Diavolo”.

“Tu qui, Peppino!… esclamò ella, correndo verso colui che aveva, per sì lungo tempo, considerato un fratello. Dimmi dov’è Michele! Sono senza notizie di lui da sì lungo tempo… Il popolo l’acclama alle porte del palazzo…E’ qui, non è così? ”

“Sì, naturalmente… balbettò Peppino, fulminato dall’apparizione della ragazza. Ma tu non puoi vederlo…”

Perché? Occorre fargli sapere  che io sono qui, al contrario!”

“No…non in questo momento… Ti spiegherò, più tardi…”

“La tu che fai nel palazzo?”

“Io…tu sai bene che somno il luogotenente di Michele!”

“Sì…è vero… Ragione di più perché tu gli dica…”

Il cardinale Ruffo apparve allora e trascinà la ragazza. Era ben informato, questa volta!

Tuttavia, egli accompagnò il pseudoFra  Diavolo fin presso al re. Lo scaltro cardinale non voleva mancare lo spettacolo di una commedia tanto buffonesca quanto quella dell’investitura del duca di Caserta!

Durante il tempo che il sovrano rivolgeva un magnifico discorso al suo sedicente difensore, un monaco smunto, sparuto, magro, dagli occhi febbrili, si presentava alle guardie del palazzo e mendicava un poco di zuppa. Egli faceva pietà e i soldati lo installarono vicino alla garitta di una sentinella. Cinque minuti più tardi, il soldato di guardia era legato stretto e il monaco, così magro, così smorto e mal rasato che fosse, si lanciava con la prontezza agile di una belva fin nel palazzo, scoompigliava i domestici, saliva, a quattro a quattro, le scale, entrava nella galleria dove il re si felicitava con Peppino.

Ruffo ebbe un sorriso, alla vista del monaco, poiché Peppino, irrigidito sotto una visiera regolamentare, si era improvvisamente messo a tremare da tutte le sue membra. Però il monaco non vedeva Peppino. Egli guardava il re e, repentinamente, scoppiava a ridere… Il sovrano restò cheto, sconcertato dall’irruzione di quel monaco sconosciuto, che sembrava pazzo.

Il cardinale Ruffo si allontanò vivamente ed andò ad aprire una porticina, attraverso la quale entrò Mariette. Subito ella riconobbe quello che lei amava e tese verso di lui le sue braccia. “Michele!… Tu, infine!  ”

“Che significa tutto ciò?” chiese Ferdinando IV, stupefatto e  adirato.

Ruffo si avvicinò a lui e gli sussurrò all’orecchio: “Sire, perdonate al vostro servitore una grossa menzogna, che gli impose la ragion di Stato, lungo tempo or sono…La ragazza che condussi ad  Itri, una sera di tempesta, non era morta in bassa età, come l’ho affermato a Vostra Maestà… Eccola ed è una sorta di eroina nazionale, la fidanzata di Fra Diavolo…”

“Ma…perché  chiama questo monaco “Michel”? ”

Ruffo non ebbe il tempo di dare al suo re la spiegazione di questo nuovo mistero. Le molto grandi porte della galleria si erano appena aperte; un usciere annunciava: “Generale Hugo, inviato straordinario di Sua Maestà Napoleone I, imperatore dei Francesi!”

Hugo si avanzava, molto degno, cappello in testa, portatore delle condizioni di pace, Ferdinando IV, molto stanco ed annoiato, lo pregò di comunicargliele. Il generale francese lesse il suo messaggio. Egli aveva, alla prima occhiata, notato la coppia allacciata di Marietta e di un monaco strano, come Peppino gallonato d’oro: “Fra le condizioni di pace, attiro l’attenzione di Vostra Maestà su quella che stipula che il bandito Fra Diavolo, colpevole di atrocità, sarà consegnato al nostro governo, per essere impiccato in pubblica piazza…”

Peppino si faceva piccolo piccolo dietro al re e al cardinale. Michele si lanciò: “Quest’uomo non è Fra Diavolo! Ed io non sono un bandito!”

Egli era faccia a faccia con il generale, che, vivamente, gli rivolse un sorriso e una strizzatina d’occhio molto significativa. Dopo “Ho trovato un tempo, in un convento, la sciarpa che Vostra Maestà aveva offerta a Michele Pezza, quando era il leale soldato e npn un brigante. Io vi rimetto questa sciarpa, Sire, poiché l’uomo di cui reclamo la testa non è degno di portare un tale ornamento! Ho conosciuto una volta un Michele Pezza che era un avversario leale e generoso. Egli non ha niente in comune con questo miserabile che ha insozzato il suo nome!”

“Sire, il generale dice il vero! mormorò il Ruffo, in un sorriso. Lasciate il vincitore castigare il bandito… solo il bandito…”

Ferdinando, perplesso, emise un sospiro di sollievo. Grazie al suo abile consigliere, avrebbe potuto tutto assieme mostrarsi riconoscente verso il suo vero difensore e far piacere al vincitore lasciandogli il falso Diavolo…

Gli ufficiali che accompagnavano il generale Hugo arrestarono Peppino più morto che vivo.

Mariette e Michele restavano allacciati, sbalorditi come se vivessero un sogno insensato. Il re contemplava con emozione la ragazza, frutto di un amore passato…sua figlia, ma che non l’avrebbe mai saputo. La guerra era finita. “Fra’ Diavolo” ormai avrebbe tutto il tempo di pensare alla sua felicità: “Duca di Caserta, gli disse, con aria grave, il suo sovrano, avete ben meritato di riposarvi… Sappiare rendere felice qusta fanciulla, chen ci è cara e che vi ha atteso ben per lungo tempo… Andate, “figli miei”! ”

I due amanti non credevano alle loro orecchie: duca e deuchessa di Caserta! Una vita nuova e fastosa si apriva dinanzi ad essi, mentre il traditore Peppino andava ad espiare i suoi crimini.

Al momento in cui essi andavano a superare la soglia della galleria, il re chiamò una volta ancora: “Duca di Caserta! …”

Michele si voltò. Ed allora, come un tempo, al monello che aveva riconosciuto in quell’eroe, di cui Ruffo gli aveva delineato tutta la carriera, rivolse una “pernacchia” tanto contorta, tanto rumorosa, quanto quella di un tempo.

Il re e i due suoi sudditi preferiti in un medesimo riso ilare, un riso familiare, insomma…

Alfredo Saccoccio 

 

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