Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

MINIERE DI LIMONITE NELLA VALLE DI COMINO

Posted by on Mar 16, 2016

MINIERE DI LIMONITE NELLA VALLE DI COMINO

dopo aver pubblicato qualche giorno fa il lavoro di FERNANDO RICCARDI sulla grande LA GRANDE MAGONA questa sera pubblico un lavoro dell’associazione Psiche Aurora sul recupero delle miniere di Limonite a San Donato Valcomino che insieme a quelle di Picinisco fornivano materia prima alla Grande Magona. Prima di invitarvi a leggere il bellissimo lavoro, dove ci sono anche documenti inediti anche sulla ferriera borbonica, vorrei solo farvi notare come sotto il Regno delle Due Sicilie l’Alta Terra di Lavoro, in questo caso la Valle di Comino, fosse strategico per lo sviluppo industriale della Nazione Napolitana per poi diventare sotto il Regno di  Italia terra di emigranti fino ad arrivare ai giorni nostri e umiliarla nel cercare di affibbiargli il nome Lombrosiano, indice di mediocrità Ciociaria. 

REALI MINIERE DI SAN DONATO

Sentiero natura

 

La nostre montagne raccontano storie cariche di mistero e di avventura, come quella delle Reali miniere di San Donato. Il sentiero si snoda lungo il percorso seguito da minatori, donne addette al trasporto e artiglieri durante il lavoro di estrazione. Le miniere vengono realizzate per volere di Ferdinando II di Borbone, dopo i moti del 1848 e a seguito delle pressioni inglesi di impadronirsi delle risorse naturali del Meridione. Il sovrano potenzia la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica per supportare economia e forze armate. Con notevoli investimenti sviluppa l’industria metallurgica: nascono i distretti minerari della Calabria ulteriore (Reali ferriere ed Officine di Mongiana) e di Terra di Lavoro (Reali miniere di San Donato e Campoli, Real Magona di Rosanisco). Oltre alla storia, il sentiero è ricco di specie vegetali e animali, come il pipistrello “Ferro di cavallo minore”, signore delle Reali miniere.

 

PUNTI DI INTERESSE

  1. Torrente Forca d’Acero
  2. Bivio di Cunnola e Pezzullo
  3. Salita dei Monacelli
  4. Rifugio Moschettiere
  5. Bosco dell’Impero
  6. Galleria San Ferdinando

 

L’INDUSTRIA DEL FERRO IN VAL DI COMINO

Nella primavera del 1853 re Ferdinando invia una commissione per sviluppare l’industria metallurgica in Val di Comino. In essa vi sono: ingegneri, ufficiali, un distaccamento di Zappatori-minatori (il genio militare) e il geologo Gaetano Tenore. Dei siti esplorati, quelli che danno il risultato migliore per la qualità del prodotto sono Monte Cunnola (Monte Calvario, San Donato) e Monte Omo (Campoli). Le ricerche di Gaetano Tenore inducono a iniziare i lavori di scavo già da maggio. Le estrazioni vengono interrotte con la fine del Regno delle Due Sicilie (1860). Nei pochi anni di vita, il parco minerario di San Donato si articola tra Monte Cunnola (oggi Monte Calvario) e Forca d’Acero. È composto di cinque gallerie (Galleria San Ferdinando, Galleria Santa Teresa, Galleria San Francesco, Galleria Sant’Agostino, Galleria Castelluccio), due pozzi, uno scavo a cielo aperto, diversi saggi e un deposito di materiale roccioso di scarto.

 

 

  1. L’AVVENTURA MINERARIA DI TERRA DI LAVORO

 

Dopo i moti del 1848, sul Regno delle Due Sicilie si addensarono nubi di tempesta, alimentate dal governo inglese che voleva mettere mano alle risorse naturali del Meridione. Re Ferdinando II decise di incrementare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica nel Regno per supportare l’economia e le forze armate. Per raggiungere l’obiettivo, l’elemento che andava assolutamente ricercato e lavorato era il ferro. Il sovrano, consapevole di ciò, favorì con notevoli investimenti economici l’industria metallurgica: nacquero così i distretti minerari della Calabria ulteriore (Reali ferriere ed Officine di Mongiana) e di Terra di Lavoro (Reali miniere di San Donato e Campoli, Real Magona di Rosanisco), entrambi dipendenti dai militari della Reale Artiglieria.

 

RE FERDINANDO II PROMUOVE L’INDUSTRIA DEL FERRO IN VAL DI COMINO

Nella primavera del 1853 il sovrano inviò in Val di Comino una commissione presieduta dal capitano di Artiglieria Gennaro Isastia per fare il punto delle antiche ricerche sotterranee, indagare le condizioni topografiche del territorio, pianificare l’investimento economico. Ad accompagnarlo c’erano due ufficiali, un distaccamento di Zappatori-minatori (il genio militare), un Capominatore e diversi Ingegneri di Acque e Strade. Tra loro va ricordato il geologo Gaetano Tenore. Di tutti i siti esplorati in valle, quelli che diedero il risultato migliore per la qualità del prodotto furono Monte Cunnola (San Donato) e Monte Omo (Campoli).

 

IL PARCO MINERARIO DI SAN DONATO

Grazie alle ricerche di Gaetano Tenore i lavori di scavo ebbero inizio nel maggio del 1853. L’attività estrattiva si protrasse fino all’ottobre del 1860, quando le truppe borboniche furono battute sul Volturno e re Francesco II organizzava l’ultima difesa del Regno prima dell’esilio. Nonostante i pochi anni di vita, il parco minerario di San Donato si articola tra Monte Cunnola (oggi Monte Calvario) e Forca d’Acero. È composto di cinque gallerie (Galleria San Ferdinando, Galleria Santa Teresa, Galleria San Francesco, Galleria Sant’Agostino, Galleria Castelluccio), due pozzi, uno scavo a cielo aperto, diversi saggi e un deposito di materiale roccioso di scarto.

 

 

  1. GAETANO TENORE, PADRE DELLE MINIERE DI SAN DONATO

 

 

Nel 1853 Gaetano Tenore, uno dei maggiori geologi della storia italiana, si trasferì a San Donato per effettuare ricerche minerarie per conto del Regio Governo del Regno delle Due Sicilie. Tenore percorse in lungo e in largo le nostre montagne e seguì, con molto entusiasmo, i lavori di scavo di queste miniere. Quattro anni più tardi tornò non per assistere alle esplorazioni delle miniere, perché “gli operai erano già divenuti pratici” ma per controllare i lavori di costruzione della strada che da San Donato portava ad Atina.

 

TENORE E LO SVILUPPO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Fin da piccolo appassionato di geologia, il piccolo Gaetano crebbe in una famiglia ricca di stimoli: suo zio Michele fu l’illustre botanico che realizzò l’Orto botanico di Napoli. Nel 1852 Gaetano Tenore fu scelto dal Governo, in qualità di esperto scientifico, nella commissione di ufficiali di artiglieria incaricata di ricercare miniere di ferro in Terra di Lavoro. Il nostro geologo fu un convinto promotore del Mezzogiorno e delle sue industrie estrattive, grazie alle lunghe ricerche effettuate in Val di Comino, nel Beneventano, in Calabria e nelle altre province meridionali.

 

LE DIFFICOLTA’ CON IL REGNO D’ITALIA

Gaetano Tenore sollecitò a più riprese le autorità governative dell’appena costituito Regno d’Italia a investire in nuove e più profonde esplorazioni. Nonostante le difficoltà incontrate con i nuovi governanti, mostrò fino alla fine un entusiasmo incondizionato per i prodotti naturali dell’Italia meridionale. Fu il primo a sostenere la necessità di uno studio geologico obbligatorio per i progetti di strade e ferrovie. Nel 1881 fu tra i soci fondatori della Società Geologica Italiana, creata in occasione del II Congresso Internazionale di Geologia tenutosi a Bologna. Nel 1907 il sismologo Giuseppe Mercalli commemorò Gaetano Tenore all’Accademia Pontaniana di Napoli. Per il suo impegno in ambito scientifico fu insignito del titolo di Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia.

 

IL FUNZIONAMENTO DELLE MINIERE

 

La direzione delle Reali miniere di San Donato era affidata al capitano Gennaro Isastia, affiancato dall’ingegnere Gaetano Tenore e dal Capo Minatore. Una volta estratto, il materiale veniva portato ad Atina, mischiato con quello di Campoli e lavorato. Nel 1860 la produzione di ferro fuso raggiunse le 3,1 tonnellate giornaliere. Nelle miniere del Regno delle Due Sicilie la giornata lavorativa era di 8 ore, rispetto alle 16 delle miniere di altre nazioni. Per chi si infortunava era prevista una “cassa previdenza”, mentre per chi violava le regole non mancavano pene corporali.

 

RUOLI E ORGANIZZAZIONE

Il personale della miniera era formato da minatori, garzoni e trasportatori. Il responsabile operativo del complesso minerario era il Capo Minatore, a cui spettava anche l’istruzione degli allievi. Ogni miniera aveva il Capo Galleria, che coordinava il lavoro di minatori e garzoni. I minatori erano divisi in tre classi: I classe, i minatori esperti in ogni aspetto del lavoro; II classe, quelli abili anche alla fortificazione; III classe, coloro che sapevano usare solo il piccone e la mazza coi conci. I garzoni, invece, erano addetti a riempire le coffe (ceste di vimini) e a portarle all’imbocco della galleria. Ad attenderli c’erano gli addetti alla pesa e i trasportatori, che si occupavano di trasferirlo alla Magona di Atina mediante carri trainati da muli o da asini. In molte occasioni il trasporto dei vari materiali, dalle miniere a San Donato e viceversa, era effettuato da donne, sulla testa.

 

IL LAVORO NELLE GALLERIE

Le gallerie erano illuminate da deboli lucignoli, puntellate con travi di legno e a volte muretti di pietra a secco. Mediamente un minatore adulto guadagnava circa 4 ducati per ogni cento cantaja (8980 chili) di minerale lordo consegnato. In un mese si riusciva a guadagnare fino a 8 ducati, lo stipendio medio di un operaio del tempo. Il 29 maggio 1855 si ebbe una disgrazia: durante l’esplosione di una mina nella Galleria San Francesco, rimase gravemente ferito al capo e alle braccia un minatore di 22 anni, Costanzo Acchione. Confessato e portato a casa, morì poche ore dopo.

 

DOCUMENTI

 

L’INDUSTRIA METALLURGICA AL TEMPO DI RE FERDINANDO II

 

Nel Regno di Napoli si cava ferro duttile col metodo catalano. Ci sono poi le Reali Magone in cui si ottiene gran quantità di ottimo ferraccio. Il raffinamento del ferraccio con metodo indiretto si

pratica nella seconda Calabria ulteriore nelle Reali Magone di Mongiana e di Ferdinandea, e pure da qui a poco si praticherà in Rosanisco nel distretto di Sora in Terra di Lavoro.

 

Oggidì una meravigliosa Magona è già sorta nelle pianure del fiume Melfa, alle falde di un’amena e ridente collina del villaggio di Rosanisco nel distretto di Sora. Il combustibile che si userà è il carbon di faggio, di cui qui vi sono molte selve per grande estensione rivestono la superficie di parecchi monti, alcuni de’ quali appartengono ai Comuni di Picinisco e Settefrati, ed altri a quelli di Opi e Pescasseroli nel limitrofo Abruzzo aquilano. Si dice che si proverà anche il coke.

 

Dell’acqua del Melfa si è tolto vantaggio per dar moto ad una maniera di ruota idraulica, che francamente dicono turbina, la quale metterà in azione un cilindro a stantuffo, perché venga somministrato il vento alla fornace. Il canale conduttore dell’acqua, lungo 800 metri, prende origine dal mulino della cappella, e dopo il corso di 120 metri circa ritorna l’acqua nel Melfa medesimo.

 

Il minerale che quivi si userà è quello delle miniere di S. Donato e di Campoli presso Alvito, non ha guari poste a profitto. Da esse fin qui se ne sono ottenuti circa 80mila cantaja. Le miniere suddette affidate alla direzione dell’egregio capitano delle Artiglierie, sig. Isastia, hanno già quattro gallerie di scavo, denominate: S. Ferdinando, S. Teresa, S. Francesco e S. Agostino. Il minerale di S. Donato è limonite (varietà: ematite bruna manganifera compatta), la quale, secondo le analisi chimiche, sopra 100 parti contiene 42,24 di ferro metallico. Essa giace tra il calcareo che compone quelle rocce, e che la riveste come matrice.

 

La limonite di Campoli è argillosa; giace tra due letti di calcareo-breccia, e che costituisce il minerale del monte dell’Omo; è fragilissima, e l’analisi mostrò che sopra 100 parti ne contenga 38 di ferro metallico. Si dice che la campagna comincerà in questi giorni.

Raffaele Cappa, 1858

 

L’INAUGURAZIONE DELLA REAL MAGONA DI ROSANISCO

 

Il dì otto del corrente mese (8 giugno 1858), fu solennemente inaugurata e benedetta la Real Magona di Rosanisco, e quel giorno faustissimo rimarrà incancellabile nelle devote popolazioni della Valle di Atina e di Alvito per l’inestimabile benefìcio largito dalla Sovrana Munificenza con lo Stabilimento suddetto.

 

Per invito ricevuto dal Capitano Direttore Sig. Marchese Isastia, a nome del Sig. Generale Comandante D. Francesco d’Agostino, Ispettore de’ Reali Stabilimenti di Artiglieria, mi recai il giorno innanzi, in unione dell’Uffiziale di Gendarmeria del Distretto, in S. Germano, donde col prelodato Sig. Generale muovemmo per Atina.

 

L’alba del giorno festivo fu salutata dallo sparo di mortaletti, e dagli armoniosi concerti delle bande musicali, ed alle ore p.m. le Guardie di Onore, le autorità municipali, gli uffiziali, il Regio Giudice, l’Ingegnere Direttore delle Opere Pubbliche Provinciali, ed il prelodato Sig. Generale, al quale io mi unii, recatisi in forma pubblica nella chiesa principale, assistettero tutti al canto dell’Inno Ambrosiano in rendimento di grazie all’Altissimo. Indi il corteo si recò, con lo stess’ordine, nello Stabilimento, e la folla accalcata lungo la via lo accolse con reiterate grida di Viva il Re.

 

Magnificamente parato di toselli, con trofei di strumenti d’arte era l’esterno dell’edificio, e l’entrate n’erano guardate da sentinelle di zappatori; di rimpetto alla porta maggiore eravi eretto un altare, e ne’ lati dello spiazzo, che havvi d’innanzi, stavano in bell’ordine la Gendarmeria Reale, le squadriglie, e le Guardie Urbane de’ vicini Comuni co’ rispettivi Capi alla testa. Allorché le Autorità entrarono nella sala, ove maestoso sorgeva l’alto forno, e tutti gl’impiegati ed inservienti furono al loro posto, ad un segnale si vide sgorgare il minerale già fuso, le bande intuonarono l’Inno Borbonico, ed io, interprete delle intenzioni di tutti, lo salutai col grido di Viva il Re, pel quale siamo usi ad esprimere tutt’i nostri sentimenti di devozione e di gioia. Seguita la benedizione, il Sig. Generale lesse un erudito scritto analogo alla circostanza, e le Deputazioni de’ prossimi Comuni di Atina, Agnone, Picinisco, Settefrati, S. Donato, Alvito, e Casalvieri presentarono nelle sue mani i loro indirizzi.

 

La fausta giornata si chiuse con grandi luminarie, e con lo incendio di una machina pirotecnica, mentre il Real Stabilimento splendeva pure illuminato a giorno con fuochi di bengala, e le bande musicali ancor esse non cessavano di allietare la festeggiante popolazione.

 

Giuseppe Colucci, 1858

 

IL SINDACO DI ATINA CHIEDE LA RIAPERTURA DI MINIERE E MAGONA

 

Presso Atina, in un luogo salubre ed amenissimo sorge grandioso, e bello lo Stabilimento Metallurgico. Esso è fornito di buona caduta di acqua, di macchine, di magazzini, e di grandissime comodità; ma il fabbricato, essendovi stato di repente sospeso il lavoro nell’Ottobre 1860, è a metà incompleto, ed in molti punti rimasto mal condizionato.

 

Questo Stabilimento trae il Minerale dalle miniere che sono presso a S. Donato, a Campoli, ed a Pescosolido, che distano dallo Stabilimento da 6 a 12 miglia, di strada in gran parte rotabile. A colpo d’occhio si scorge che queste miniere hAnno immensa estensione, e forniranno Minerale per molti, e molti anni, senza addentrarsi assai nelle viscere delle montagne.

 

I minerali che si traggono dalle cennate miniere sono qual più, qual meno ricco; ma non molto costa la loro cavatura. Lo Stabilimento Metallurgico di Atina, per ridurre in ferro il cennato Minerale trae il Carbone da immensi boschi di antichi faggi, che sono in prossimità di Settefrati.

 

Il ripetuto Stabilimento, costruito coi fondi che il caduto Governo assegnava all’Artiglieria, e con altre somministrazioni del Tesoro, e governato sempre dagli Uffiziali della detta Arma, e da qualche subalterno, produsse del ferro, non mai quanto ne avrebbe potuto, o dovuto, né della buona qualità che avrebbe potuto aversi. Ma a queste contrade portò grandi ricchezze. La sua costruzione, quella di tutte le strade attenenti, ed i lavori della riduzione del ferro versarono qui molti capitali, il numero degli operai crebbe assai, e questa gente viveva prosperamente. Ma nell’Ottobre 1860, quando Francesco Borbone si rinchiuse a Gaeta, il detto Stabilimento fu chiuso.

 

Tutta la gente che vi viveva poi, restò ad un tratto priva di lavoro, una parte andò a lavorare nell’agro Romano, altra si dette e legnare e guastare i boschi di cui si è fatto parola, la maggior parte vive languente nel suo paese. Tutto ciò con non piccolo discredito presso il volgo, del Governo Nazionale, e delle nazionali libertà.

 

Queste sono, Signore, le miserevoli condizioni dello Stabilimento Metallurgico, e delle Miniere, le quali se fossero bene amministrate potrebbero esser fonte di grande ricchezza. È da rallegrarsi che il Dicastero dell’Industria e Commercio abbia rivolto il pensiero a questo Stabilimento, ed è da sperare che non lasci durare questa vergognosa titubanza, ed inazione, su di cose in cui si è da gran tempo rivolta l’osservazione.

 

Alfonso Visocchi, 1861

 

 

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