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“Napoleone: ai posteri l’ardua sentenza”, l’ultimo libro di Alfredo Saccoccio

Posted by on Feb 17, 2020

“Napoleone: ai posteri l’ardua sentenza”, l’ultimo libro di Alfredo Saccoccio

Per i tipi della casa editrice Ali Ribelli di Jason Forbus è stata data alle stampe l’ultima fatica letteraria di Alfredo Saccoccio,dal titolo “Napoleone:ai posteri l’ardua sentenza”,che ricostruisce cosa accadde negli anni dello strapotere francese in Europa e del tiranno Napoleone, dissanguatore della più bella gioventù dellò’Impero, mandata al macello spezzando il cuore di tantissimi padri e madri (vent’anni di battaglie costarono più che le più accanite guerre di venti secoli, ricoprendo ……

l’Europa di tombe, di ceneri e di lacrime e riuscendo, a detta di Massimo Taparelli d’Azeglio,”perfino a farsi celebrare, ammirare, sto per dire, adorare da tutti i balordi ai quali ha vuotato le vene”), che conquista il Bel Paese con la scusa di liberarlo e lo seduce con il fascino eccezionale della sua figura, sfruttando, con opere di volpe più che di leone, le circostanze a proprio profitto. Il Bonaparte, colui che è stato “tre volte nella polvere, tre volte sull’altare”,però, ha, per il suo corteggio, le erranti ombre del duca di Enghien, di Pichegru e di tanti altri, che furono trucidati per fondare e mantenere quella potenza demoniaca dell’uomo che guidava i destini del Vecchio Continente;potenza demoniaca volta ad asservire, ma non ad illuminare i popoli, tanto che il buon Manzoni, dopo i fatti dell’aprile 1814, scrisse una canzone, che dice: “Il tiranno è caduto:sorgete/genti oppresse,l’Italia respira”.

Era finita l’oppressioine. Ma allora, fu “vera gloria” quella fondata sulle armi e sulla forza, abbattendo,in fulminee azioni di guerra,i confini di tanti Paesi? Ci torna il mente il celebre interrogativo manzoniano dell’ode “Cinque Maggio”, che abbiamo imparato sui banchi di scuola, a proposito di un personaggio che ne ha fatte dire di tutti i colori ai posteri e ai contemporanei. Lo stesso Wolfgang Goethe,pur apprezzandolo, avendogli Napoleone offerto di celebrare l’epopea imperiale,non accolse l’invito, poiché capiva che l’individuo incarnava perfettamente la tentazione del cesarismo e presentiva che la potenza demoniaca del Bonaparte era volta a servirsi dello Stato con un governo imperiale, come un artista può servirsi dei suoi strumenti di lavoro, ad esaltazione della propria solitaria grandezza, dimenticando che lo Stato non coincide mai con la personalità di chi lo dirige, ma prende vita e forma dall’eredità delle generazioni passate, dai bisogni di quelle viventi ed anche dalla coesistenza degli altri Stati, con i loro diritti, che per gli uomini sono,per natura,disuguali tra loro,avendo diversa misura di forze fisiche e morali. 

Il rigoroso storico aurunco non si stanca di perlustrare,di indagare, di legare, di alludere, di dimostrare,di citare fatti riguardanti il guerrafondaio,che ha saputo porsi a capo di popoli, riscuotendo la loro fiducia, e  far sognare i suoi cenciosi uomini, grazie alle due anime della Francia, quella rivoluzionaria e quella conservatrice, che per lui si getterebbero nel fuoco, diventando un eroe della mitologia moderna. E non avvertì deformazione gratuita o arbitrio.

Pareva che sul Corso tutto fosse stato detto. Non è così, perché il saggio di Alfredo Saccoccio,fonti storiche alla mano,  reca nuova luce su aspetti inesplorati di quella torbida personalità, in qualcuna delle sue azioni rimaste ancora oscure,squarciando il velo di silenzio steso, per quasi duecento anni,da una storiografia di retroguardia, prigioniera di “luoghi comuni” della vulgata rivoluzionaria.In vierù di una sustematica falsificazione dei fatti, il Bonaparte continua ad essere presentato dagli storici conformisti come il “liberatore” dell’Italia,mentre,in realtà,non fu altro che un conquistatore senza pari,un depredatore delle sue considerevoli ricchezze. Il Saccoccio sostiene che Napoleone non è stato guidato da alcuna ideoilogia, se non quella del culto della sua personalità. Egli, da calcolatore, non ha cercato di servire la Francia,ma di servirsi di essa,perché vi vide un trampolino di lancio per la sua sfolgorante, insaziabile ascesa politica nel tentativo di fondare una dinastia,destinata a succedere ai Merovingi,ai Carolingi e ai Capetingi, per perpetuare se stesso e la sua famiglia,agendo da perfetto capoclan,che aveva una sconfinata fiducia in se stesso e nei suoi piani,sopravvalutandosi nel ritenersi un predestinato,chiamato dal fato a “cambiare la faccia del mondo”,compiendo cose immense e durevoli,pronto a schiacciare tutto quello che trovava sulla sua strada (guai  a chi capiterà sotto le sue ruote),ritenendosi un essere superiore.

Alfredo Saccoccio

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