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Nel testamento di Ferdinando II :”Sussidii a’ poveri, e restauri e costruzioni di chiese in Sicilia”

Posted by on Mag 23, 2018

Nel testamento di Ferdinando II :”Sussidii a’ poveri, e restauri e costruzioni di chiese in Sicilia”

Nel testamento di Ferdinando II :”Sussidii a’ poveri, e restauri e costruzioni di chiese nei paesetti che ne mancassero sul continente e in Sicilia”.

Morte di Ferdinando II

[…]. Ai 22 di maggio […] 1859, all’una e mezzo pomeridiane, consolato dai santiconforti della Religione, da lui ricevuti con quell’edificante pietà, che sempre avevapraticata in vita, il Re Ferdinando moriva […], lasciando i suoi popoli nel pianto e ilgiovane suo successore in una delle più difficili situazioni, in che avesse mai atrovarsi un principe nel salire al trono.Ferdinando II era nato nel 1810, e non aveva ancora 50 anni, quando Dio volletoglierlo in tempi così gravi al Regno, che per quasi 30 anni aveva sapientementegovernato. Molte parti ebbe il Re veramente grande, delle quali diede luminosepruove e nell’interno ordinamento dello Stato, e nelle esterne relazioni collePotenze. […] Sua gloria imperitura sarà sempre la nobile fermezza in faccia aigrandi Potentati europei, amoreggianti con la rivoluzione, e l’affettuosa figlialepremura con cui accolse nei suoi Stati, nelle dolorose vicende del 1848, l’augustoPadre dei fedeli, il Sommo Pontefice Pio IX, il quale bel dimostrò quanto lo amasse,quando bandì in Roma pubbliche preghiere per la sua guarigione.Ma circa codesto luttuoso fatto colmo di luttuosissime conseguenze, riportiamouna bella pagina del De Sivo nella sua storia delle due Sicilie.

“Nella vigilia dei supremi travagli d’Italia, scrive egli, Re Ferdinando, che per nomee senno poteva far argine alla piena, sentiva aggravarsi il morbo in Bari, lontanodalla Reggia, anco mancando de’ più eletti consigli dell’arte salutare. Fu daprincipio stimato avesse sciatica reumatica, prodotta dai freddi del viaggio; mapresto andò a miosite, che, trovato guasto il sangue, suppurò, e si steseall’anguinaia ed alla coscia, con tumori e febbri intermittenti, onde gli detterochinino. Ciò gli irritò l’asse cerebro-spinale, e parve apoplessia e delirio, sicchéaccorsero con bagni e mignatte. Come si poté, menaronlo il 9 marzo, navigando 50ore, alla Favorita (Portici); indi per la via ferrata a Caserta, ch’era il primo diQuaresima, a ore 3 ½ vespertine. Andò dalla stazione della strada alla reggia suuna barella, tra la mestissima Real famiglia vestita a nero per altro suo lutto: parevaun mortorio; piangeva la popolazione benché discosta, i soldati non poteanorattenere i singhiozzi, ed ei con la voce e con la mano li confortava e salutava.Intristì; né valse, che, punto alla coscia, scaricasse copia di pus; che anzi viuscirono più seni fistolosi, cui seguitò febbre etica, emottisi e tabe.“Durò malato 4 mesi e otto giorni, con dolori asprissimi; sopportò amarezze dimedele, punte di ferri con pazienza; ebbe il viatico a’ 12 di aprile, la estremaunzione a’ 20 maggio. — Piangendo i circostanti ed anche i soldati che teneano icerei, disse: “Perché piangete? io non vi dimenticherò.” — E alla Regina:“Pregherò per te, per i figli, pel paese, pel Papa, pe’ sudditi amici e nemici, e per ipeccatori.” Sentendosi più male, disse: “Non credeva la morte fosse sì dolce,muoio con piacere e senza rimorso.” Poi, ripigliando, aggiunse: “Non bramo già lamorte come fine di sofferenze, ma per unirmi al Signore.” — La notte precedente al22, dicendo morirebbe quel dì, ordinò egli stesso la Messa e i più minuti particolaridel servizio sacro. — Ebbe la benedizione Apostolica con plenarie indulgenze,delegate per telegrafo dal Pontefice al confessore, monsignor Gallo, Arcivescovodi Patrasso. Al sentirsi mancare notò che gli si scuravano gli occhi; poco stantestese la mano alla croce dell’Arcivescovo, l’altra porse alla Regina in segno diaddio, poi chinò il capo sulla mammella destra e finì. — Era la domenica 22 maggio,dopo il meriggio un’ora e dieci minuti.

 

Testamento

Presso a morire Ferdinando II dettò il testamento cui volle scritto di mano del figlio Francesco, presente la Regina, i due più grandicelli figliuoli, Luigi e Alfonso, e Monsig. Gallo, in questi sensi:

“Raccomando a Dio l’anima mia, e chiedo perdono ai miei sudditi per qualunque mia mancanza verso di loro, e come sovrano e come uomo. Voglio che, eccetto le spettanze matrimoniali alla Regina, e gli oggetti preziosi con diamanti al mio primogenito, si facciano della mia eredità dodici uguali porzioni: vadano una alla Regina, e dieci ai miei dieci cari figli. La dodicesima a disposizione del primogenito, stabilisca Messe per l’anima mia, sussidii a’ poveri, e restauri e costruzioni di chiese nei paesetti che ne mancassero sul continente e in Sicilia. I secondogeniti entreranno in possesso compiuti gli anni trentuno; sino a qual tempo, ancorché fossero coniugati, staranno a spese della real casa. Ciascuna quota di secondogenito, sarà a vincolo di maggiorato; e ove si estingua, torni a casa reale. Delle quattro porzioni delle femmine voglio da ciascuna si tolga il terzo, il resto sia loro proprietà estradotale, con vincolo d’inalienabilità; e se maritate finissero senza figli, ritornino a casa reale. Da tai prelevati quattro terzi dono ducati 20 mila a ciascuno de’ miei quattro fratelli, Carlo, Leopoldo, Luigi e Francesco; ducati 15 mila al principe di Bisignano, e ducati 5 mila alla gente del mio servizio. Del rimanente si cresca la porzione dei maschi secondogeniti, ma disugualmente, distribuita in ragione diretta degli anni di età di ciascuno; affinché i minori di età abbiano col moltiplicamento di più anni raggiunta la porzione pari a quella dei maggiori fratelli. La villa Capossele a Mola, come bene libero, lascio al mio primogenito, al mio caro Laso (così per vezzo l’appellava). E voglio questa mia disposizione abbia forza di legge di famiglia, non soggetta a giudizio di magistrato, ma giudice unico ed arbitro ne sia il mio successore e chi lo seguirà.”
“Questa eredità privata, continua il De Sivo, era diversa dai beni di casa reale, componevasi di rendite napolitane, siciliane ed estere, oggetti preziosi valutati 60,787 ducati, 41,377 ducati trovati in oro, e altre parecchie carte di crediti su casse di difficile esazione. Tutta la eredità disponibile fu stimata 6,795,080 ducati; però ne spettarono a Francesco 566,256 e 69, ed altrettanti alla vedova Regina; 756,521 e 92 al Conte di Trani, e agli altri minori fratelli poco meno, in proporzione delle età. Le Principesse ebbero per ciascuna ducati 377,504 e 46 inalienabili, fuorché la rendita da porsi a frutto. Francesco volle entrassero nella sua porzione i valori di difficile esazione; ma la Regina vedova, gareggiando di sensi generosi, nol sofferse e ne tolse la metà nella sua parte.
“Vegga dunque il lettore quanti fossero i milioni lasciati dallo economo Ferdinando in ventinove anni di ricco regnare, risparmiati dalla sua lista civile, e da’ frutti delle doti di due mogli, moltiplicati in tanti anni. E la setta predicavali innumerevoli e rubati alla nazione! Inoltre aveva spesi due milioni per riedificare l’arsa reggia di Napoli, e altri per quelle di Caserta e Capodimonte. Coi beni di Casa reale aveva maritate le sue quattro sorelle, provveduto di maggioraschi i fratelli, ciascuno di ducati 60 mila. Sempre ospitale a Imperatori, a Re, a Papi, aveva con giusto fasto sostenuto il decoro della sua casa e del reame. Dappoi, quando la calunniatrice setta entrò in trionfo nella misera Napoli, confiscò ogni cosa alla Casa Borbone: i risparmi degli orfani, l’economie annose, le doti delle Regine e Principesse, e tutto quasi fosse cosa del regno rapito!” […]

Tratto da: Paolo Mencacci “Storia della Rivoluzione Italiana”

fonte

http://luciadimauro.altervista.org/nel-testamento-di-ferdinando-ii/

 

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