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NOTAIO CARLO FRAGOMENI RICORDA PRINCIPE ANTONELLO RUFFO DI CALABRIA

Posted by on Ago 27, 2017

NOTAIO CARLO FRAGOMENI RICORDA PRINCIPE ANTONELLO RUFFO DI CALABRIA

 Mi sento onorato e ritengo di essere legittimato a questo mio breve ed affettuoso ricordo del Principe Don Antonello Ruffo di Calabria,  dato il lungo rapporto amicale durato quasi trent’anni, con inizio dal declino, lento ed inesorabile del Suo disegno utopico.

Anni non tumultuosi come quelli della giovinezza, ma anni di una maturità in cui si addensano le perturbazioni della vita e si affinano i sentimenti, resistendo alla forza di eventi tutti contrari.

Il Principe si è rivelato sin da subito,  persona aperta, creativa e trascinante, di temperamento coraggioso e tattico,  al punto di tenere sotto scacco, per ben 25 anni, senza traumi giudiziari, la schiera dei creditori più svariati delle sue società, con la sola arma di difesa del sorriso accattivante, con il tratto gentile dei suoi modi signorili, confermando così la fondatezza, del miracolo di una parola detta sottovoce,  che trasforma la cenere nella rosa di Paracelso, come ci ha insegnato Borgés.

Mai nascondeva la intensa trama della Sua vita da giovane, affinata tra innesto di eventi, idee, personaggi di altissimo livello intellettuale.

La sua era una forma geniale, ingenua e tragicamente sbagliata,  di domande, esigenze, forse impossibili,  quanto grandiose e necessarie.

Aveva il sogno di una umanità liberata e non vedeva il pervertimento della mediocre attività politica e burocratica, il dilagare del disordine, del venir meno alla parola data, del tradimento e delle ingiuste accuse.

Mi chiedevo sempre come facesse a sopportare ore ed ore di anticamera, negli uffici amministrativi  di Roma e provincia in attesa di essere ricevuto da irreperibili impiegati,  mentre fuori imperversava la canicola e dentro il digiuno prolungato mordeva.

Voleva spiegare il suo progetto ideale, un progetto che varcava i confini della sua amatissima Selva, fatto di persuasione, fiducia, entusiasmo, nell’educazione al bello, in quanto eleva la mente e conduce al bene.

Tutte cose da realizzare da solo nell’agone non di un mondo contadino che invece Egli frequentava e comprendeva, ma, di quel mondo di mezzo, che noi ora sappiamo e che Egli non conosceva, illudendosi si trattasse di cittadini normalmente onesti, parte di una comunità cui dare conto esercitando doveri e diritti in un contesto di civiltà.

Non era consapevole fin in fondo che quel mondo oggi è umanamente ed obiettivamente arrivista, arrogante ed irredimibile.

Le sue idee venivano considerate troppo grandi perchè non erano alla portata di un territorio culturalmente depresso.

E infatti, mentre altrove oggi  si vede crescere a dismisura il numero dei turisti e dei visitatori dei parchi naturali, delle oasi del verde, e dei grandi giardini fioriti, qui nella Selva, luogo della sua anima, è stato istituito un inutile, statico, adusto monumento naturale, senza vita, anticamera logica dell’incenerimento e della finitudine.

Personaggio intransigente, trasgressivo, generoso ed eroico, don Antonello parlava della dissidenza, come tutti i rivoluzionari inneggianti alla cancellazione delle certezze, delle priorità fissate dal potere debole o da altri centri aventi vocazione autoritaria.

A Lui non importava quale Dio pregare, ma per quale causa battersi.

Non della vita gli interessava, ma cosa fare di essa.

E quando ormai cominciava a percepire la sua impossibilità fisica di combattere e resistere negli ultimi anni della sua vita, stoicamente decideva di morire al mondo anzitempo, tacendo, non parlando più con nessuno.  Ed io che andavo a fargli visita con la morte del cuore, nei suoi occhi vedevo che aveva voluto dimenticare tutto e , da par suo, anche i tradimenti e le accuse dei devastatoti e predatori della Selva e della sua vita, innominabili.

Alla fine di questa “consolatio”, mi piace immaginare, avendo in mente Seneca, che “questo spirito  è ora salito tra le stelle e lì si è ricongiunto con gli altri spiriti felici dei  suoi eccellenti Avi, il padre don Fulco ed il prozio don Fabrizio, luogotenente del re delle Due Sicilie, senza limiti di poteri, i quali gli raccontano come si vive tra le stelle e come piccola e orrenda appaia, di lassù l’esistenza umana, tutta violenza, sotterfugi e disaccordi.

Povera umanità che si illude di durare mentre il tempo avrà la meglio su tutto.  Come i morti già sanno”.

In morte del Principe don Antonello Ruffo di Calabria avvenuta in Roma il 24 Agosto 2017.

Omaggio di 

Carlo Fragomeni

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