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PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (dodicesima parte)

Posted by on Gen 24, 2018

PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (dodicesima parte)

Alla dichiarazione del Francese, nella quale la causa del Re delle Due Sicilie veniva una volta di più congiunta a quella della S. Sede, Lord Clarendon rispondeva in questi termini:

Dichiarazione di Lord Clarendon

Accuse del Governo Inglese

«Noi abbiamo provvedute allo sgombro dei vari territori occupati dalle milizie straniere durante la guerra; abbiamo fatto premura solenne di effettuare questo sgombro nel più breve termine} come potremmo non preoccuparci delle occupazioni che ebbero luogo prima della guerra, e d’astenerci dal cercare modo di porvi fine?

«La Gran Bretagna non crede utile lo investigare le cause che condussero eserciti stranieri in molti punti d’Italia; ma è d’avviso che, ammesse pure queste cause legittime, non è men vero, che ne conseguita uno stato anormale irregolare che non può essere giustificato se non se da una estrema necessità, e che debba cessare appena tale necessità non si faccia più sentire imperiosamente;

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che tuttavia se non si cerca a por fine a tali bisogni, essi continueranno ad esistere. Che se si sta paghi ad appoggiarsi alla forza armata, in luogo di cercar rimedio ai giusti motivi di mal contento, è certo che si renderà permanente un sistema poco onorevole pei Governi e disgustoso pei popoli. Pensa che l’amministrazione degli Stati romani offre inconvenienti, donde possono sorgere pericoli, che il Congresso ha diritto di cercar modo di prevenire; che non porvi mente sarebbe esborsi a lavorare a profitto della rivoluzione, che tutti i Governi biasimano e vogliono evitare. Il problema che è urgente risolvere, consiste nel combinare il ritiro delle milizie straniere col mantenimento della tranquillità: e questa soluzione sta nell’organare un’ amministrazione che, facendo rinascere la fiducia, rendesse il Governo indipendente dall’aiuto straniero. Quest’appoggio non essendo giammài capace a sostenere un Governo al quale l’opinione pubblica è contraria, ne conseguirebbe, secondo la sua opinione, una posizione che la Francia e l’Austria non vorranno accettare per i loro eserciti. Pel benessere degli Stati Pontificii, come nell’interesse dell’autorità sovrana del Papa, sarebbe dunque utile, secondo il suo parere, di raccomandare la secolarizzazione del Governo e l’organizzazione di un sistema amministrativo in armonia colle tendenze del secolo, ed avente per iscopo la felicità del popolo. Ammette che questa riforma può presentare forse a Roma, in questo momento, alcune difficoltà; ma crede che potrà facilmente effettuarsi nelle Legazioni.

«La Gran Bretagna fa notare, che da otto anni a questa parte Bologna è in istato d’assedio, e che le campagne sono invase dai briganti; puossi sperare, ei crede, che collo stabilirsi in questa parte degli Stati Romani un regime amministrativo e giudiziario laico e separato, e coll’organizzarsi una forza armata nazionale, la sicurezza e la confidenza si ristabilirebbero rapidamente, e che le milizie austriache potrebbero ritirarsi fra poco, senza che abbiansi a temere novelle agitazioni; se non altro, a suo parere, è una esperienza che si potrebbe tentare: e questo rimedio offerto a mali incontestabili dovrebbe essere sottoposto alla seria considerazione del Papa.

«Per quanto concerne il Governo di Napoli, la Gran Bretagna desidera imitare l’esempio del Conte Walewski, tacendo atti che ebbero una sì spiacevole eco. Essa pensa che dee senza dubbio riconoscersi in massima, che niun Governo ha diritto ingerirsi negli affari interni degli altri Stati; ma crede esservi casi, nei quali la eccezione a questa regola diventa un diritto e un dovere. Il Governo napolitano pare che abbia conferito questo diritto e imposto questo dovere all’Europa; e poiché i Governi rappresentati al Congresso vogliono tutti, collo stesso impegno, sostenere il principio monarchico e respingere la rivoluzione, deesi alzar la voce contro di un sistema, che tiene accesa fra le masse l’effervescenza rivoluzionaria, invece di spegnerla.

«Noi non vogliamo che la pace sia turbata, e non vi ha pace senza giustizia; noi dobbiamo dunque far giungere al Re di Napoli il voto del Congresso,

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perché migliori il suo sistema di Governo, voto che certo non può rimanere sterile; noi dobbiamo inoltre chiedergli una amnistìa per le persone che furono condannate, o che sono in carcere senza giudizio per colpe politiche». – Così la Nota inglese.

Ai 16 di Aprile, chiusosi il Congresso, il Conte di Cavour e il Marchese di Villamarina emisero una nuova Nota più grave della prima, benevolmente accolta dalla Francia e dall’Inghilterra. Eccola:

Nota comunicata dai Plenipotenziari sardi a quelli

di Francia e d’Inghilterra nell’atto di lasciare il Congresso.

«I sottoscritti Plenipotenziarii, pieni di fiducia nei sentimenti di giustizia dei Governi di Francia e d’Inghilterra, e nell’amicizia che professano pel Piemonte, non hanno cessato di sperare, dopo l’apertura delle conferenze, che il Congresso di Parigi non si separerebbe senza aver preso in seria considerazione lo stato dell’Italia, ed avvertito ai mezzi di recarvi rimedio, ripristinando l’equilibrio politico, turbato dalla occupazione di gran parte delle provincie della Penisola dalle milizie straniere. Sicuri del concorso dei loro alleati, essi ripugnavano a credere, che niuna altra Potenza, dopo avere attestato un interessamento sì vivo e sì generoso per la sorte de’ Cristiani di Oriente appartenenti alla razza slava ed alla greca, rifiuterebbe di occuparsi dei popoli di razza latina ancor più infelici, poiché, a ragione del grado di civiltà avanzata che hanno raggiunto, essi sentono più vivamente le conseguenze di un cattivo governo.

Atto d’accusa del Piemonte contro l’Austria

«Questa speranza è venuta meno. Malgrado del buon volere della Francia e dell’Inghilterra, malgrado dei loro benevoli sforzi, la persistenza dell’Austria a chiedere che le discussioni del Congresso rimanessero strettamente circoscritte nella sfera delle questioni che era stata tracciata prima della sua riunione, è cagione che questa assemblea, sulla quale sono rivolti gli occhi di tutta Europa, sta per isciogliersi non solo senza che sia stato arrecato il menomo alleviamento ai mali dell’Italia, ma senza aver fatto splendere al di là delle Alpi un bagliore di speranza nell’avvenire, atto a calmare gli animi, ed a far loro sopportare con rassegnazione il presente.

«La posizione speciale occupata dall’Austria nel seno del Congresso rendeva forse inevitabile questo deplorevole risultato. I sottoscritti sono costretti a riconoscerlo. Quindi, senza rivolgere il menomo rimprovero ai loro alleati, credono debito loro di richiamare la seria attenzione dei medesimi sulle conseguenze spiacevoli che esso può avere per l’Europa, per l’Italia, e specialmente per la Sardegna.

«Egli sarebbe superfluo di tracciare qui un quadro preciso dell’Italia. Troppo notorio è ciò che avviene da molti anni in quelle contrade. Il sistema di compressione e di reazione violenta,

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inaugurato nel 1848 e 1849, che forse giustificavano alla sua origine le turbolenze rivoluzionarie che erano state in allora compresse, dura senza il menomo alleviamento. Si può anche dire che. tranne alcune eccezioni, esso è seguito con raddoppiamento di rigore. Giammai le prigioni ed i bagni non sono stati più pieni di condannati per cause politiche; giammai il numero dei proscritti non è stato più considerevole; giammai la polizia non è stata più duramente applicata. Ciò che succede a Parma lo prova anche troppo.

«Tali mezzi di Governo debbono necessariamente mantenere le popolazioni in uno stato di costante irritazione e di fermento rivoluzionario.

«Tale è lo stato dell’Italia da sette anni in poi.

«Tuttavia in questi ultimi tempi l’agitazione popolare sembrava essersi calmata Gli Italiani vedendo uno de’ Principi nazionali coalizzato colle grandi Potenze occidentali per far trionfare i principii del diritto e della giustizia, e per migliorare la sorte dei loro correligionarii in Oriente, concepirono la speranza che la pace non si sarebbe fatta senza che un sollievo fosse recato ai loro mali. Questa speranza li rese calmi e rassegnati. Ma quando conosceranno i risultati negativi del Congresso di Parigi, quando sapranno che l’Austria, non ostante i buoni offici e l’intervento benevolo della Francia e dell’Inghilterra, si è rifiutata a qualsiasi discussione, che essa non ha voluto nemmeno prestarsi all’esame dei mezzi opportuni a portar rimedio a un sì triste stato di cose, non v’ha alcun dubbio che l’irritazione assopita si sveglierà fra essi in modo più violento che mai. Convinti di non aver più nulla ad attendere dalla diplomazia e dagli sforzi delle Potenze che s’interessano alla loro sorte, ricadranno con un ardore meridionale nelle file del partito rivoluzionario e sovversivo; l’Italia sarà di nuovo un focolare ardente di cospirazioni e di disordini, che forse saranno compressi con raddoppiamento di rigore; ma che la minima commozione europea farà scoppiare nella maniera la più violenta. Uno stato di cose cosi spiacevole, se merita di fissare l’attenzione dei Governi della Francia e dell’Inghilterra, interessati ugualmente al mantenimento dell’ordine e allo sviluppo regolare della civiltà, deve naturalmente preoccupare nel più alto grado il Governo del re di Sardegna.

«Lo svegliarsi delle passioni rivoluzionarie in tutti i paesi che circondano il Piemonte, per effetto di una causa di tale natura che eccita le più vive simpatie popolari, lo espone a pericoli di una eccessiva gravita, che possono compromettere quella politica ferma e moderata che ha avuto sì felici risultati e gli ha valso la simpatia e la stima dell’Europa illuminata.

«Ma questo non è il solo pericolo che minaccia la Sardegna. Un pericolo più grande ancora è la conseguenza dei mezzi che l’Austria impiega per comprimere il fermento rivoluzionario in Italia, chiamata dai Sovrani dei piccoli Stati italiani impotenti a contenere il malcontento dei loro sudditi. Questa Potenza occupa militarmente la maggior parte della valle del Po e dell’Italia centrale, e la sua influenza si fa sentire in una maniera irresistibile nei paesi stessi in cui essa non ha soldati. Appoggiata da un lato a Ferrara e a Bologna, le sue truppe si stendono sino ad Ancona,

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lungo l’Adriatico, divenuto in certo modo un lago austriaco; dall’altro, padrona di Piacenza, che, contrariamente allo spirito, se non alla lettera dei trattati di Vienna, lavora a trasformare in piazza forte di prim’ordine; essa ha guarnigione a Parma e si dispone a spiegare le sue forze in tutta la estensione della frontiera sarda, dal Po sino alla cima degli Appennini.

«Queste occupazioni permanenti per parte dell’Austria di territorii che non le appartengono, la rendono padrona assoluta di quasi tutta Italia, distruggono l’equilibrio stabilito dal Trattato di Vienna, e sono una minaccia continua per il Piemonte.

«Circondato in qualche modo da ogni parte dagli Austriaci, vedendo svilupparsi nel suo confine orientale completamente aperto le forze di una Potenza, che sa non essere animata da sentimenti benevoli a suo riguardo, questo paese è tenuto in uno stato costante di apprensione, che l’obbliga a rimanere armato e a misure difensive eccessivamente onerose per le sue finanze, oberate già in seguito degli avvenimenti del 1848 e 1849, e dalla guerra a cui ora ha preso parte.

«I fatti che i sottoscritti hanno esposto bastano per far apprezzare i pericoli della posizione, nella quale il Governo del Re di Sardegna si trova collocato.

«Perturbato all’interno dalle passioni rivoluzionarie, suscitate tutto intorno a lui da un sistema di compressione violenta e dal l’occupazione straniera, minacciato dall’estensione della potenza dell’Austria, egli può da un momento all’altro essere costretto da una necessità inevitabile ad adottare misure estreme, di cui è impossibile calcolare le conseguenze.

«I sottoscritti non dubitano, che un tale stato di cose non ecciti la sollecitudine dei Governi di Francia e d’Inghilterra, non solo a cagione dell’amicizia sincera e della simpatia reale che queste Potenze professano per il Sovrano, che solo fra tutti, nel momento in cui il successo era il più incerto, si è dichiarato apertamente in loro favore; ma soprattutto perché costituisce un vero pericolo per l’Europa.

«La Sardegna è il solo Stato dell’Italia che abbia potuto elevare una barriera insormontabile allo spirito rivoluzionario (!?) e rimanere nello stesso tempo indipendente dall’Austria; è il solo contrappeso alla sua influenza, che tutto invade.

«Se la Sardegna avesse a soccombere spossata di forze, abbandonata dai suoi. alleati; se fosse costretta essa medesima a subire la dominazione austriaca, allora la conquista dell’Italia per parte di questa Potenza sarebbe compiuta.

«E l’Austria, dopo aver ottenuto, senza che le costasse il minimo sacrifizio, l’immenso beneficio della libertà della navigazione del Danubio» e della neutralizzazione del Mar Nero, acquisterebbe una influenza preponderante in Occidente.

«Questo è quello che la Francia e l’Inghilterra non potrebbero volere: questo è quello che esse non permetteranno mai.

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«Però i Plenipotenziari Sardi sono convinti che i Gabinetti di Parigi e di Londra, prendendo in seria considerazione la situazione dell’Italia, avviseranno, d’accordo colla Sardegna, ai mezzi di recarvi un efficace rimedio. (1)»

Con questa nota ebbe termine il pur troppo famoso Congresso di Parigi, che fu, come a dire, la introduzione della sanguinosa commedia, in cui i gerofanti della setta anticristiana prelusero a tutto il tema dell’opera scellerata, che era per rappresentarsi sul teatro della civile Europa, in presenza di Governi e di popoli indegnamente traditi. Una cosa sola rimase chiaramente constatata in quel Congresso, cioè il totale isolamento dell’Austria, il perfetto accordo delle tre Potenze Occidentali e la insipiente indifferenza dei Potentati del Nord, che nella ruina dell’Austria e nella proclamazione dei nuovi principii d’un inaudito diritto, non seppero o non vollero scorgere l’elemento di distruzione di tutti i troni. Era la solita guerra delle Potenze massoniche contro gli Stati cattolici, mentre la Russia e la Prussia spingevano da pezza l’Austria verso la sua mina: testimonio il trattato di divisione della Polonia del 1772, opera dell’empia Caterina e dell’incredulo Federigo, siccome fu anche poi quello del 1795.

Ma gli Atti officiali da noi arrecati sono tali da non poter essere consegnati alla storia senza commenti; dessi sono improntati di tale una perfidia, di tale una malizia, che più d’un lettore potrebbe rimanerne se non ingannato, almeno incerto della verità: aggiungiamo adunque qualche parola di commento.

(1) Tratte de paix, signè a Paria le 30 Maro 1856. Turin imprimerie royale, 1856.

fonte

eleaml.org

 

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