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PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (quattordicesima parte)

Posted by on Feb 7, 2018

PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (quattordicesima parte)

CAPO IV.

Intrighi.

Abbiamo detto del Congresso di Parigi, ne abbiamo recati i documenti più importanti, ne abbiamo fatti opportuni commenti; però non abbiam detto tutto circa l’azione della diplomazia piemontese, prima, durante, e dopo il Congresso. – Lo facciamo ora a ulteriore edificazione di chi ci legge.

Lamartine e il Congresso di Parigi

Il Lamartine nel suo periodico mensile intitolato: Cours familier de littèrature un entretien par mois, fascicolo del mese di Agosto 1860, trattando delle tristizie politiche dei libri di Niccolo Macchiavelli, giudica nel seguente modo il Congresso di Parigi:

«Alla voce di un Ministro piemontese il Congresso del 1856, tutti i principii di diritto pubblico internazionale, s’arrogò illegalmente un diritto d’intervento arbitrario nel regime interno delle sovranità straniere. Napoli, Roma, Parma, la Toscana, l’Austria, furono denunziate siccome volgari colpevoli davanti al tribunale del Piemonte, della Francia e dell’Inghilterra. Un simile sbaglio contro il diritto non poteva fare a meno di generare il disordine al di fuori; era questo il principio del caos europeo.

«L’indipendenza e la responsabilità dei Sovrani in faccia ai loro popoli essendo distrutte, ognuno aveva diritto di comandare in casa altrui, ma non in casa propria. Il diritto di consiglio creava il diritto di reciproco intervento militare, da questo diritto d’intervento reciproco derivava e deriva tuttavia il timore di continua guerra tra i vicini; all’opposto del diritto di civiltà, che è l’indipendenza dei popoli in casa loro.

«Il Piemonte, che dalla compiacenza o dalla sorpresa, nel Congresso del 1856 aveva ottenuto un simile principio non tardò a servirsene. La guerra detta dell’indipendenza scoppiò perciò in Italia. Questa guerra per contiguità si estese dal Piemonte a Parma, a Modena, alla Toscana, agli Stati del Papa, ed ora si sta deliberando a Parigi ed a Londra nei consigli della Gallia e della Gran Brettagna su ciò che sarà tolto o conservato del Principato temporale del Papa e degli altri Stati in Italia! Questa sola deliberazione è un intervento chiarissimo, distruggitore d’ogni diritto pubblico e d’ogni indipendenza italiana; quindi qualunque cosa

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voi pronunzierete, pronunzierete male. Perché voi, o Europa, al Congresso del 1856 a Parigi, vi siete arrogata, alla voce di un Ministro piemontese, il diritto di deliberare sull’interno regime dei popoli! Questa sola deliberazione sull’ultimo villaggio italiano è una usurpazione o sulla sovranità dei governi, o sopra la libera volontà dei sudditi.

«Non c’ingannammo nel 1856 leggendo questo irregolare intervento concesso al Piemonte negli affari interni del Papa, del Re di Napoli e delle altre Potenze italiane; lo dissi a me stesso: è una dichiarazione di guerra sotto la forma di una sottoscrizione di pace. Noi discutiamo oggidì sulle conseguenze di questa linea inserita nel protocollo del Congresso del 1856. Che diverrà il Potere temporale del Papato se l’Europa è conseguente? Che diverrà l’Italia se l’Europa si ritratta? Questo diritto d’intervento reciproco, emanato dal Congresso di Parigi nel 1856, è la fine del diritto pubblico europeo. Il Diplomatico piemontese ha teso un tranello al Congresso, e il Congresso vi è caduto dentro. Non ne uscirà se non riconoscendo il diritto contrario».

E il Lamartine giudicava rottamente: ma a comprovare quali e quanti intrighi adoperasse il famoso Conte di Cavour in quella circostanza, a fine di ottenere l’ingrandimento del Piemonte a danno degli altri Stati italiani, giova riportare una serie di documenti, prolissa se vuoi, ma efficace mezzo di convinzione.

Prime mosse del Cavour per suscitare la Questione italiana al Congresso

  1. Ai 28 decembre 1855 Cavour indirizzava una nota verbale ai Rappresentanti di Francia e Inghilterra a Torino ai quali diceva che: «dopo timer divisi pericoli e gloria nella guerra di Crimea, la Sardegna spera di avere la sorte che nelle prossime conferenze si rivolga l’attenzione dei grandi Potentati sul lagrimevole stato d’Italia, dove in alcuni luoghi si è perduta ogni idea di giustizia e di equità» (1).
  2. Nel gennaio 1856 l’istesso Cavour dirigeva all’Imperatore dei Francesi un memorandum sulla situazione d’Italia, nel quale tra le altre cose diceva: «esser necessario di forzare il Re di Napoli a non più scandalezzare l’Europa civile con un contegno contrario a tutti i principii di giustizia (2).

(1)

Nicomede Bianchi. Documenti editi ed inediti di Cavour. Torino 1863.

(2) É da ricordare in questo luogo che il Card. Wiseman, di venerata memoria, Arciv., di Westminster, prese in Inghilterra le difese del Re di Napoli, tanto calunniato da Palmerston e da giornali del suo colore, affermando che la vita del povero ma parco Napoletano, contento del suo governo, era preferibile le mille volte alla miseria delle classi industriali inglesi ed irlandesi.

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III.

Nello stesso mese di gennaio, avviate le prime prattichediplomatiche a Parigi, Cavour scrive a Rattazzi in Torino: «ho avuto lunga conversazione con Lord Cowley, e ne son rimasto soddisfatto. Egli si è mostrato disposto a secondare i quattro punti della mia lettera: 1° indurre l’Austria a far giustizia al Piemonte; 2° a concedere riforme alla Lombardia e Venezia; 3° a sgombrare dalle Romagne e Legazioni, per le quali è da destinarsi un Principe secolare, e ristabilire così l’equilibrio in Italia; 4° forzare il Re di Napoli a mutare regime governativo, che egli crede andare a genio anche all’Imperatore Napoleone.»

Accordo tra Napoleone III e Cavour

Ai 29 febbraio del medesimo anno altra lettera del Cavour a Rattazzi: «Ho reso conto, dicevagli, in un dispaccio riservato, della conversazione che ho avuta ieri coll’Imperatore. – Non ho molto da aggiungere a quanto in essa ho detto. Solo posso assicurarla, che realmente l’Imperatore avrebbe volontà di fare qualche cosa per noi. Se possiamo assicurare l’appoggio della Russia otterremo qualche cosa di reale.»

Accordo In questo mentre si stabiliva su di alcuni punti principali una piena ed intera intelligenza tra Napoleone III e Cavour. Da un dispaccio riservatissimo di costui al Conte Cibrario, Ministro degli affari esteri a Torino (24 marzo 1856), risulta aver egli convenuto coll’Imperatore dei Francesi, che la questione italiana sarebbe posta in campo nelle conferenze, sotto l’aspetto restrittivo di riferimento a due questioni speciali: questione delle Romagne e questione napolitano; che la prima di queste sarebbe più specialmente mossa dal Piemonte, la seconda dalla Francia. Ciò quanto all’attualità; riguardo all’avvenire poi, il Governo di Torino promette favoreggiare con ogni suo mezzo i maneggi di Murat, cui passerebbe a suo tempo il regno di Napoli. Napoleone assicura in massima la formazione, a tempo opportuno, di un gran regno al settentrione d’Italia a favore di Casa Savoia verso compensi territoriali alla Francia. Il Piemonte era disposto a cedere le due Sicilie a Murat, posto che ottenesse per se il Lombardo-veneto (1).

(1) È strano il vedere come da scrittori piemontesi venga affermato essersi promossa per insinuazione di Napoleone la questione italiana da presentarsi al Congresso di Parigi. Cavour, scrive Brofferio, al Congresso di Parigi, pensava tanto a fare l’avvocato d’Italia, come a cantar vespero col Patriarca di Costantinopoli. Fu l’Imperatore Napoleone che gli rivelò primiero i suoi progetti a favore d’Italia, e lo eccitò a presentare il famoso Memorandum che era tutto opera dell’istesso Napoleone. (Brofferio miei tempi Torino 1860, vol. XIV. pag. 77). E in conferma di ciò un altro scrittore piemontese aggiungeva: Non fu il Conte di Cavour a suscitare la questione Italiana al Congresso di Parigi, dove nulla si disse che l’Imperatore di Francia non avesse prima voluto; e le parole dello Inviato piemontese

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Al quale dispaccio il ministro Cibrario risponde ai 24 marzo al Cavour, dicendo: «Accuso ricevimento dei vostri dispacci n. 22 e 23 e della vostra tetterà confidenziale de’ 24. Apprendo da questa ultima tutte le difficoltà che avete dovuto superare per ottenere che il Congresso s’intrattenesse della questione degli Stati romani, questo minimum, ove ostacoli insormontabili hanno forzato di ridurre per ora l’opera di rigenerazione in Italia. Se le Grandi Potenze potessero determinarsi a portare le loro vedute al di là degli interessi e dei timori del momento, noi non avremmo a dubitare del felice esito di queste proposte. Ma, con la premura che si è manifestata per la pace, vi ha luogo a temere che il desiderio di riposo, la tendenza ad evitare ogni soggetto di discussione coll’Austria, non facciano soprassedere a questi proggetti pure come agli altri. Lodo che siate riuscito a fare penetrare l’Imperatore del pericolo che vi sarebbe, abbandonando l’Italia al suo stato attuale, come de’ motivi sì possenti per lo equilibrio di Europa e gli interessi medesimi della Francia, i quali consigliano di fare al Piemonte una posizione abbastanza forte da potere conservare un’attitudine indipendente rispetto all’Austria e contrabilanciare la sua influenza. Si può sperare che l’Imperatore, di cui la saggezza e la tenacità sono conosciute, saprà preparare le vie per la realizzazione dei disegni che egli si sarebbe in qualche modo appropriati (1).» (Delle recenti avventure dv Italia del Conte Ernesto Ravvitti Venezia 1865 Tom. I. pag. 144.)

  1. Al Congresso di Parigi, ai 27 marzo 1856, i Plenipotenziarii sardi, Cavour e Villamarina, cominciano col presentare una Nota

non furono che l’eco di ciò che a Napoleone piacque per le sue mire future, e giovava che si dicesse fin d’allora (Opuscolo pubblicato a Torino nel 1860 dalla Unione tipografica da O. S., col titolo: Cavour e la Opposizione). – Napoleone III mentre sentiva la necessità di obbedire alla frammassoneria, cui aveva giurato fedeltà, voleva consolidare sul Trono la propria dinastia facendo cogl’intrighi diplomatici quello che Napoleone 1, aveva fatto colle armi. Ad ogni modo, per imparzialità di storici, notiamo la contraddizione tra cotesti autorevoli scrittori piemontesi e i documenti che stiamo recando.

(1) Noi abbiamo arrecato più sopra l’autorità di due importanti scrittori piemontesi, che attribuiscono a Napoleone l’iniziativa della questione italiana. Questo dispaccio del Cibrario sembra però infermare quella opinione quando dice che egli (Napoleone) si sarebbe in qualche modo appropriati i disegni di Cavour; ma par troppo Napoleone era il vero depositario del segreto della Frammassoneria fio da quando, in contraccambio dei suoi giuramenti contro la Chiesa, ne aveva formale promessa del ristauramento dell’Impero dello Zio, con lui alla testa.

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verbale ai Rappresentanti di Francia e d’Inghilterra (i soli che davano loro ascolto, mentre quelli di Russia, di Austria e di Prussia non li curavano) «per chiamare la loro speciale attenzione sullo stato d’Italia». (Atti uff. della Camera n. 257 pag. 964.)

Abbiamo detto che l’Austria, la Prussia e la Russia non curavano i Plenipotenzarii sardi; ma quanto a quest’ultima avremo a dire in seguito alcuna cosa, come quella che favorì la Francianella finalissima guerra d’Italia (A. P. cap. 2. e not. Pag. 292.)

Corrispondenza tra Cavour e Rattazzi durante in Congresso

Ai 9 di Aprile 1856, da Parigi Cavour da conto a Rattazzi della tempestosa tornata del giorno precedente, quando essendosi firmato il trattato di pace con la Russia,, egli principia le sue mene contro i Principi italiani, e dice: «Walewski è stato esplicito in quanto a Napoli, parlandone con biasimo severo. Clarendon ha mostrato grande energia sullo stesso proposito contro il Papa, il cui Governo ha definito essere une honte pour l’Europe, e contro il Re di Napoli ha usato parole che solo Massari avrebbe saputo pronunziare; egli ha creduto far uso di un linguaggio estraparlamentare, convinto di non poter altrimenti arrivare ad un risultato pratico. Uscendo dalla seduta, ho detto a Clarendon: -Milord, voi vedete che nulla vi è a sperare dalla Diplomazia; sarebbe tempo di ricorrere ad altri mezzi, almeno per ciò che riguarda il Re di Napoli. – Clarendon mi ha risposto: – Certamente bisogna tosto occuparsi di Napoli. (1) – Nel lasciarlo ho detto che sarei andato a parlargliene in casa. Penso proporgli di gettare per aria il Bomba; bisogna fare qualche cosa; l’Italia non può restare come è: Napoleone ne è convinto, e se la diplomazia è impotente, dobbiamo ricorrere a mezzi estralegali. Io sono propenso alle misure estreme e temerarie: oggi l’audacia è la miglior politica» (A. P. p. 281.) Rattazzi gli risponde: – «Avete ragione; talvolta i mezzi estremi

VII.

(1) I posteriori commenti a questa laconica espressione del Plenipotenziario brittannico sono stati dati da più autorevoli rappresentanti nel Parlamento d’Inghilterra in varie occasioni, come si vedrà nel corso di questo lavoro. È memoranda soprattutto la discussione nella Camera de’ Comuni, 8 maggio 1863, onde emerge, che tutte le cure del Piemonte per impossessarsi del Reame di Napoli sono riuscite a recare tra quelle popolazioni il più feroce dispotismo delle sètte, il permanente stato d’assedio, gli arresti arbitrarii, e le fucilazioni di migliaia e migliaia di cittadini, gl’incendii di 28 paesi, il saccheggio del pubblico tesoro, la enormità delle imposte, un ingente debito pubblico con progressione spaventevole, l’immoralità, l’ateismo, il tradimento elevati a sistema, il saccheggio dei beni della Chiesa eco. – Potranno essere scusate ed anche encomiate tutte codeste esorbitanze dal fanatismo di alcuni Membri del Gabinetto di Londra; ma non da addebitarsi alla generosa nazione inglese ed a molti dei suoi legali Rappresentanti.

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sono necessarii. Ma non temete voi, che l’Inghilterra non vi abbandoni quando si tratterà di marciare contro l’Austria? In quanto a Napoli, quale che sia la soluzione, sarà sempre un gran passo fatto se si cacciano i Borboni». (Nicomede Bianchi p. 39)

VII. Il giorno 11 dell’istesso mese, cosi scriveva di nuovo a Rattazzi: «Ieri ho avuta la seguente conversazione con Clarendon: – Milord, da ciò che si è trattato nel Congresso emergono due cose: 1°. Che l’Austria è decisa a persistere nel sistema di oppressione e di violenza verso l’Italia; 2°. che gli sforzi della Diplomazia sono impotenti a modificare il suo sistema. Conseguenze rincrescevoli ne risultano pel Piemonte, il quale ha due soli partiti a prendere: o riconciliarsi col Papa e con l’Austria o prepararsi a dichiarare la guerra a questa; la quale ipotesi è la migliore. Io ed i miei amici non temeremo di prepararci ad una guerra terribile, una guerra a coltello, thè war to thè Knife, e mi arrestai in questo punto. – Clarendon, mi rispose: – Credo che abbiate ragione; la vostra posizione è difficile; capisco che uno scoppio è inevitabile; non è però giunto ancora il momento per parlarne a voce alta. – E io replicai: – Vi ho dato pruove della mia moderazione e della mia prudenza; credo che in politica bisogna esser molto riservato in parole, ed eccessivamente deciso nello agire; vison posizioni nelle quali vi è men pericolo in una mossa di audacia, che in un eccesso di prudenza: io son persuaso, con Lamarmora, esser noi in istato di cominciare questa guerra, e per poco che duri voi sarete costretti ad aiutarci. – Al che Clarendon ripigliò con vivacità: – Oh! certamente, se vi troverete in imbarazzo, potrete contare su noi e vedrete con quale energia correremo ad aiutarvi. (1) – Non mi spinsi oltre, e mi limitai a poche espressioni di simpatia per lui e per l’Inghilterra. Potrete giudicare da voi stesso

(1) Tardiva, ma sempre autorevole rivelazione è quella del giornale inglese il Times dei 24 marzo 1864, quando dice: «La sorte che toccò ai Borboni di Napoli ed al Papa nella perdita de’ loro domimi fu in non lieve grado promossa dalle denuncie di Lord Palmerston e dal signor Gladstone». Tra i frenetici applausi con che nell’aprile 1864 è stato accolto nella Inghilterra Garibaldi, questi francamente ha proclamato nei ricevimenti officiali: 1° «Nel 1860 senza l’aiuto della Inghilterra sarebbe stato impossibile compiere ciò che facemmo nelle Sicilie «. (4 aprile 1864, risposta allo indirizzo del Mavor di Southampton). II Senza l’aiuto di Palmerston, Napoli sarebbe ancora Borbonica, e senza l’Ammiraglio Mondv non avrei potuto giammai passare lo stretto di Messina (ai 16 detto, nel palazzo di cristallo a Londra). Nel corso di queste Memorie saranno riportati i documenti sull’efficace concorso della flotta e degli arruolati inglesi in servizio della invasione prima garibaldina e poi piemontese delle Due Sicilie.

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della importanza delle parole pronunziate da un Ministro che è riputato prudente e circospetto.

«L’Inghilterra, che vede di mal occhio la pace, son certo che coglierebbe con piacere la opportunità di una guerra, e di una guerra così popolare come quella della liberazione d’Italia (1). Perché dunque non profittiamo di questa sua disposizione, e tentare uno sforzo per compiere i destini di Casa Savoia e del nostro paese? Trattandosi intanto di una questione di vita o di morte, bisogna procedere con circospezione; ond’è che credo conveniente recarmi a Londra per conferire con Palmerston e con gli altri capi del Governo. Se costoro partecipano al modo di vedere di Clarendon, bisogna prepararsi segretamente; fare un prestito di 30 milioni, ed al ritorno dirigere un ultimatum all’Austria, tale che non possa accettarlo e sia costretta a cominciare la GUERRA; alla quale l’Imperatore non saprebbe opporsi, anzi in cuor suo la desidera: egli certamente ci» aiuterà se vedrà l’Inghilterra disposta ad entrare in lizza. D’altronde io prima di partire gli terrò un discorso analogo a quello che ho già tenuto a Clarendon. Le ultime conversazioni, che ho avute con lui e con i suoi Ministri, erano di natura a preparare la via ad una dichiarazione di guerra. – L’unico ostacolo è il Papa: che fare di esso in caso di una guerra italiana? Spero che, leggendo questa lettera, non mi crederete colpito da una febbre cerebrale: al contrario la mia intellettuale sanità è eccellente e non mi son mai sentito così calmo da acquistarmi la riputazione di moderato (2). Spesso me lo dice Clarendon; il Principe Napoleone mi rimprovera di mollezza ed anche Walewski mi accusa di riservatezza. In verità son persuaso potersi azzardare un passo audace con gran probabilità di successo ecc» (3) (De la Rive pag. 354).

(1) La pace infatti fu conchiusa in modo inatteso e malgrado dell’Inghilterra,che fin d’allora voleva andare al fondo della questione d’Oriente e finirla con la Russia. Ma Napoleone, che faceva assegnamento su di questa pel compimento dei suoi disegni sull’Italia, e dei suoi progetti muratteschi sulle Due Sicilie; isolata l’Austria, stese la mano, come a dire al di sopra dei tetti, al mezzo vinto di Pietroburgo, obligando gli alleati, di buona o cattiva voglia non importa, a far la pace con lui.

(2) Invano s illude il cospiratore! Meditando a spogliare il Vicario di Gesù Cristo ed i legittimi Principi d’Italia, la Divina Giustizia gli apparecchiava quell’accidente cerebrale appunto che lo privò improvvisamente di vita a 6 giugno 1861.

(3) I fatti posteriori han confermato queste espressioni di Cavour. Nel famoso discorso del Principe Napoleone, alla seduta del Senato francese 1 marzo 1861, si dice:

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In seguito, come abbiam veduto, Lord Clarendon smentì in parte la iattanza di questa lettera; ma il fece quando Cavour era morto, né poteva più rispondere.

VIII. Ai 14 di aprile 1856 altra lettera di Cavour a Rattazzi. Ieri, scrive egli, lunga conversazione al pranzo del Principe Napoleone. Costui e Clarendon mi han detto di aver parlato a pieno coll’Imperatore Napoleone sugli affari d’Italia, dichiarane dogli che l’Austria metteva il Piemonte in una difficile posizione, e bisognava ritrarnelo. Clarendon affermava apertamente che il Piemonte potrebbe essere spinto a dichiarare la guerra all’Austria, nel qual caso bisognerebbe necessariamente prender parte per lui. L’Imperatore si è mostrato colpito da questa osservazione, rimanendone impensierito; dopo di che ha espresso il desiderio di conferir meco. Spero convincerlo di essere impossibile rimanere nella posizione in cui siamo, per la condotta ostinata ed irritante dell’Austria. – Io son prevenuto delle sue simpatie per l’Italia e per noi, e penso che darà pruove della risoluzione e della fermezza, che lo distinguono. Se il Governo inglese divide la opinione di Clarendon, non ci mancherà anche l’aiuto dell’Inghilterra. Il principe Napoleone fa il meglio che può per noi, e manifesta apertamente il suo odio per l’Austria ecc.» (De la Varenne, pag. 255,)

  1. In altra lettera del dì seguente lo stesso Conte dice così:

«Ho visto l’Imperatore e gli ho parlato, come feci con Clarendon, ma con minor veemenza. Mi ha udito in modo benevolo; ma mi ha risposto che sperava persuadere l’Austria ad accettar consigli più concilianti. Egli mi ha narrato che nel pranzo ultimo aveva detto al Conte Buoi, rincrescergli di doversi trovare in opposizione diretta con l’Imperatore d’Austria sulla questione italiana; per lo che Buoi erasi recato da Walewski per esprimergli la premura dell’Austria di render contento Napo» leone in tutto, aggiungendo di non avere l’Austria altra alleata che la Francia, alla cui politica intendeva uniformarsi.

Io non farò che un rimprovero al mio onorevole amico il Conte. Cavour, ed è di non essere stato abbastanza franco a fronte delle Due Sicilie: egli avrebbe dovuto forse gridare pubblicamente, e lealmente ripetere ciò che diceva in segreto; cioè non posso oppormi al movimento delle Due Sicilie, non posso impedire la partenza di Garibaldi, egli avrebbe dovuto confessarlo apertamente e non l’ha osato. – L’oratore non può d’altronde fare a meno in questo discorso, comunque favorevolissimo al Piemonte, di convenire che la condotta politica del Governo di Torino verso quello di Napoli non ha evidentemente rispettato il diritto.»

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Io mi son mostrato incredulo, ed ho insistito sulla necessità di prendere una decisiva attitudine, e per intavolare la questione nel domani, avrei consegnata una protesta a Walewski. L’Imperatore si mostrò perplesso, e mi consigliò recarmi a Londra, spiegarmi nettamente con Palmerston, e riveder lui al ritorno. Sembra vero che l’Imperatore avesse parlato a Buoi (tanta era la fede che si aveva alle parole di Napoleone); perché costui dopo l’ultima sessione mi si è avvicinato facendomi infinite proteste su le buone intenzioni dell’Austria verso di noi, sul desiderio di conservare la pace, ed altre corbellerie. Io gli ho risposto, non aver egli dato prove di questo suo desiderio e durante il suo soggiorno a Parigi, ed esser io convinto che le nostre relazioni fossero peggiori di prima, conchiudendo rincrescermi che nell’atto di separarci divenissero non buoni i nostri rapporti; ma che avrei conservata memoria del nostro personale incontro. Buoi mi strinse affettuosamente la mano dicendo: – Spero che anche politicamente non saremo sempre nemici. – Da queste parole ho capito che Buoi è spaventato dalle manifestazioni della pubblica opinione a nostro favore. Il russo Orlon mi ha fatto mille proteste di amicizia: ha riconosciuto essere intollerabile la posizione, e mi permette quasi di sperare che il suo Governo si presterebbe volentieri a mettervi un termine. Il Prussiano ha dei pari imprecato contro l’Austria. In breve ancor quando nulla avessimo guadagnato in pratica, la nostra vittoria, in quanto alla opinione pubblica, è sicura (De la Varenne. Lettres inèdites de Cavour. Paris 1862. p. 258.).

  1. Cavour scriveva di nuovo a Rattazzi, giovedì alte ore 6 di sera: – «In punto di partire per Londra vi scrivo per informarvi di una mia lunga conversazione con Clarendon, stato due ore prima presso l’Imperatore, che al suo rammarico sugli infruttuosi “tentativi a favore d’Italia, aveva risposto; Vi autorizzo di dichiarare al Parlamento di aver io la intenzione di richiamare le mie milizie da Roma, ed obbligare l’Austria a richiamare le sue dalle Legazioni; e che io ne parlerò in tuo«no alto quando occorrerà. – L’Imperatore aveva aggiunto: esserglisi fatte da Buoi le più solenni promesse; e che egli s’impegnava ad unirsi all’Inghilterra per chiedere un’amnistia al Re di Napoli in tale tono da non ammettere rifiuto, vale a dire con la minaccia di far partire una squadra. Clarendon mi ha soggiunto esser egli sicuro che, se l’Austria non ismettesse, o che almeno non modificasse il suo sistema in Italia, la Francia e l’Inghilterra ve la costringerebbero fra un anno, ed occorrendo, anche colle armi».

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  1. In altra lettera al Rattazzi Cavour diceva: «Sono a Londra da tre giorni senza nulla conchiudere (1). Ho trovato Palmerston molto addolorato per la morte di Lord Cooper suo figliastro. Tutte le combinazioni di d’Azeglio son dunque fallite. Ho visitato Palmerston, ma in verità non potevo troppo avanzarmi sul soggetto pel quale dovevo intrattenerlo. Mi ha detto di aver ricevuto lettere recenti di Clarendon con migliori notizie, e che egli non trovava ragione per disperare. Veggo non potersi azzardare una seria conversazione fino al ritorno«di Clarendon. Ho veduto varii uomini politici che si pronunziano tutti a favore della nostra causa. I Tories non sembrano meno benevoli dei Wighs, ed i protestanti effervescenti col loro capo Lord Shaftesburv sono i più entusiasti; a sentire i quali, voi direste che l’Inghitterra è pronta ad una crociata contro l’Austria». (De la Varenne p. 264.)

XII. A 24 di Aprile altra lettera di Cavour a Rattazzi: «Vi scrivo due righe per dirvi che domani parto per Parigi. Se posso ottenere una udienza dall’Imperatore per sabato, partirò nel domani per Torino. Non ho riveduto Palmerston, ed oggi soltanto vedrò Clarendon; ma ho parlato a’ membri più influenti della opposizione, tanto Tories che radicali. Ho trovato che so no ben disposti a nostro riguardo». (De la Verenne pag. 261.)

Il giornalismo sardo e il Congresso

XIII. Ai 16 di Aprile veniva emessa la seconda Nota diplomatica di Cavour e di Villamarina, da noi arrecata, onde, in continuazione della precedente dei 27 marzo, ricorrono a più pressanti argomenti per ispingere il Congresso ad intervenire nelle cose interne d’Italia. Intanto la favilla accesa dall’astuzia bonapartesco cavourriana era causa immediata di nuove e più violenti agitazioni in Italia. Basta consultare il giornalismo torinese di quell’epoca per convincersene.

Il Risorgimento, giornale di Cavour, diceva: «Il protocollo del Congresso sarà la scintilla d’irresistibile incendio».

L’Opinione di Torino esclamava: «Per la prima volta un Congresso diplomatico ha riconosciuto i torti dei Governi, e giustificati i fremiti delle popolazioni.»

Il Cittadino d’Asti soggiungeva: «Marciamo di nuovo avanti la rivoluzione. Il Conte di Cavour nel Congresso ha dato un impulso vigoroso all’agitazione in Italia, ed ora non ci rimane altro che a mettere in opera tutti i mezzi possibili, perché la si mantenga e duri…. fino a che giunga il giorno decisivo».

(1) Ritornato Cavour a Torino si ritenne come abbandonato dall’Inghilterra. Questa non poterà non essersi avveduta delle mene murattiste di Napoleone III col Piemonte.

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Il Diritto, N. 98, diceva: «Se gl’Italiani pensano potersi riconciliare, che lo facciano, altrimenti che si rivoltino.»

L’Italia e Popolo, N.° 113, aggiungeva: «Che gl’Italiani si sollevino, e sappiano di non transiger mai coi Governi contro i quali si rivoltano».

Da quel momento l’odio rivoluzionario scatenava i suoi furori per le istruzioni venute da Torino e da Genova contro la Dinastia di Napoli. Tutti gli organi di pubblicità venduti alla setta incominciavano a vomitare, con inaudito cinismo, le maggiori calunnie contro quel Governo, convertendone in altrettanti torti gli stessi meriti; e la Diplomazia vi dava alimento coll’autorità dei suoi atti. Altrettanto facevasi, nelle stabilite proporzioni, contro i minori Stati italiani.

Ai 19 di maggio 1856 il Ministro degli affari esteri della Gran Brettagna esponeva in faccia al mondo stupefatto i motivi sui quali il Governo inglese si fondava per raccomandare a quello delle Due Sicilie di accordare un’amnistia generale, e di operare talune riforme e miglioramenti: affermando tali sue premure derivare dal profondo convincimento del pericolo imminente che corre 11talia, a causa del minaccioso aspetto degli affari di Napoli. Protestava i suoi sentimenti di amicizia pel Re, al quale intendeva dare avvisi amichevoli, per provare la sincerità di quei sentimenti, per disporre il Re ad accogliere favorevolmente quei consigli, e per comprovargli «che nessuna potenza straniera ha diritto d’intervenire negli affari interni di un altro regno». – Il Ministro suddetto parla del regime interno delle Due Sicilie, e senza esitare, prende il tono di rimprovero e la parte di accusatore; ne censura l’amministrazione interna come sistema di rigore e di ingiuste persecuzioni, condannato da tutte le nazioni civilizzate, ed insiste sulla necessità di dare garanzie per la debita amministrazione della giustizia, e per far rispettare le libertà personali e le proprietà. Insomma il Ministro esige, che si adotti una politica più in armonia allo spirito del secolo (1).

Il Valewski ministro di Napoleone III faceva altrettanto, e anche in modo più impudente, in una sua Nota del 21 maggio; ma di queste cose diremo distesamente in altro capo.

(1) Altrettanto si chiederà non ha guarì, e con ben altra ragione, dalla Russia contro la Turchia; ma l’Inghilterra, quella che venti anni or sono chiedeva garanzie al Re di Napoli per torti immaginarii, le negava ora per favorire il Turco, che sgozza impunemente i Cristiani nei proprii paesi, e ammazza in una pubblica Moschea di Salonicco i Rappresentanti stessi di due delle principali Potenze europee.

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CAPO V.

Rivelazioni.

Parea, scrive l’Unità Cattolica del 15 febbraio 1874, che ornai non ci potessero più rivelare nulla di nuovo sul conte di Cavour, dopo ciò che ce ne dissero Domenico Berti, Nicomede Bianchi e Carlo Persano. Eppure la Lombardia ha saputo ancora scoprire una lettera, da cui risulta che Adelaide Ristori fu riguardata dal conte di Cavour come l’Apostolo del Regno d’Italia, perché si adoperò molto alla conversione dei diplomatici a Pietroburgo e a Parigi. Più innanzi riferiamo la lettera; ma poiché, non tutti i nostri lettori hanno usato od usano a’ teatri, parecchi ignorano chi sia la Ristori, così ne daremo un breve cenno biografico.

Un’attrice drammatica apostola del regno d’Italia

Nacque nel 1821 a Cividale del Friuli, e i suoi genitori, che comparivano sulle scene, vi posero pure la figlia, ancora bambina di due mesi, nella commedia di Giraud, L’Aio nell’Imbarazzo. Fatta grandicella proseguì in quella carriera, e fu allieva ed emula della Marchionni e della Robotti. Nel 1844 era già uno degl’idoli sollevati dalla Rivoluzione per raccogliere ed entusiasmare le masse popolari, come la ballerina Cerrito ed altrettali. Finché nel 1847 Giuliano Capranica, marchese del Grillo, se la tolse in moglie, e la Ristori allora abbandonò, per poco, il teatro.

Vi tornò più tardi, consacrandosi principalmente alla tragedia, e studiando i capolavori dell’Alfieri, che rappresentò la prima volta in Roma nel 1849, quando i Francesi assediavano l’eterna Città. Poi andò in Torino, e girò la Penisola riscuotendo frenetici applausi nella. Mirra, nella Francesca da Rimini e nella Maria Stuarda. Nel 1855, poco prima del celebre Congresso, andò a Parigi, e riportava su que’ teatri i più splendidi trionfi, oscurando la famosa Rachel. Il nome della Ristori era sulle bocche di tutti, si dava alle diverse foggie dei mantelli, leggevasi su tutti i negozi ed in ogni giornale. Lamartine le dedicò i suoi versi, e il Governo del Bonaparte la voleva incorporata alla Comèdie Francaise.

Ma essa amò meglio di mostrasi nelle maggiori capitali d’Europa. Alla fine del 1857 era in Ispagna, applaudita col solito entusiasmo;

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durante la guerra d’Italia tornava a Parigi; nel 1860 fu in Olanda, e sul cominciare del 1861 a Pietroburgo. Dalla lettera che le scrisse il conte di Cavour impariamo, che la Ristori a Pietroburgo cercò di convertire il principe di Gorschakoff, il quale avea trovato nell’ingresso de Piemontesi nelle Marche, nell’Umbria e nel Regno di Napoli, una solenne infrazione del diritto delle genti, richiamando perciò da Torino il Rappresentante della Russia.

Ai 20 di aprile del 1861 il principe di Gorschakoff non s’era ancora convertito, e il conte di Cavour scriveva alla Ristori: «Conviene che esso sia un peccatore impenitente, giacché gli argomenti che ella seppe con tanta abilità adoperare per sostegno della nostra causa mi paiono irresistibili. Confidava tuttavia che le parole della Ristori avessero lasciato nell’animo del Gortschakoff un germe, che si svilupperà e darà buoni frutti.» Diffatto, il 12 di luglio del 1862, la Russia riconosceva il Regno d’Italia, come appare dalla Gazzetta Ufficiale, numero 164.

Seguendo l’avviso del conte di Cavour, che eccitava la Ristori «a continuare il suo patriottico apostolato», nel 1862 essa andava a Berlino, dove erano altri increduli da convertire, e, in capo a tutti, il Sovrano. E la missione della tragica italiana ottenne anche là frutti copiosi, giacché Guglielmo 1 le decretava la medaglia destinata ai benemeriti delle scienze e delle arti; ed ai 21 di luglio dello stesso anno riconosceva il Regno d’Italia. (Gazzetta Ufficiale, 28 luglio 1862.)

Noi veggiamo sempre Adelaide Ristori là dove si agita la Rivoluzione e, con essa, le sorti italiane. Andata a Costantinopoli nel 1864, torna presto a Parigi, e vi si trova nel 1866 durante la guerra della Prussia e dell’Italia contro l’Austria. Il libro del generale la Marmora, Un pò più di luce ecc, ci racconta quanto importasse a que’ di aver amici a Parigi, e noi siamo certi che Adelaide Ristori si sarà adoperata per l’acquisto della Venezia. Dopo viaggiò agli Stati Uniti d’America, dove dicono che in una sola serata guadagnasse meglio di ottanta mila lire; quindi percorse l’America del Sud, il Brasile, la Piata, la Confederazione Argentina. Ma sul cominciare del 1870 trovavasi di bel nuovo a Parigi pel suo apostolato, che fini colla catastrofe del Governo Napoleonico e colla presa di Roma, dove la Ristori corse subito a rappresentare commedie nel profanato palazzo apostolico del Quirinale.

Noi speriamo, conchiude l’articolo dell’Unità Cattolica, che riassumiamo, che più tardi essa vorrà stendere le sue memorie politiche e diplomatiche, da cui risulterà quanti diplomatici,

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che non credevano al Papa, si arrendessero poi alla autorità irresistibile di Adelaide Ristori. In attesa di queste memorie, noi rechiamo per ora la lettera del conte di Cavour, che è la seguente:

Torino, 20 aprile 1861.

Cara signora marchesa,

Lettera di Cavour alla Ristori

Le sono gratissimo dell’interessante lettera che ella mi scrisse ritornando da Pietroburgo. Se ella non ha convertito il principe Ristori di Gorschakoff, conviene che esso sia un peccatore impenitente, giacché gli argomenti, che ella seppe con tanta abilità adoperare per sostegno della nostra causa, mi paiono irresistibili. Ma mi lusingo che, se il Principe non volle in sua presenza mostrarsi ricreduto, le sue parole avranno lasciato nell’animo suo un germe, che si svilupperà e darà buoni frutti.

Continui a Parigi il patriottico suo apostolato. Ella deve trovarsi in mezzo ad eretici da convertire, giacché mi si assicura essere la plebe dei saloni a noi molto ostile. È di moda ora in Francia l’essere papista, e l’esserlo tanto più che si crede meno ai principii che il Papato rappresenta. Ma, come tutto ciò che è moda e non riposa sul vero (?!), questi pregiudizi non dureranno, massime se le persone, le quali, come lei, posseggono in grado eminente il dono di commuovere e persuadere, predicheranno la verità in mezzo a quella società, che, ad onta di molti difetti, più d’ogni altra sa apprezzare il genio e la virtù.

Mi congratulo dello splendido successo, che ella ha ottenuto sulle scene francesi. Questo nuovo trionfo (il trionfo di una commediante!) le da un’autorità irresistibile sul pubblico di Parigi, che deve esserle gratissimo del servizio che ella rende all’arte francese. Se ne serva di questa autorità a prò della nostra patria, e io applaudirò in lei non solo la prima artista d’Europa, ma il più efficace cooperatore dei negozii diplomatici.

Mi voglia bene e mi creda

Suo devotissimo,

  1. Cavour.

Ma la Ristori non era il solo istrumento di tal genere al servizio della Rivoluzione. In un raro libro, stampato in poche copie a Firenze nel 1872 dallo stabilimento di Giuseppe Civelli, intitolato: Il Conte Luigi Cibrario e i tempi suoi; memorie storielle di Federico Odorici, dedicato alla Repubblica di S. Marino, citato anche dalla Unità Cattolica e dal Diritto Cattolico e che abbiamo sott’occhio, troviamo alcuni documenti, dai quali stralciamo i più interessanti, perché i nostri lettori sì convincano

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Un’altra apostola

sempre meglio di quali mezzi gli uomini della rivoluzione si siano serviti per innalzare questo mostruoso edificio che si chiama Regno d’Italia.

Uno dei primi documenti raccolti riguarda il famoso Congresso di Parigi, del quale abbiamo fin qui ragionato, e nel quale ebbe principio l’ultima guerra mossa al Papa ed ai Principi legittimi d’Italia. La importantissima lettera del Cavour al Caro Cibrario, che segue, dice abbastanza chiaramente, come s’incominciasse l’opera d’instaurazione dell’ordine morale negli Stati del Papa, e in quelli degli altri Principi italiani. Dice abbastanza, come si combattesse Pio IX, e, prima di ottenere l’intervento francese in Lombardia, quale sozzo intervento si usasse in Francia. Svela ancora altre ciurmerie della diplomazia piemontese di quei tempi. Il conte di Cavour partiva da Torino il 20 di febbraio, e sui primi di marzo scriveva a Luigi Cibrario la lettera, che trovasi nel citato libro di Federico Odorici, p. 116, e dice così:

«Caro Cibrario,

«Sono nove giorni che ho lasciata Torino, e vi ho già scritto tre volte, spediti dispacci senza fine, ecc. Spero che sarete soddisfatto della mia corrispondenza. Credo bene, a discarico della vostra e mia responsabilità, di consegnare ne’ miei dispacci tutti i fatti interessanti, che mi vien fatto di constatare. Ho scritto al Re, riferendogli la conversazione, che m’ebbi ieri sera coll’Imperatore. Onde mostrargli la necessità del segreto, lo pregai di non farne parola al Consiglio. Potete però parlargliene in particolare. Rimandatemi al più presto Armillàd coi documenti che ho chiesti a voi e a Rattazzi. Lunedì andiamo in iscena: se non piacevole, la cosa sarà curiosa. Intanto sono cominciati i pranzi ufficiali, e, se non le intelligenze, gli stomachi sono posti a dura prova. Vi avverto che ho arruolata nelle file della diplomazia la bellissima contessa di…….. invitandola a coqueter (civettare) ed a sedurre, se fosse d’uopo, l’Imperatore. Le ho promesso, che, ove riesca, avrei richiesto per suo padre il posto di segretario a Pietroburgo. Essa ha cominciato discretamente la sua parte nel concerto delle Tuileries di ieri.

«Vostro aff.mo

Cavour»

Proseguiamo nella preziosa raccolta, a edificazione del lettore.

L’8 di settembre del 1855 cadeva Sebastopoli. Allora il conte di Cavour, non era più Ministro degli affari esteri, ma solo presidente del Ministero, giacché ai 31 di maggio del 1855 il portafogli degli affari esteri era stato affidato a Luigi Cibrario, che lo tenne fino ai 29 di aprile 1856. Cavour scriveva dopo la caduta di Sebastopoli il seguente biglietto al ministro Cibrario.

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Torino, 15 Settembre 1865.

«Penso che avrete diretto felicitazioni ad Hudson ed a Grammont per la presa di Sebastopoli. Vedete coi colleghi se non sia il caso di far cantare un Te Deum. Quando non fosse altro, avrebbe il risultato di fare arrabbiare i clericali ecc.

  1. Cavour.

Vittorio Emanuele a Londra

Fu allora pensato ad un viaggio di re Vittorio Emanuele in Francia ed in Inghilterra, e ve lo accompagnò il conte di Cavour, essendo Rappresentante sardo presso la Corte inglese il marchese Emanuele D’Azeglio. Vittorio Emanuele giunse in Londra il 5 dicembre del 1855, e fu accolto dalla Regina nel castello di Windsor. Il conte di Cavour scriveva al Cibrario la seguente lettera:

«dal castello di Windsor, 6 dicembre 1855,

«La cerimonia d’oggi superò la mia aspettativa. Il Re fu ricevuto in Londra nel modo il più soddisfacente. Lesse mirabilmente il discorso, che Azeglio aveva preparato, e si comportò quale perfetto gentiluomo. Io mi lusingo che l’impressione, che la condotta e le parole del Re hanno prodotta sul popolo inglese, non si cancellerà così presto e sarà produttrice di buoni risultati per il nostro paese. Non ho perduto il mio tempo avendo avuto cura di parlare ai capi di tutti i partiti. Li ho trovati tutti unanimi per l’Italia. Ma…. ed è il ma che vi spiegherò. Il Re aderisce alle vive istanze dell’Imperatore, e rimarrà un giorno di più a Parigi: non saremo quindi a Torino che mercoledì venturo, ecc.

  1. Cavour.»

Frattanto si facevano gli apparecchi per il Congresso di Parigi, dove il Regno di Sardegna veniva rappresentato dal conte di Cavour e dal marchese Salvatore di Villamarina. Il ministro Cibrario desiderava che il Piemonte guadagnasse qualche cosa in quel Congresso, e quindi aveva ideato di trasferire il Duca di Modena Francesco l’nei Principati Danubiani.

Il 21 febbraio 1856 giungeva in Parigi il conte di Cavour, e per prima cosa arruolava nelle file della diplomazia la bellissima contessa, di cui abbiamo parlato. Abbiamo riprodotto più sopra la lettera che lo stesso conte di Cavour scriveva al ministro Cibrario su questo brutto argomento. Federico Odorici, a pagina 116 del citato suo libro, scrive: «Le attrattive della contessa di…. pare non riportassero sulle prime gli sperati trionfi; poiché, avendo Cavour posto dinanzi lo scambio del territorio dal Cibrario suggerito, aggregando alla Sardegna i ducati di Parma e di Piacenza, fu dagli austriaci Legati, duramente respinto.

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Allora il conte di Cavour inventò un’altra proposta, e fu di dare al principe, di Carignano in moglie la Duchessa di Parma, e mandarli ambedue a comandare nella Moldavia e nella Valachia. Ecco la lettera su questo argomento, che il conte di Cavour scriveva al ministro Cibrario:

Disegni di Cavour contro il Duca di Modena

«Parigi, marzo 1856.

«Faccio partire il corriere Armillad, per poter informare il Re e voi delle fasi della nostra negoziazione. Vedrete che, spadi Modena. ventato dalle difficoltà che il traslocamento del Duca di Modena ne’ Principati può sollevare, ho messo avanti un nuovo progetto, nel quale figura il Principe di Carignano. Ne scrivo direttamente al Re, e spero che S. M. non lo biasimerà. Non si tratta di esaminare quale dei due progetti sia da preferire, ma di vedere qual sia di meno impossibile esecuzione. Non conviene però tacere, che sì l’uno che l’altro incontrano gravissimo ostacolo nell’opposizione recisa della Turchia, e nella ripugnanza dell’Inghilterra ad esercitare la coazione necessaria per farla cedere. Avrei bisogno di essere ben chiarito sulla questione della riversibilità del Ducato di Modena. Non saprei ritrovare le regole che stabiliscono i diritti reciproci degli Arciduchi d’Austria. Discendenti da Beatrice, che portò alla Gasa di Lorena i diritti di Gasa d’Este e della Gasa Cibo Malaspina, sovrana dei Ducati di Modena e di Carrara, non vi sono che il Duca regnante ed il suo prozio, entrambi senza prole. Morendo questi, chi eredita? Carutti ha, credo, esaminata la questione. Fate d’illuminarmi su d’essa al più presto possibile.

«C. Cavour.»

Dalla risposta, che il ministro Cibrario mandò da Torino al conte di Cavour, il IO marzo 1856, risulta che l’Imperatore Napoleone III avea fatto realmente la proposta di mandare il Duca di Modena nei Principati danubiani; ma che vennero sollevate tre difficoltà, la terza delle quali non ammetteva replica. Quali fossero non dice il Cibrario.

Il conte di Cavour rispondeva al ministro Cibrario con una lettera del 12 marzo del 1856, la quale fa cenno di altra lettera, che non conosciamo, ed anche di una, scritta allo stesso Cavour, tolta dall’Archivio Cibrario e riferita dall’Odorici a pag. 118, che è la seguente.

«Parigi, 12 marzo 1856.

Disegni Ho ricevuta una vostra particolare, come pure una lettera del Re sulla questione parmense. Capisco quanto difficile sarebbe l’indurre il principe di Carignano ad andare in Valachia, conducendo prima all’altare quella tenera zitella della Duchessa di Parma. Nullameno panni l’ostacolo non del tutto insuperabile; ma temo purtroppo che non avremo ad occuparcene, giacché i turchi si dimostrano feroci nella questione dei Principati.

 

 

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Non solo ricusano di abbandonare il supremo dominio, ma insistono per avere in mano le fortezze, che la Russia cede sulla sinistra sponda del Danubio. L’Inghilterra dice di non poter dispogliare i Turchi violentemente. La Francia quindi si trova sola, ad onta del suo buon volere. L’Imperatore non sa che cosa fare. Pure, essendo uomo di Dropositi tenacissimi, non ha dimesso il pensiero di far trionfare il primitivo progetto.

«Per non perdere tempo, metto in campo la questione delle Romagne. Per questa avremo caldi ausiliarii negl’Inglesi, i quali sarebbero assai lieti di mandare il Papa al diavolo’, ma troveremo un ostacolo nel desiderio dell’Imperatore di non mettersi male col Sovrano Pontefice. (Era atteso dall’Imperatore il suo primogenito che il Papa doveva tenergli al sacro Fonte.) Intanto sarà già un passo se otteniamo si parli dell’Italia, e che le Potenze occidentali reclamino la necessità di riformare lo stato delle cose in essa esistente. – Basta, se non raccoglieremo gran che, avremo seminato per l’avvenire.

«C. Cavour».

Lo stesso conte di Cavour, sotto la data del 4 di marzo, aveva già scritto un’altra lettera al ministro Cibrario, ed anche questa merita di essere riferita:

«Parigi, 4 marzo 1856.

«La pace, come ve lo scrissi, è fatta a metà. Delle cose nostre non si è ancora parlato: spero se ne parlerà tosto, ma con quale esito noi so. La mania di conciliare il Papa e di averlo a padrino ha tutto guastato. Le difficoltà che incontra la combinazione del Duca di Modena sono immense, onde in definitiva non ho grandi speranze. Non ho finora voluto trattare la questione dei sequestri, per non impicciare le grosse colle piccole questioni: solo ne dissi alcune parole al segretario di Bourquenev; ma lo trovai più austriaco di Buoi. Quest’ultimo, col quale mantenni sempre le più cortesi riserve, mi pregò ieri d’assegnargli un’ora per conferire insieme. Vedrò cosa mi dirà. Scriverò al Re relativa mente al battesimo del nascituro Cesare. L’Imperatrice vuole assolutamente farlo benedire (vedi ignoranza d’un diplomatico: benedire per battezzare) dal Papa. Spero che il Re sarà rimasto soddisfatto dal paragrafo del discorso dell’Imperatore, che lo riflette. Fu molto bene accolto. Arese mi ha scritto per lagnarsi che gli fosse stata aperta una lettera col suggello imperiale.’ La cosa mi pare impossibile: vi prego di verificarla. Il Governo non può certamente volere sorprendere i secreti di Arese, col quale io sono in intima relazione. Monale, col suo colorito di polizia, ci troverebbe un gran gusto nello stabilire un cabinet noir ma assolutamente non lo dovete permettere.

«C. Cavour».

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Ora alle rivelazioni di fatti, che mostrano la somma degradazione in che era caduta la diplomazia piemontese, e le arti incredibilmente maligne onde si è servito quel Governo a danno del Papa e degli altri Principi italiani, chi non vede che la giustizia di Dio ha voluto dare la pena meritata permettendo che delle stesse arti si serva oggi la Internazionale per distruggere con la monarchia di Savoia il presente Governo?

Curiosa è pure la lettera che il Conte di Cavour, da Parigi, scriveva a Cibrario per ricusare un Legato a latere. Eccola come la riferisce l’Odorici a pagina 122:

«Parigi, aprile 1856.

«Vi ho scritto per telegrafo per pregarvi di affidare ad Arese l’incarico di portare la sua lettera di felicitazione all’Imperatore. Ne scrivo pure direttamente a Sua Maestà. Aggiungo poi che a niun patto mandi il….. Non lo potrei tollerare. Ditelo pure a Sua Maestà. Un inviato del Re sarebbe in certo modo mio collega, e non voglio a nessun conto il…….Ne faccio questione ministeriale.

Non posso avere accanto a me nelle riunioni diplomatiche in questo momento un retrogrado, un nemico del Governo. Lavoro notte e giorno in mezzo ad inaudite difficoltà; ma se queste crescessero pel fatto di S.M.,non potrei reggere più oltre. Ve lo ripeto. Dichiarate al Re nel modo più rispettoso, ma il più positivo, che se il….. si presenta all’Imperatore in nome suo, io parto da Parigi.

Il…….. non può venire: sarebbe in questo momento un vero scandalo. Spero che i miei colleghi approveranno la mia risoluzione;ma, comunque, ella è irremovibile.

«Vostro affino Cavour.»

Cavour soppianta Cibrario

Frattanto tornato Cavour da Parigi, o per amore o per forza, Erario. Luigi Cibrario dovette cedergli il portafoglio degli affari esteri, e l’Odorici a pag. 125 riferisce i seguenti appunti particolari, che si trovarono tra le carte di Luigi Cibrario:

«1855, 27 aprile. – In seguito alla proposta fatta dai Vescovi in Senato sopra la legge della soppressione di alcune comunità religiose, il Ministero si ritira. Richiesto di continuare nel nuovo Ministero, ricuso, essendo stanchissimo, per non dir peggio, della vita ministeriale.»

Nota autobiografica, cui vengono appresso le consecutive:

«1855, 31 maggio. – Sua Maestà, ricomponendo il Gabinetto, mi nomina Ministro degli affari esteri.»

«1856, 9 aprile. – Supplico il Re perché mi dia la dispensa dalla carica di Ministro degli affari esteri. Dissimulo al Re le vere cause, che sono i mali tratti del Cavour, cause per altro occasionali, essendo io di mala voglia Ministro. –

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Il Re promette di contentarmi. Cavour manda Gasati con lettere di scuse. Accetto le scuse, ma sono stanco del Ministero.

«29 aprile. – Torna Cavour, e io insisto pel mio ritiro immediato».

«9 maggio. – Ultima udienza ministeriale del Re, il quale mi da titolo, grado ed onorificazione di primo Presidente della Corte d’appello. Sarebbe inoltre disposto a darmi il titolo di barone o conte, grazia che non accetto. Mi stringe a visitarlo spesso, e ad andare in villa con lui. Vuoi porre a disposizione della mia famiglia il Castello di Verduno, ecc. Abbonda insomma di tratti di squisita bontà e particolare benevolenza. Il cuore mi brilla d’essere evaso dalla galera ministeriale!»

Il libro dell’Odorici contiene altri importanti documenti, che provano una volta di più l’odio implacabile della rivoluzione italiana, mossa dalla frammassoneria, contro il Papato: ne faremo tesoro nel seguito del nostro lavoro.

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