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PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (sedicesima parte)

Posted by on Feb 19, 2018

PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (sedicesima parte)

CAPO VIII.

IL RE DI NAPOLI E I GOVERNI INGLESE E FRANCESE.

Per riparare gli scandali sollevati dal Governo piemontese, tutti gli Stati italiani, minacciati dalla rapacità di quel Governo, rivolsero note diplomatiche ai Gabinetti di Parigi, di Londra, di Pietroburgo e di Vienna, accusando il Piemonte di mire ambiziose, e designandolo (come era) quale torbido vicino, in istato di perpetua cospirazione a danno della quiete interna degli Stati italiani.

Ma per inesplicabile cecità, o piuttosto per stabilito disegno, i Governi delle due prime Potenze, anziché infrenare l’insidiatore Sardo, si compiacevano ad unire le loro vessazioni contro gli Stati insidiati, aggiungendo imperiose sollecitazioni, con flagrante sconoscimento del gius pubblico e delle genti, intervenendo nell’interno regime di Stati indipendenti; e ciò con tanta minore buona fede, che l’istesso Congresso niuna cosa aveva stabilito su questo punto. Ma le cosiddette riforme consigliate, o a dir meglio imposte, al Re di Napoli, erano in relazione diretta collo scaltrito disegno del Mazzini da noi riferito.

Ridicolo incidente

Così effetto del trattato di Parigi si fu, che gli Stati di poca estensione territoriale, di fronte al pensiero mazziniano, non ebbero più diritti, rimanendo abbandonati in balia del più forte, fattosi esecutore del malvagio disegno. Fu questa l’epoca in cui maggiormente il ministro Cavour coglieva ogni destro per imbarazzare i Governi italiani, e, in modo speciale, il napolitano; e qui non sarà inutile di ricordare un ridicolo episodio, avvenuto in quell’epoca. – Il marchese Andrea Tagliacarne, incaricato d’affari di Sardegna, spedito da poco in Napoli, aggiravasi la sera del 6 Maggio 1856 per una strada solitaria, lungo la riviera di Chiaia, quando si lascia circondare da tre giovinastri, che gli tolgono l’orologio e due lire in moneta napolitana. Costui coglie subito da questo fatto la opportunità per infamare il Governo napolitano, quasiché in Piemonte non si rubasse; e, indossata la divisa ufficiale (incredibile ma vero), corre a querelarsi del fatto presso il Corpo diplomatico, menandone grande strepito e facendone quasi un casus belli a nome del Conte di Cavour. L’ autorità preposta alla pubblica sicurezza

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tranquillamente prende in mano la cosa, arresta i tre malfattori, (erano cocchieri da nolo) ricupera gli oggetti, che vengono legalmente giudicati di poco valore, e il 10 di maggio, quattro giorni dopo il fatto, li ha restituiti al Tagliacarne, che ne rimane soddisfatto. Non era però soddisfatto il Cavour, il quale trovando ridicolo quell’incidente, e riputando il suo Agente non all’altezza delle sue vedute, lo trasloca altrove. I tre colpevoli riconosciuti anche rei di altri furti, sono condannati ai ferri. – Nell’istesso sito, nel 1863, sotto il Governo restauratore dell’ordine morale, veniva derubato di cose di maggior valore il senatore Vacca supremo magistrato di cassazione, e molti alici dopo di lui; ma la solerte questura piemontese non si commuove per così poca cosa, e, lungi dal correr dietro ai ladri, ne coglie invece occasione per inveire contro i più onesti cittadini, arrestandone a migliaia, per vani sospetti politici. – Ma ciò detto di passaggio, è da tornare agli effetti del Congresso.

Non andò guari, trascorso appena un mese dal termine del Congresso, e le più insistenti Note diplomatiche venivano dirette oon 5Sìi.edlNa’ indegno sfregio della Maestà Reale dai governi inglese e francese al governo napolitano.

Pressioni di Francia e Inghilterra sul Re di Napoli

Il 19 di Maggio 1856 il ministro degli affari esteri della Gran Brettagna, in un suo dispaccio al Rappresentante inglese a Napoli espone i motivi su i quali il Governo inglese si fonda per raccomandare al governo delle Due Sicilie di concedere un’amnistia generale e di eseguire talune riforme e miglioramenti: queste premure derivare dal profondo convincimento del pericolo imminente, che corre l’Italia a causa del minaccioso aspetto degli affari di Napoli. Protesta d’altronde i sentimenti di amicizia pel Re al quale intende dare avvisi amichevoli; e per giustificare la sincerità di questi sentimenti, per disporre il Re ad accogliere favorevolmente questi consigli e per comprovargli «che nessuna» Potenza straniera ha diritto d’intervenire negli affari interni di» un altro regno» il Ministro sudetto parla del regime ulteriore delle Due Sicilie, prendendo il tono di rimprovero e la parte d’accusatore; ne censura l’amministrazione interna che taccia quale sistema di rigore e le ingiuste persecuzioni, condannato da tutte le nazioni civilizzate: ed insiste sulla necessità di dare garanzie per la debita amministrazione della giustizia e per fare rispettare le libertà personali e le proprietà. Ingomma il Ministro esige ohe si adotti una politica più in armonia collo spirito del secolo.

Ai 21 dello stesso mese di Maggio il Conte Walewski, da parte del governo ili Napoleone III,

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inviava una nota al Rappresentante francese a Napoli per intimare anch’egli al Re Ferdinando II i voleri dei collegati franco-anglo-sardi, quale espressione del Congresso parigino, con evidente inesattezza, o, diciam meglio, menzogna, significandogli le riformerà eseguire negli Stati napolitani.

Ai 2 di Giugno, il Rappresentante inglese a Napoli riferiva al Foreign Office ha Londra di aver dato corso al dispaccio del 19 di Maggio, e dal ministero degli Affari Esteri di Napoli esserglisi risposto: «la dignità e la indipendenza del suo Sovrano non permettergli che Potenze straniere abbiano ad immischiarsi nel regime interno del paese, assicurando peraltro di essere già pronta una larga amnistia, della quale erasi dovuto prorogare la esecuzione a cagione della effervescenza suscitata dagli atti del Congresso di Parigi, e delle speranze che questi avevano fatto nascere.» – Ragione giustissima agli occhi di. ogni uomo onesto e leale.

Non contento di ciò, ai 12 dell’istesso mese, il medesimo Rappresentante inglese informava il suo governo di aver fatto premure presso il ministero napolitano perché rispondesse alle rimostranze fattegli dalla Francia e dall’Inghilterra, per conoscere le intenzioni del Re, ed essergli state ripetute dal Ministero le precedenti risposte, avvegnaché a nome del Governo inglese, gli avesse intimato: «che, se sventuratamente nulla si facesse per cambiare la forma governativa in Napoli (nota bene) ne sarebbero derivate complicazioni serissime.» Termina questo dispaccio col censurare il Re Ferdinando II, che si tratteneva a Gatta, mentre la sua persona era desiderabile nella Capitale.

Ma le insistenze diplomatiche crescevano di giorno in giorno.

Il Rappresentante inglese, che ormai non dubitava di parlare anche a nome della Francia, della cui politica il suo Governo erasi fatto solidale, quanto al rovesciare i legittimi Sovrani d’Italia, ad 22 del detto mese informava il suo governo, scrivendo: essersi dato ordine dal Re di Napoli, di rispondere ai gabinetti di Francia e d’Inghilterra per mezzo dei propri suoi rappresentanti a Londra e a Parigi; e conchiudeva col dire, di aver fatto osservare al Governo napolitano «di essere profondamente dispiacente per la decisione presa dal Re, la quale sarebbe ritenuta come evasiva e poco soddisfacente; d’altronde esso Governo napolitano, nulla avrebbe avuto a temere dal partito rivoluzionario, il quale è poco» numeroso, sena a capi, e senza disegno generale di azione.»

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Plenipotenziari napoletani a Londra

I

nfrattanto ai 30 di Giugno il Governo napolitano per mezzo dei suoi rappresentanti, Principe di Carini a Londra, e Marchese Antonini a Parigi, rispondeva ai due Governi con Note uniformi, che possono riassumersi nei seguenti pensieri: – niun Governo aver diritto d’immischiarsi nell’amministrazione interna di altro Stato, e sopratutto in quella della giustizia. – In altri termini era la storica risposta data già da Papa Pio VII, di s. m., a Napoleone I: «Grandes ou petites les souverainetés conservent toujours entre elles les mêmes rapports d’indépendance, autrement on met la force à la place de la raison.» – Noi rechiamo qui le accennate Note del Governo di Napoli, come documenti importanti ed utili, e li togliamo dalla fonte meno sospetta, vale a dire da Nicomede Bianchi; ma per procedere con la maggiore possibile precisione ci rifacciamo alquanto indietro.

a Parigi

Fermezza di Ferdinando II

«Il Marchese Emmidio Antonini, scrive egli il Bianchi al capo VIII del volume VII della sua Storia documentata della Diplomazia europea in Italia, il Marchese Emmidio Antonini, Legato napolitano in Parigi, come seppe che al Congresso si era favellato delle cose del regno delle Due Sicilie, si portò da Walewski per lagnarsi che ai Plenipotenziari sardi fosse stato permesso d’assalire con aspri modi il governo di Ferdinando II, senza che vi fosse presente un suo Plenipotenziario. – La cosa, soggiunse, è tanto più deplorabile in quanto che la fonte vera dell’agitazione rivoluzionaria, onde l’Italia è di nuovo tormentata, è la politica del Piemonte. – Walewski lo interruppe con dirgli – Badate, marchese, che non è stato Cavour; non vi posso dire di più, perché tutti i Plenipotenziari si sono impegnati a serbare il silenzio intorno alle cose dette. Ma il vostro Governo ha una via aperta per trarsi d’impaccio, si ponga subito d’accordo con noi sulle riforme che vuole adottare (1). – Antonini rimase silenzioso. Ferdinando II ordinò al suo Legato in Parigi di rinnovare i lamenti, dando loro la forma di protestazione verbale, e d’aggiungere che il Re di Napoli avea la coscienza di governare i suoi popoli conforme i dettami della giustizia e del dovere; che né gli assalti sfrenati della stampa quotidiana, né le dichiarazioni del Congresso lo indurrebbero a far mutazione di governo, disposto com’era a sopportare con rassegnazione qualunque abuso di forza, anziché scendere a patti colla rivoluzione. (Parole veramente degne d’un Monarca cristiano.) Queste deliberazioni del Re, per ordine suo,

(1) Dispaccio riservatissimo Antonini, Parigi 17 Aprile 1856. – Dispaccio in cifra dello stesso, Parigi 18 Aprile 1856.

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Walewski e Antonini

furono comunicate alle Legazioni napolitano all’estero, coll’aggiunta dell’incarico di maneggiarsi a render palesi gì’ intendimenti rivoluzionari del conte di Cavour (1).

Portatosi da Walewski, Antonini gli favellò in conformità degli ordini del suo Re. Il Ministro francese, con piglio risentito, gli rispose: – Ma non si tratta per nulla d’esigenze, di pressioni. Il Governo napolitano deve capacitarsi che tutti i Potentati sono nell’obbligo di mettersi d’accordo per garantire all’Europa una pace durevole. Tutti gli Stati, e massime i minori, debbono aver conti i lati più deboli della propria politica a volteggiare le difficoltà che ne conseguono. Ora il vostro Governo deve ben comprendere che la Francia e l’Inghilterra sempre si studieranno di spiegare i propri influssi sul regno delle Due Sicilie. Conseguentemente tutte le vostre cure debbono esser dirette ad impedire che le due influenze operino concordi. Credo, che nelle circostanze presenti non vi debba riuscir difficile di conseguire questo intento. Scrivete tosto al vostro Re per dirgli, che la Francia lo consiglia ad appigliarsi spontaneo a più miti modi di governo. Egli farebbe prova di grande abilità ove si ponesse in pieno accordo con noi, prima che all’Ambasciatore inglese in Napoli giunga l’ordine di mettersi d’accordo con Brenier. – Il Legato napolitano rispose, che ciò che il Re suo signore aspettava, era di vedersi presto sollevato dalle pressure della Francia e dell’Inghilterra, alle quali chiedeva una cosa sola, di esser lasciato tranquillo (2).

A questo procedere del Legato napolitano in Parigi, osserva con malvelato dispetto Nicomede Bianchi, tenne bordone quello dell’Ambasciatore di Ferdinando in Londra. Egli era Antonio La Grua, principe di Carini, il quale scrisse al Carafa in questi termini:

«Non scuserò Walewski, ma è il men cattivo della canaglia (abbiamo i nostri dubbi sulla esattezza di questa frase; ma sia.) (3)

(1) Lettere del Cavaliere Sederino, segretario privato del re Ferdinando II,Caserta 3 e 10 Maggio 1856, Castellamare 8 Maggio 1856. – Dispaccio riservatissimo Carafa al marchese Antonini in Parigi, Napoli 5 Maggio 1856.

(2) Dispaccio riservatissimo Antonini al commendatore Carafa in Napoli, Parigi, 9 Maggio 1856.

(3)

Nicomede Bianchi designa alla indignazione della storia talune frasi giustamente risentite del Re di Napoli e de’ suoi ministri; non ha però una sola parola di biasimo pei Cavour e compagnia bella, quando diplomaticamente dichiaravano nei loro atti di voler mandare al diavolo il Papa e l’Austria.

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innumerevole e imprudente che compone la Corte e il governo dell’Imperatore, dalla cui cupa mente solo dipende la politica e ogni dettaglio della Francia. Pare egli abbia due pensieri, dominare nel nostro paese per contrabbilanciare l’influenza inglese nel Piemonte, e concedere a lord Palmerston una soddisfazione per salvarlo dal risentimento del popolaccio inglese fremente per la pace. Secondo molte notizie da me raccolte, con molte parolone di moda, con un irremovibile comportamento nel ricusare, con molte cerimonie e qualche minima concessione, si farà passare questa tempesta.»

Palmerston e Carini

Alquanti giorni dopo il Principe Carini scriveva al suo Governo quest’altro dispaccio:

«Mi sono trovato a Corte. Lord Palmerston mi domandò: – E come sta Poerio? – Meglio di voi e di me, risposi, perché sta sotto un bel cielo e può vivere senza pensieri. – E il suo compagno di catene è sempre un galantuomo? – soggiunse egli. Io replicai: – Non credo che ne abbia alcuno collegato; ma se mai, certamente non sarebbe men pertinace e men vendicativo di quell’antico rivoluzionario. –

«Palmerston. -Badate, questo affare non è uno scherzo, ma un affare serto e grave, (quello di Poerio!) di cui il vostro Governo conoscerà fra breve l’importanza.

«Carini: – Ma lo scherzo l’avete cominciato voi, e io l’ho seguito: voi ben sapete che mi piacciono gli scherzi, senza temere le serie e più gravi conversazioni. Così spero che, senza andare a sturbare a Napoli il mio Governo, potete averle in Londra a vostro piacere e ad ogni vostro comando, sempre per me gratissimo.» – Con questo linguaggio garbato ed energico sto dissipando le moltissime dicerie fatte sul mio ritorno. Il mio linguaggio si limita a far intendere che, né il mio Governo né io sappiamo capire perché il magistrato europeo ò occupato delle nostre faccende, e si è dato la pena di studiare una farmaceutica ricetta di cataplasmi, senza bisogno di tastar il polso, di guardare la lingua e ricercar i sintomi dell’ottima salute nostra. È poi strano il pensiero di voler scrivere a uno per uno tutti i capitoli di medicina, che si supponessero opportuni per perfezionare il regno delle Due Sicilie, la Santa Sede e quegli altri Stati, i quali, secondo le opinioni della canaglia, non vanno bene e fanno onta alla civilizzazione. Queste, or facete or più gravi risposte mi hanno servito a schermirmi tutta la serata di ieri, nella grande unione del concerto della Regina. Nello stesso modo conto condurmi quest’oggi

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da lord Clarendon nel solito pranzo officiale per celebrare la nascita di quest’augusta Sovrana (1).

Memorandum rivoluzionari e l’Inghilterra

Ma l’Inghilterra procedeva risoluta nei disegni ostili di guerra contro il Re delle Due Sicilie, e il suo Rappresentante strenuamente la coadiuvava. Questi, ai 10 di Agosto 1856, inviava officialmente al suo governo in Londra un Memorandum, dettato dai cospiratori, circa la situazione e i bisogni del Reame di Napoli, nel quale riassumevansi tutti gli attacchi diretti contro il Governo napolitano, tutte le calunnie e le accuse spacciate ai suoi danni dalla stampa settaria dal 1849 in poi; e, appoggiandosi sulle parole pronunziate dal plenipotenziario inglese nel Congresso di Parigi, si conchiudeva per lo ristabilimento della Costituzione del 1848, e si esprimeva la speranza che Francia e Inghilterra «non abbiano ad arrestarsi a fronte del preteso diritto di non intervento.» – In questo Memorandum, del quale non dubita di farsi editore ed organo il Diplomatico inglese accreditato presso il Governo di Napoli, e a cui davano ampia pubblicità i diari inglesi e sardi, è notevole il seguente stranissimo sillogismo: – La potenza di Francia e d’Inghilterra è predominante in Europa; la potenza navale della seconda la rende più specialmente predominante nel Reame di Napoli; la potenza porta seco la responsabilità, e la responsabilità da diritto ad agire.» – Stranissimo paralogismo, che significa in sostanza, che ogni corsaro di mare ed ogni brigante di terra, ha diritto ad agire secondo che gli aggrada, non appena ne abbia la potenza!

Ma in fatto di Memorandum non erano sterili i cospiratori settari ufficiali e non ufficiali. Ne abbiamo letto uno elaborato in Torino e quivi stesso ristampato nel 1857 dalla tipografia dell’unione tipografico editrice; nell’istesso tempo ve ne era anche un altro in lingua francese, che circolava da per tutto, senza che i popoli delle Due Sicilie, a nome dei quali parlavasi in siffatti documenti, punto nulla sapessero o sospettassero di quanto in essi era affermato con tanta sicumera a nome loro.

E la stampa periodica contemporanea faceva balenare che una spinta si fosse anche data, e qualche cosa di più, a tali memorandum per conto di Murat, destramente coadiuvato dall’Imperatore cugino (2).

In mezzo a queste cose l’istesso Rappresentante inglese, con suo

(1) Dispaccio Cariai al ministro degli affari esteri in Napoli, Londra 13, e 31 Maggio 1856.

(2) Vedi A. P. pag. 34-749.

 

 

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dispaccio degli 11 di Agosto dell’istesso anno 1856, era costretto d’informare il suo governo essere stati aggraziati dalla sovrana clemenza di re Ferdinando varii condannati politici; affrettandosi però di definire codesto atto come insufficiente e immeritevole di attenzione.

Poerio e Petruccelli.

È inutile dire, che nella presente rassegna trasandiamo altri dispacci di minor conto, coi quali il Rappresentante inglese aveva cura di dare minuto ragguaglio circa l’andamento della causa politica Mignona ed altri, e ì più minuti particolari circa la salute del famoso condannato politico Carlo Poerio, cui faceva credere maltrattato, e vittima di crudeli sevizie dal Governo napolitano, delle quali sevizie e maltrattamenti ebbe a ridere l’istesso Poerio. Ma la esatta apprezzazione di codesti dispacci di questa strana diplomazia è stata data dalle celebri rivelazioni del deputato Petruccelli, il quale assicura, che «Carlo Poerio, protagonista del romanzo epistolario di Gladstone, (il quale nel 1851 tanto fece parlare circa le prigioni e i carcerati di Napoli) (1) era una invenzione convenzionale della stampa rivoluzionaria, la quale aveva bisogno di presentare ogni mattina ai creduli leggitori della libera Europa una vittima vivente, palpitante, visibile: d’onde l’ideale mito di Poerio, trascelto all’uopo perché Barone, uomo d’ingegno, già deputato e ministro di Re Ferdinando, cui bisognava far credere un orco divoratore. Insomma Poerio doveva essere l’antitesi di questo Re.» – Così il Petruccelli, il quale, dopo altre rivelazioni, conchiude maravigliandosi: «che Poerio reale, abbia poi preso sul serio il Poerio fabbricato dalla rivoluzione pel corso di 12 anni, in articoli di giornali a 15 centesimi la linea, e che lo abbiano anche preso sul serio coloro che lesserò di lui senza conoscerlo da presso, e quella parte della stampa che si era fatta complico della rivoluzione (2). – E il gran Palmerston, ministro di Stato d’Inghilterra, ardiva chiedere sul serio notizie di questa bella figura di mito rivoluzionario al Rappresentante napolitano presso il suo Governo! Che ne diranno i posteri?

Dalle quali cose apparisce quanto giusto fosse il contegno del Governo napolitano, il quale ciò non ostante per amore di pace, ai 26 di agosto, protestava che, avendo saputo per relazioni pervenutegli

(1) Lettere degli 11 e 12 loglio 1851, a Lord Aberdeen, il quale, conosciate in seguito le calunnie, ne rigettò la dedica .

(2) I moribondi al palazzo Carignano, del deputato F. Petruccelli della Gattina, pag. 183-184.

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da Vienna e da Parigi, come il Governo francese si tenesse offeso pel contenuto della sua prima risposta dei 30 giugno, dichiarava di non aver avuta intenzione di offendere alcuno, e conchiudeva, «essere il Re di Napoli il giudice più indipendente e più illuminato delle condizioni di governo che si addicono al suo Reame, dove la quiete che si gode depone a favore del presente organamento dello Stato, e contro i pericolosi consigli dell’estera diplomazia, diretti a suscitare quei torbidi che al presente non vi sono.

Pressioni inglesi

La fermezza del Re Ferdinando II e del suo Governo mettevano la disperazione in cuore ai settarii e ai Governi che li proteggevano. Ai 14 settembre 1856 il Rappresentante inglese scriveva di nuovo al suo Governo, e gli diceva: «essere inutile di parlare della questione pendente con Napoli, ed avere il convincimento, che una modificazione superficiale nel suo governo non potrebbe assicurare la futura tranquillità; crede essere necessario di riformare in una maniera sensibile tutto lo spirito del governo, concedersi almeno qualche porzione di libertà politica, e di amministrarsi la giustizia con mani pure ed imparziali; senza di che l’Italia meridionale continuerà ad essere ciò che è ora, una piaga schifosa agli occhi dell’Europa.» – Era veramente il caso del proverbio della festuca e della trave, che l’Inghilterra non vedeva nel proprio occhio, avvegnaché grossissima, mentre che piacevasi scorgere la festuca nell’occhio altrui. – Codesta ingerenza nella interna gestione di un Reame indipendente meriterebbe il riso, se non cagionassero il pianto i fatti consumatisi da quell’epoca sciagurata fino ai nostri giorni.

Nei precitati dispacci, che a gran fatica chiameremo diplomatici, scompariscono affatto le relazioni amichevoli tra Governo e Governo; e non vi si scorge altro che le declamazioni dell’accusatore contro l’accusato, del giudice contro il delinquente. Il Rappresentante inglese dimentica l’antica lealtà e dignità del Governo britannico, e scrive come se la sua missione a Napoli consistesse solo a farsi l’eco e il sostegno del partito avverso al Governo legittimo, contro del quale procura suscitare quel malcontento che non esisteva, fomentando solo nelle alte classi e nel governo quel malessere ispirato dal contegno insolente del Piemonte, e da quello ormai palesemente ostile d’Inghilterra e Francia.

Gladstone nelle sue sciagurate lettere a Lord Aberdeen, quando nel 1851 visitava le prigioni napolitano, aveva parlato nel suo privato nome. Il Rappresentante britannico al contrario parlava a nome del suo Governo, dando così officiale sanzione agli indiretti eccitamenti di voluti disordini.

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Non vi è proclama sedizioso clandestino che da lui non venga inviato al Foreign office e che contemporaneamente non sia pubblicato nei giornali di Torino; non vi è dibattimento nei tribunali di Napoli per qualche rara causa di reato politico, in cui egli non intervenga per farne poi relazione a Londra: non è dunque il bene di un paese, ma sì la ruina di un Regno, il rovesciamento di una dinastia, la vittoria di un partito, il trionfo della rivoluzione che si voleva con tale inqualificabile contegno conseguire.

Intanto, ai 10 di ottobre, il ministro Walewski richiamava da Napoli l’ambasciatore Brenier, e minacciava che una flotta francese starebbe a Tolone ad attendere gli avvenimenti, mentre la flotta inglese si terrebbe pronta a Malta per l’istesso scopo. Il medesimo giorno il ministro degli Affari Esteri d’Inghilterra annunziava al Rappresentante inglese a Napoli la rottura delle relazioni diplomatiche col Governo delle Due Sicilie, e gli ordinava di lasciare Napoli. Tale risoluzione era motivata «da che il Governo delle Due Sicilie non intende modificare il sistema che prevale nei suoi dominii, onde è che il Governo inglese, d’accordo col francese, ha pensato che non si potevano più a lungo mantenere le relazioni diplomatiche con un Governo che rigetta ogni amichevole avviso, e che è determinato a perseverare in un sistema condannato da tutte le nazioni civilizzate.» Strana cosa! il Rappresentante inglese, il giorno 16 dell’istesso mese di Ottobre, scrive al suo governo a Londra: «nulla sembra appoggiare la supposizione che la effervescenza del sentimento pubblico facesse scoppiare una collisione o turbasse la pace di Napoli.» Dal che trae la conseguenza che, «non essendovi a temere rivoluzione, il Governo napolitano avrebbe potuto secondare i desiderii della Francia e dell’Inghilterra.» – Vedi potenza di logica! Si teme violenta una medicina; ma, poiché è evidente che il creduto malato cui vuolsi amministrare gode ottima salute, s’insiste ciò non ostante a fargliela ingoiare. Tale era la logica del Rappresentante inglese nel mese di ottobre dell’anno di grazia 1856, nel cosiddetto secolo dei lumi!

Ma, prima di chiudere questa brutta rassegna, giova recare testualmente alcuni dei dispacci più importanti da noi accennati, e che scambiaronsi in quella circostanza. E sia per il primo quello del Walewski al Brenier, rappresentante francese presso il Re di Napoli:

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Il Conte Valewski al Barone Brenier a Napoli.

«Parigi, 21 Maggio 1856.

«Signor Barone,

«Ebbi l’onore di mettervi a parte delle legittime preoccupazioni che sonosi manifestate in seno del Congresso di Parigi. Credo dover ritornare quest’oggi su quest’oggetto, per determinare in un modo esatto il senso e la portata di questo incidente in ciò che concerne il Regno delle Due Sicilie.

«Come lo avrete rilevato, i Plenipotenziari riuniti a Parigi sonosi mostrati tutti egualmente penetrati dal sentimento di rispetto che anima i loro Governi per l’indipendenza degli altri Stati, e nessuno fra essi ebbe il pensiero (?!) di provocare un’ingerenza od una manifestazione, di natura tale che potesse recarvi offesa. Il Governo delle Due Sicilie non potrebbe prendere abbaglio sulle nostre vere intenzioni; ma vogliamo credere che riconoscerà con noi, che i rappresentanti delle grandi Potenze europee non potevano, conchiudendo la pace, restare indifferenti al cospetto di alcune situazioni, le quali sembrarono capaci di compromettere l’opera loro in un’epoca più o meno vicina. Egli è unicamente ponendosi su questo terreno che il Congresso fu naturalmente condotto ad investigare le cagioni che mantengono in Italia uno stato di cose, la cui gravezza non poteva a lui sfuggire.

» Il mantenimento dell’ordine nella Penisola italiana è una delle condizioni essenziali per la stabilità della pace; egli è dunque nell’interesse, e benanco nel dovere di tutte le Potenze, di non omettere alcuna cura, né alcuno sforzo, onde prevenire il ritorno di qualunque agitazione in questa parte di Europa. A questo riguardo i Plenipotenziari furono unanimi: ma come raggiungere questo risultato? Ciò non può farsi evidentemente con dei mezzi, di cui i fatti dimostrano ogni giorno l’insufficienza. La compressione mena con sé dei rigori, cui non è opportuno ricorrere, sa non quando sono imperiosamente comandati da urgenti necessità; altrimenti, lungi dal ricondurre la pace e la confidenza, si provocano dei nuovi pericoli col porgere alla propaganda rivoluzionaria nuovi elementi di successo. Egli è di tal sorta che il Governo di Napoli va errato, secondo noi, nella scelta dei mezzi destinati a mantenere la tranquillità ne’ suoi Stati, e ci sembra urgente, che esso si arresti nella falsa via su cui si è impegnato.

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Noi crediamo superfluo d’indicargli le misure adattate a raggiungere lo scopo che senza dubbio ha di mira; esso troverà, sia in un’amnistia saggiamente ideata e lealmente applicata, sia nella riforma dell’amministrazione della giustizia, le disposizioni appropriate alla necessità che noi ci limitiamo a fargli notare.

» Noi abbiamo la convinzione, che la situazione attuale a Napoli come in Sicilia, costituisce un grave pericolo per il riposo dell’Italia; e questo pericolo minacciando l’Europa doveva necessariamente fissare l’attenzione del Governo dell’Imperatore; esso c’imponeva in ogni caso un dovere, quello di svegliare le sollecitudini dell’Europa, e la previdenza degli Stati più direttamente interessati a scongiurare deplorabili eventualità. Noi abbiamo adempiuto a questo dovere prendendo l’iniziativa nel seno del Congresso; lo adempiamo egualmente facendo appello allo spirito conservativo del Governo stesso delle Due Sicilie, il quale darà prova delle sue buone intenzioni, partecipandoci le disposizioni che giudicherà conveniente di adottare.

» Come voi vedete, i motivi che e’ impongono l’ufficio, che a voi è dimandato, e del quale avrete a sdebitarvi di concerto col ministro di S. M. Britannica, sono perfettamente legittimi: essi sono attinti nell’interesse collettivo di tutti gli Stati europei, e siamo autorizzati a credere d’altra parte, che a Napoli si risolveranno a prenderli in seria considerazione. Astenendosi dal tener conto dei nostri avvertimenti esporrebbesi a nuocere ai sentimenti di cui il Governo dell’Imperatore non cessò di mostrarsi animato verso la Corte delle Due Sicilie, ed a provocare in conseguenza. un raffreddamento deplorevole.

» Voi vi compiacerete di dar lettura e lasciar copia di questo dispaccio al ministro degli Affari Esteri di S. M. Siciliana.

» Ricevete.

Firmato Walewski (1).

(1) Sarà bene che ormai il lettore faccia un poco conoscenza di questo personaggio importante della tragicommedia rivoluzionaria. Il Coppi nei suoi Annali d’Italia, anno 1832, § 35, dice cosi: «Anche nella tranquilla Toscana incominciossi in quest’anno a manifestare spirito rivoltoso. Alcuni giovani (fra i quali un Mandolfi, e Fermo figlio di un ricco banchiere Ebreo) vagheggiarono la idea di adoprarsi per unire l’Italia in un Governo costituzionale, del quale fosse capo il Walewski, figlio di Napoleone. Incominciarono per tale effetto dallo spargere diffusamente, nella vigilia del Protettore S. Giovanni Battista, una proclamazione, in cui, rammentata la libertà, la indipendenza e la prosperità dell’antica Repubblica Fiorentina, della quale S. Giovanni Battista era Patrono, declamarono contro l’attuale despotismo (!!), avvilimento e dipendenza dall’Austria. Invitarono quindi tutti gl’Italiani ad imitare gli Alemanni loro oppressori, che agivano per unirsi in un sol corpo.

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A questo documento il Governo napolitano rispondeva dignitosamente così:

Il Comm. Carafa al Marchese Antonini regio Rappresentante a Parigi, e agli altri regi Rappresentanti all’estero.

» Signor Marchese,

Il mio dispaccio del 7 corrente mese, N. 278, vi ha già fatto conoscere il sunto della comunicazione fattamisi dagli inviati di Francia e di Inghilterra, i quali mi rimisero nello stesso tempo, dopo avermene data lettura, la copia di un dispaccio ad essi indirizzato a quest’uopo dal loro Governo.

» Dalla copia del documento francese, che credo utile rimandarvi qui inclusa, vedrete che questi Governi intesero determinare, facendone l’applicazione agli Stati del Re, il senso e la portata delle preoccupazioni che dicono essersi manifestate in seno delle conferenze che ebbero luogo per la pace, e nella quale i Plenipotenziari si mostrarono tutti egualmente compresi dei sentimenti di rispetto che son propri dei loro Governi per l’indipendenza degli altri Stati.

» Protestando i loro sentimenti amichevoli, i suddetti governi di Francia e d’Inghilterra hanno creduto nell’interesse della conservazione della pace, dover avvertire alla necessità di prevenire il rinnovarsi ai qualunque agitazione in Italia; ciò che, secondo essi, non potrebbesi ottenere che adottandosi provvedimenti di amministrazione interna giudicati convenienti ad allontanare i pericoli cui l’esponeva un sistema di rigore, il quale fornirebbe nuovi elementi di successo alla propaganda rivoluzionaria, aumentando il malcontento.

» Operando in un senso contrario al principio rispettato da tutte le Potenze, i governi di Francia e d’Inghilterra credono suggerire che la nostra amministrazione interna dovrebbe subire tali cambiamenti, che essi dicono essere superfluo indicare, pur non tralasciando di precisare di qual carattere debbano essere i cambiamenti stessi, che si appartiene poi al Governo del Re il considerare come propri ad assicurare la conservazione della pace.

Si ricordassero perciò dell’antica gloria, e ripigliassero l’avito coraggio per ricuperare la libertà. I Toscani poi riconoscessero nel S. Precursore un amico del popolo, ed un martire della tirannia.- Il Governo, dispreizando tali leggerezze, ammoni alcuni di quelli ardenti ed inesperti liberali, scacciò dalla Toscana vari forestieri complici e fautori di quelle idee e la cosa svanì.

Questo fatto, osserva L’Armonia, ricorse alla memoria di molti, quando il Conte Walewski, ministro degli Affari Esteri del Governo imperiale di Francia prese nel Congresso di Parigi l’iniziativa sulle cose d’Italia, e pensarono che,, non ostante il 2 Decembre, il Walewski del 1856 fosse quello stesso del 1832, patrono dei rivoltosi un pò più di S. Giovanni Battista.

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«Non si può capire come gli anzidetti due Governi, che si dicono bene informati delle condizioni degli Stati del Re, possano giustificare l’inammissibile ingerenza che essi pigliano nei nostri affari, con la urgente necessità di riforme; in mancanza delle quali essi dicono essere convinti che lo stato presente di cose a Napoli ed in Sicilia costituirebbe un grave pericolo pel riposo dell’Italia.

«Nessun Governo ha il diritto d’ingerirsi nell’amministrazione interna di un altro Stato, e soprattutto in quella della giustizia.

«Il mezzo immaginato per mantenere la pace, per reprimere e prevenire i moti rivoluzionari é tale, che esso stesso conduce alle rivoluzioni. E se avesse a succedere qualche disordine pubblico, sia qui, sia in Sicilia, sarebbe precisamente suscitato da un tal mezzo, il quale lo provocherebbe, eccitando tutti i sentimenti rivoluzionari, non solo in tutti gli Stati del Re, ma anche in tutta l’Italia, con quella inopportuna protezione accordata ai principali agitatori. Il Re nostro Signore ha in ogni tempo esercitata la sua sovrana clemenza verso un gran numero dei suoi sudditi colpevoli o traviati, commutando loro la pena o richiamandoli dall’esilio, e il suo cuore benefico prova il più gran dispiacere nel vedere come la più parte degli uomini di questa specie siano incorreggibili; di maniera, che, se il nostro augusto Signore potè nel passato usare la sua clemenza, egli è ora ben suo malgrado costretto, nell’interesse del bene pubblico, a non più esercitarla in seguito all’agitazione prodotta in Italia dalle suggestioni mal calcolate dai Governi, dai quali i nemici dell’ordine si sentono protetti.

«Se la più perfetta calma regna ora negli Stati del Re, in cui la rivoluzione ha sempre trovato, nella devozione del popolo verso il suo Sovrano e nella fermezza del Governo, il più potente ostacolo ai suoi tentativi di disordine, egli è egualmente certo che i malcontenti non mancherebbero di riuscire nelle loro audaci mene, per dar corso alle pazze speranze concepite allo scopo d’immergere di nuovo il paese nel disordine e nella costernazione.

«Il Governo del Re, che evita scrupolosamente di ingerirsi negli affari degli altri Stati, intende esser il solo giudice dei bisogni del suo Regno al fine di assicurare la pace, la quale non sarà turbata, se i male intenzionati, privi di ogni appoggio, saranno infrenati dalle leggi e dalla forza del Governo. Così soltanto si allontanerà per sempre il pericolo di nuovi sconvolgimenti, che potessero compromettere la pace d’Italia; e così il benefico cuore del Re nostro Signore potrà trovare l’opportunità e la convenienza di esercitare ancora la sua abituale clemenza.

«Siete autorizzato, signor Marchese, a dar lettura di questo dispaccio, ed a lasciarne copia ecc.

Firmato «Carafa.

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Questo dispaccio, improntato di una dignità e di una fermezza, non conosciuta prima di allora ai Gabinetti suaccennati, ferì profondamente il loro orgoglio; e per mezzo della Corte di Vienna, colla quale passavano in quel momento amichevoli relazioni, il Governo francese fece sentire tutta la sua amarezza con la necessità di ottenere dal Governo napolitano un atto qualunque, che potesse sembrare una scusa e un addolcimento alle forti parole di quel dispaccio. Re Ferdinando, a compiacere il Governo austriaco, per mezzo del medesimo Commendatore Carafa faceva scrivere al Brenier in questi termini:

Il Commendatore Caraffe al Barone Brenier, plenipotenziario francese a Napoli

Napoli, 26 Agosto 1856.

«Rapporti venuti da Parigi e da Vienna hanno informato S. M. il Re augusto Sovrano del sottoscritto, della spiacevole impressione prodotta sul governo imperiale e sopra S. M. l’imperatore dei Francesi dalla risposta data dal Governo delle Due Sicilie alle comunicazioni fatte a Napoli da parte dei Governi francese e inglese.

«Non si è mai potuto avere intenzione nel dispaccio del 30 giugno d’imputare al Governo francese tendenze, che non fossero conformi alle garanzie che esso ha dato in tante circostanze all’Europa, e se il Governo imperiale ha potuto vedere una simile imputazione nell’anzidetto dispaccio, se ne prova il più vivo rammarico. Il Governo della Francia al pari di quello di Napoli e di ogni altro, non ama le rivoluzioni: e su questo punto l’accordo è perfetto, ancorché.si possa discordare circa i mezzi da prevenirle. Il reale governo ha veduto dai consigli dati dalla Francia, e dettati dalla sua sollecitudine per la tranquillità dell’Europa, che potrebbe essere compromessa da turbolenze in Italia, una prova novella dell’interessamento che l’imperatore Napoleone ha certamente voluto mostrare al re di Napoli; ma in quanto alla efficacia delle misure applicabili ed alla loro opportunità per ottenere la tranquillità del paese, non sarebbe al certo un pretendere troppo, se si voglia riserbarne la scelta e l’applicazione al Re, giudice il più indipendente e il più illuminato sulle condizioni del governo che convengono al suo Reame: non può esistere dissenso d’opinione sol proposito, perocché le Potenze hanno esse medesime proclamato questo principio. È inutile di ricordare in tale circostanza che il regno di Napoli è stato il primo a ripigliare la sua tranquillità dopo le trascorse tristi vicende, senza soccorso esterno, e con la sola azione del suo reale governo.

«E giusto essere sempre riconoscenti agli amici pei loro consigli; ma gli stessi amici devono comprendere che non si può indifferentemente

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applicare ad un paese ciò che conviene ad un altro; si. può confidare nella saggezza del Re, il quale è in posizione di conoscere meglio di qualunque altro il tempo, le circostanze e le opportunità.

«Ed al certo i governi amici non hanno potuto mai mancare di valutare questa indispensabile libertà di azione. Il governo delle Due Sicillie desidera vivamente di cancellare ogni dispiacevole impressione prodotta nello spirito di governi amici dalla risposta comunicata per l’organo dei suoi inviati a Parigi e a Londra. Egli ha la più grande premura non solo di conservare con questi governi la più cordiale e sincera intelligenza; ma ancora di stringere sempre più i legami di amicizia esistenti fortunatamente fra i rispettivi Sovrani, i quali non possono non essere perfettamente d’accordo con lui a fine di procedere uniti verso lo scopo dell’ordine e della tranquillità dei loro paesi, mantenendo sempre più le amichevoli relazioni per ciò che può interessare questo comune oggetto. – Il sottoscritto profitta ecc.

«Firmato» Carafa.

Siffatta dichiarazione, lungi dal contentare le pretensioni del Walewski e del suo Governo, fece si che il Ministro imperiale fieramente replicasse colla seguente Nota:

«Parigi, 10 Ottobre 1856.

«Il Governo dell’Imperatore vede con dolore che il Governo delle Due Sicilie non sembra disposto a modificare la sua attitudine ad appagare i voti che noi gli avevamo espressi.

«Noi non ritorniamo sulle considerazioni che avevano ispirato al governo di S. M. Imperiale gli andamenti, dei quali i termini trovansi espressi nel mio dispaccio del 21 maggio ultimo. Credo poter dire non esservi un solo gabinetto in Europa, che non abbia reso giustizia alla lealtà e alla preveggenza dei consigli, che noi abbiamo fatto intendere a Napoli. Non ne ha un solo che non sappia, non essere stati noi guidati in questa circostanza da alcun sentimento ostile; ma che noi abbiamo agito unicamente con un’alta idea conservatrice e d’integrità generale, la cui espressione nulla aveva di biasimevole pel governo cui ci dirigemmo. Il governo dell’Imperatore soffre che le sue intenzioni siano state disconosciute, e che la risposta del gabinetto di Napoli sia stata improntata, sia nella forma, sia nella sostanza, da un sentimento che io mi astengo di qualificare; ma che è molto poco in armonia colle disposizioni che hanno ispirato il nostro proprio sentimento; noi ci eravamo lusingati, che il tempo decorso dalla data della nostra partecipazione avesse potuto modificare le prime intenzioni del governo delle Due Sicilie, e che ricondotto dalla riflessione a più equi giudizii avesse sentito da sé stesso la opportunità di entrare in una via, che il suo proprio interesse e il bene del suo popolo avrebbero dovuto invitarlo a seguire, più ancora dei nostri consigli. – La nostra aspettativa è rimasta delusa.

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Il comm. Carafa, egli è vero, m’ha diretto ai 26 d’agosto ultimo una nuova partecipazione concepita in termini più concilianti; ma, in sostanza, le cose non sono più soddisfacenti di prima.

«In presenza di un tale stato di cose, che sinceramente ci starebbe a cuore di evitare, il Governo dell’Imperatore, d’accordo con quello di S. M. Britannica, giudicò che non gli era permesso, sin tanto che questa situazione non venisse modificata, di mantenere nello stesso piede come pel passato le sue relazioni col Governo delle Due Sicilie.

«Voi vi compiacerete adunque, nel ricevere il presente dispaccio, di disporvi ad abbandonare Napoli, con tutto il personale della vostra Legazione. Il rappresentante d’Inghilterra riceve le identiche istruzioni. Voi rimetterete al Console di S. M. Imperiale gli archivi della Legazione.

«Per assicurare eventualmente una protezione efficace ai sudditi francesi residenti nel Regno delle Due Sicilie, una squadra francese si terrà a Tolone, dove sarà pronta a ricevere gli ordini che vi sarebbe luogo di trasmetterle, in caso di bisogno, nell’interesse dei nostri connazionali; e tra le istruzioni al Comandante di tale squadra vi è quella di incaricare di tempo in tempo uno dei legni posti sotto i suoi ordini di visitare i porti di Napoli e di Sicilia, ove il Capitano del bastimento si metterà in comunicazione coi nostri Consoli. In un analogo scopo il Governo di S. M. Britannica farà stanziare una squadra nel porto di Malta.

«Darete lettura di questo dispaccio al commendatore Carafa e glie ne lascerete copia.»

Firmato «Walewski.

Così il Governo bonapartesco, dopo d’aver tentato, con la solita lealtà, di farsi del Re di Napoli un alleato contro l’Inghilterra, invitandolo ad intendersi con lui, prima che all’Ambasciatore inglese in Napoli giunga l’ordine di mettersi d’accordo con Brenier; deluso in quel tentativo, si unisce risolutamente coll’Inghilterra per opprimere col peso delle due più grandi Potenze marittime di Europa il piccolo Reame di Napoli. – La giustizia di Dio sembra talvolta lenta; ma dopo la favolosa catastrofe di Sédan, è utile ed istruttivo di rileggere i dispacci del Ministro di Napoleone III! –

Il Governo inglese dal canto suo communicava istruzioni di eguale tenore al suo Ministro residente in Napoli; cosicché ambedue i Ministri di Francia e d’Inghilterra, sul finire di Ottobre dell’istesso anno, chiesero i passaporti e partirono, rimanendo i rispettivi Consoli per gli affari commerciali.

Come se poi il Governo francese avesse ogni ragione per so, rese conto del suo procedere all’Europa, pubblicando nel Momteur, suo giornale officiale, la seguente Nota:

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«20 Ottobre 1856.

«Conchiusa la pace, fu prima sollecitudine del Congresso di Parigi di assicurarne la durata. A quest’uopo i Plenipotenziarii hanno esaminato gli elementi di perturbazione che esistevano ancora in Europa, ed hanno particolarmente rivolta la loro attenzione sullo stato dell’Italia, della Grecia e del Belgio. Le osservazioni fatte in questa occasione furono accolte da per tutto in uno spirito di cordiale accordo, perché erano ispirate da sincera sollecitudine pel riposo dell’Europa, e perché nello stesso tempo facevano testimonianza del rispetto dovuto alla indipendenza di tutti gli Stati Sovrani.

«Cosi nel Belgio, il governo d’accordo coll’opinione, sugli eccessi di certi organi della stampa, si mostrò disposto ad arrestarli con tutti i mezzi che aveva in suo potere. In Grecia, il disegno di riordinamento finanziario, sottomesso al giudizio delle Corti protettrici, attesta la premura del Governo ellenico a tener conto degli avvisi del Congresso. In Italia, la Santa Sede e gli altri Stati ammettono l’opportunità della clemenza e quella degli interni miglioramenti. La Corte di Napoli sola respinse con alterigia (hauteur) i consigli della Francia e dell’Inghilterra, benché presentati nella forma più amichevole. Le misure di rigore e di compressione, convertite da lungo tempo in mezzi di amministrazione dal Governo delle Due Sicilie, agitano l’Italia e mettono a pericolo l’ordine in Europa. Convinte dei pericoli di una simile condizione di cose, la Francia e l’Inghilterra avevano sperato di scongiurarli con savii avvertimenti dati in tempo opportuno. Questi avvertimenti furono avuti in non cale. Il Governo delle Due Sicilie, chiudendo gli occhi alla evidenza, volle perseverare in una via fatale. La cattiva accoglienza fatta a leggittime osservazioni, un dubbio ingiurioso gettato sulla purezza delle intenzioni, un linguaggio offensivo opposto a consigli salutari, ed in fine ostinati rifiuti, non permettevano di mantenere più a lungo le relazioni amichevoli.

«Cedendo alle suggestioni di una grande Potenza, il Gabinetto di Napoli tentò di attenuare l’effetto prodotto da una prima risposta; ma tale mostra di condiscenza non fu che una prova di più della sua risoluzione di non tenere alcun conto della sollecitudine della Francia e dell’Inghilterra per gl’interessi generali dell’Europa.

«L’esitazione non era più permessa, fu d’uopo rompere le relazioni diplomatiche con una Corte, che ne aveva essa stessa alterato così profondamente il carattere. Questa sospensione dei rapporti officiali non costituisce punto un intervento negli affari interni, molto meno un atto di ostilità. Tuttavia potendo la sicurezza dei nazionali dei due Governi essere compromessa, essi hanno, per provvedersi, riunite le squadre; ma non hanno voluto mandare i loro bastimenti nelle acque di Napoli per non dare appigli ad interpretazioni erronee. Questa semplice misura di protezione eventuale, che non fra nulla di comminatorio, non potrebbe nemmeno

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essere considerata come un appoggio od un’ incoraggiamento a quelli che cercano di smovere il trono delle Due Sicilie. (Excusatio non petita accusatio manifesta!) Se il Gabinetto napolitano, tornando ad un sano giudizio del sentimento che guida i Governi di Francia e d’Inghilterra, comprenderà infine il suo vero interesse, le due Potenze si faranno premura di riannodare con esso le stesse relazioni di prima, e saranno liete di dare con questo ravvicinamento un nuovo pegno al riposo dell’Europa.» – Così il Moniteur.

Nota russa sulle cose d’Italia

Il Governo Russo però, che fino allora non aveva transatto Nota Rossa colla rivoluzione, né coi rivoluzionari di Occidente, e che perciò conservava integre le tradizioni della vera politica e della dignità dei legittimi governi, non sembrava dividere gli avvisi dei settari anglo-franchi, e nullamente abbattuta dai rovesci della testé cessata guerra di Oriente, ad onore della onesta diplomazia e della verità, dettava una Nota diretta dal ministro di Stato, Principe di Gorschakoff, a tutti gli Ambasciatori e rappresentanti Russi presso le Potenze europee, che a noi piace arrecare nella sua interezza.

«Mosca, 21 Agosto (2 Settembre) 1856.

«Il trattato sottoscritto in Parigi il 30 Marzo, da un lato pose termine ad una guerra che minacciava di crescere a dismisura, senza che alcuno potesse prevederne l’esito, e dall’altro ritornò l’Europa allo stato ordinario delle relazioni internazionali. Le Potenze unitesi contro di noi levarono per divisa il rispetto del diritto e l’indipendenza dei Governi. Né pretendiamo già noi di rientrare nell’esame storico della questione, cercando sino a qual ponto la Russia avesse posto in pericolo l’uno e l’altro dei due principii. Giacché non é nostra intenzione di provocare una inutile discussione, ma solo di giungere ad applicare in effetto queste stesse massime, cui tolsero pubblicamente a difendere le grandi Potenze d’Europa, facendoci direttamente o indirettamente la guerra; le quali massime torniam ora loro in memoria, tanto più volentieri, quanto che crediamo di non averle mai abbandonate. Noi non sarem già sì ingiusti verso alcuna delle grandi Potenze europee da osare di supporre, che non si trattasse allora se non che di una parola detta d’accordo, perché utile in quelle congiunture, e che poi, essendo ora finita la guerra, ciascuna si creda lecito di operare secondo il suo utile particolare. Non accusiamo alcuno di essersi servito di quelle belle parole, come di un’arma che giova per un momento ad ampliare il teatro della lotta, e che poi si ripone tra la polvere dell’arsenale: che anzi, piace a noi di rimanere convinti che tutte le Potenze che allegarono ideati principii, li allegarono con piena lealtà e buona fede, e colla sincera intenzione di applicarli poi in tutte le congiunture. Ciò supposto, noi dobbiam credere essere intenzione di tutte le Potenze alleate nell’ultima guerra, siccome è del nostro augusto Signore

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l’Imperatore, che la pace generale sia un principio di ano stabile ripristinamento di relazioni vicendevoli, fondate sopra il rispetto del diritto e dell’indipendenza dei Governi. Or questa speranza è ella stata compiuta? Lo stato delle relazioni internazionali è esso ristabilito?

«Non volendo parlare di alcune questioni minute e secondarie, noi dobbiam dire a malincuore che vi sono due paesi, che fanno parte della famiglia europea, nell’uno dei quali lo stato regolare non esiste ancora, mentre nell’altro vi è minacciato. Questi sono la Grecia e il Regno di Napoli.

«L’occupazione del territorio Greco, per parte di una forza straniera contro il volere del Re e contro il desiderio del popolo, ora più non può essere appoggiata sopra alcun motivo. Ragioni politiche poterono in qualche modo spiegare la violenza fatta al Sovrano di quel Regno (1). Necessità di guerra, più o meno dimostrate, poterono essere addotte per colorare questa violazione del diritto; ma ora, che tutti questi motivi non possono più essere addotti, ci pare impossibile il dar buona ragione dinanzi ad un equo tribunale del continuarsi che si fa ad occupare con milizie forastiere il territorio greco, Perciò chiare e precise furono a questo proposito le prime parole del nostro augusto Signore, non prima il ristabilimento della pace gli ebbe fornita l’occasione propizia di pronunziarle. E non avendo noi dissimulata fin ora la nostra opinione nei consigli dei gabinetti, non cesseremo di farla udire anche adesso. Dobbiamo però aggiungere che, quantunque l’esito non abbia ancora pienamente secondata la nostra aspettazione, noi conserviamo la speranza di non dover rimaner soli in una questione, in cui il diritto e la giustizia sono evidentemente in favore della causa che sosteniamo.

» Quanto al Regno di Napoli, se non si tratta ancora di porre rimedio, pare a noi doversi molto temere che ormai non sia giunto il tempo di prevenirne il bisogno. Il Re di Napoli è ora soggetto ad una pressione, non perché egli abbia violato alcuno dei trattati fatti colle Corti straniere; ma perché egli governa i suoi sudditi, come crede meglio, usando dei suoi diritti innegabili di sovranità.

Noi intendiamo, che per amichevoli previsioni un Governo presenti ad un altro consigli benevoli? ed anche esortazioni; ma crediamo, che non si possa andar più innanzi. Meno che mai è ora permesso in Europa di dimenticare, che i Re sono eguali tra loro, e che non dall’estensione del territorio, ma dalla santità dei diritti di ciascuno, dee prendersi la regola delle loro relazioni. Voler ottenere dal Re di Napoli concessioni quanto al modo di governare internamente i suoi Stati, col mezzo di minacce e di fatti minacciosi, è un arrogarsi la sua autorità, è un voler governare invece sua, è un dir altamente, che il più forte ha diritto sopra il più debole.

(1) A quel tempo gli alleati anglo-franchi occupavano ancora la Grecia, sai col territorio si erano stabiliti per impedirle di unirsi, come che sia, alla Russia contro di loro.

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» Noi non abbiamo bisogno di dirvi qual sia il giudizio che porta il nostro augusto Signore sopra tali pretensioni. Egli spera, che non saranno mai poste in pratica: e tanto più lo spera, quanto che questa è pure la dottrina, la quale quegli Stati che si pongono a capo della civiltà, e nei quali i principii di libertà politica ebbero il loro maggiore svolgimento, non cessarono mai di porre innanzi, come loro professione di fede, fino ad aver tentato di applicarla, anche colà dove le circostanze non permettevano di applicarla, che forzatamente.

» Ogni qualvolta queste due questioni saranno trattate nei luoghi di vostra residenza, voi avrete cura di non lasciare alcun dubbio sopra il giudizio che ora ne reca il nostro augusto Signore. Questa franchezza discende naturalmente da quel sistema, che l’Imperatore professò fin dal primo giorno eh’ ei salì sul trono de’ suoi antenati. Voi non l’ignorate.

» L’Imperatore vuoi vivere in pace con tutti i governi; S. M. crede, che il miglior mezzo a ciò ottenere sia il non dissimulare il suo avviso sopra alcuna delle questioni, che toccano il diritto pubblico europeo. L’alleanza di coloro che per lunghi anni sostennero con noi i principii, ai quali l’Europa dee la pace di più di un quarto di secolo, non esiste più nella sua antica interezza. La volontà del nostro augusto Signore non ebbe alcuna parte in questo risultato. Ora le congiunture ci resero la piena libertà di nostre azioni, e l’Imperatore è risoluto di consagrare le sue cure principalmente alla prosperità de’ suoi sudditi, ed a volgere a migliorare l’interno del paese, attività che non dovrà più essere spinta di fuori, se non che quando lo richiedano assolutamente i veri interessi della Russia.

» Si rimprovera la Russia di voler rimaner sola, e di tacere quando vede fatti che non si accordano né col diritto, né coll’equità. La Russia tiene il broncio, dicono. – La Russia non tiene il broncio: essa riflette.

» Quanto al silenzio di cui siamo accusati, noi potremmo ricordare, che, non ha molto, si era mossa contro di noi un’ agitazione artificiale, appunto perché la nostra voce si era fatta udire ogni qualvolta avevamo creduto necessario di parlare in difesa del diritto. Quest’azione tutelatrice bensì di molti governi, ma inutile alla Russia, è stata riguardata come un pretesto di accusarla di voler tendere a non sappiam quale dominazione universale. Noi potremmo bene scusare il nostro silenzio con queste memorie. Ma non crediamo, che tale sia l’atteggiamento che si appartiene ad un Potentato, a cui la Provvidenza assegnò il posto che occupa la Russia in Europa.

» Questo dispaccio vi dimostra, che il nostro augusto Signore non dissimula quando crede dover manifestare la sua opinione. Egli farà Jo stesso ogni qualvolta la voce della Russia, potrà essere utile alla causa del diritto, e quando apparterrà alla dignità dell’Imperatore il non lasciare ignorare ciò che egli pensa. Quanto all’uso delle nostre forze materiali, l’Imperatore riserva a sé il giudicarne liberamente.

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» La politica del nostro augusto Signore è nazionale, non egoista: e se S. M. pone innanzi a tutto l’utile del suo popolo, essa non ammette però che quest’utile medesimo possa scusare la violazione del diritto altrui

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Voi avete la facoltà eco. ecc.

» Firmato «Gorschakoff.

Contraddizioni dei governi di Francia e Inghilterra

La Russia adunque si condusse come doveva in quell’incontro verso il Re di Napoli e il suo governo, appoggiandosi sulla vera politica conservatrice. Così non l’avesse ella postergata e dimenticata per un apparente interesse (che non è vero interesse ciò che è ingiusto) in Polonia, in Turchia, in Grecia e nella Giorgia! – Ma nemmeno verso Napoli e verso gli altri Stati italiani si mostrò poi coerente coi principii proclamati in questa Nota. Intanto ai 21 Ottobre, il Rappresentante inglese rende conto al suo governo della visita di congedo fatta al ministro degli Affari Esteri di Napoli, il quale, dice egli, «ha esternato il suo rammarico per l’andamento preso dagli affari; ma che il Re non avrebbe potuto modificare né i suoi sentimenti, né la sua linea di condotta. – Conchiude col dire, che lo stesso Ministro lo ha pregato di assicurare il suo Governo (ciò che ha già pratticato col barone Brénier ministro di Francia) che i sudditi inglesi e francesi continuerebbero a godere nelle Due Sicilie la più perfetta sicurezza. Notiamo una coincidenza: il 21 Ottobre 1856 il Ministro inglese scriveva tali cose al suo governo, e quattro anni dopo, il 21 Ottobre del 1860, quando Francesco II aveva accettati e seguiti i consigli dell’Inghilterra e della Francia, la sicurezza che la Lealtà del Governo napolitano aveva garantita ai sudditi di quei due Governi, veniva negata al giovane Re e ai suoi più fedeli servi nel proprio Stato. – I faziosi, con tanta deferenza sostenuti dall’autore del riferito dispaccio e dal suo Governo, il 21 Ottobre appunto del 1860, facevano il famoso plebiscito, in virtù, del quale le Due Sicilie, libere, autonome, indipendenti, divenivano meschine provincie del piccolo Stato a pie delle Alpi. Essi, dopo aver chiamato lo Straniero in Italia, all’ombra delle sue bandiere, prima colle bande del filibustiere nizzardo, poscia coll’esercito di Vittorio Emanuele, si trovano padroni di quel prosperoso Reame, destinato a passare ben presto per le più dolorose prove, senza ohe il cuore sensibile del Governo britannico, che tanto commovevasi a prò dei ribelli del 1856 punto nulla si risentisse nel 1860 e negli anni luttuosissimi che lo seguirono. Del resto, mentre, nel 1856 i rivoluzionarii cospiratori supplicavano per l’ intervento, che loro giovava;

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dopo il facile trionfo del 1860 imprecavano contro l’intervento che avrebbe rovinata la loro torre di Babele. Ignobile contraddizione! e pure ammirata dalla corrotta Europa, quale capolavoro di politica sapienza. – Così l’istesso capo del Gabinetto britannico, dopo di essere intervenuto in tanti modi nelle Due Sicilie a prò della rivoluzione, osava di proclamare in pieno Parlamento, poiché la rivoluzione, sua mercé, ebbe vinto: «bisogna lasciar liberi gl’Italiani nei loro proprii affari senza alcun intervento straniero... rimane alla loro discrezione di adottare le riforme di governo, gli accomodamenti di Stato che crederanno essere di loro utile: nessuna Potenza straniera deve prendervi ingerenza, né impedir loro di giungere ai risultati più conformi ai loro sentimenti ed interessi.» (Palmerston, seduta della Camera dei Comuni. Febbr. 1861). –

Egualmente, nel discutere la petizione fatta a pro del Reame delle Due Sicilie contro le enormezze degli invasori piemontesi, il Senato francese, nella seduta dell’8 Aprile 1864, si dichiarava incompetente a pronunziarsi intorno ad essa, avvegnaché avvalorata dal nome di cospicui Francesi, come De Lestre, De Roux, De Mirabel, De Margerie, e consecrava, a titolo di precedente, il principio di non ingerenza negli affari interni di un Governo straniero, facendo pompa della teoria di Vattel: «ciascuno in casa sua, ciascuno nel suo diritto.» La quale dottrina veniva svolta dal Delangle relatore al Senato sulla stessa petizione, notando, che «riconoscere in uno Stato straniero la facoltà di occuparsi negli affari interni di altro Stato vicino, è un condannare questo a una servitù intollerabile, e creare cause di collisione da comprometterne la pace pubblica.»

Ed ecco dopo soli 8 anni (1856-1864) giorno per giorno, una splendida difesa, sventuratamente troppo tardiva, del Re Ferdinando II e del suo governo! Ma ora la rivoluzione aveva ottenuto il suo intento, e i Governi rivoluzionari non temevano dì trovarsi in contraddizione con sé stessi.

E qui, per una provvidenziale coincidenza, abbiamo Una maravigliosa identità di date, di luoghi, e diremmo quasi di persone, per rendere la contraddizione ancora più notevole. – Agli 8 di Acrile 1856 seduta tempestosa a Parigi, dove, per gl’intrighi del Plenipotenziario sardo, i Governi di Francia e d’Inghilterra adottano quell’ingerenza contro l’interno regime delle Due Sicilie; agli 8 di Aprile 1864, egualmente a Parigi, il Senato del Bonaparte riprova l’identica ingerenza nell’interno regime delle Due Sicilie abbandonate in balia del Sardo invasore. Il principio del non intervento,

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mentre vietava alle Potenze amiche di correre in difesa degli oppressi, permetteva ai nemici di invadere liberamente. Ma di ciò trattiamo distesamente a suo luogo. Ora ci preme di fare spiccare in tutta l’atrocità del suo vero la incredibile pressione, forse nuova nella storia della diplomazia, esercitata dalla Francia e dall’Inghilterra sul Regno dette Due Sicilie. E ci avviene di notare un fatto, che addolora lo storico veritiero, come quello che rivela lo scristianamento delle idee nelle menti, siano pure le più serie. Abbiamo tra le mani Opere e Memorie le più importanti e gravi, e, se ne eccettui quelle utilissime redatte dal teologo Margotti, neppure una ci è dato rinvenirne che esamini e giudichi la rivoluzione italiana con quel solo criterio, in virtù del quale è dato giudicarla; vale a dire, il pensiero anticristiano e la guerra di distruzione indetta alla Chiesa, per ferire la quale si distruggevano i cattolici Principati della Penisola. Abbiamo qui mentre scriviamo, una importante raccolta fatta con grande cura e studio per ordine di un cattolico personaggio; in questo lavoro, almeno nella parte non piccola che abbiamo percorsa, nemmeno una volta ci fu dato d’imbatterci in quel pensiero, che pure è il solo vero, e che noi non abbiamo esitato un istante di prenderlo a nostra stella polare nel difficile cammino, che facciamo nel tempestoso pelago della rivoluzione italiana.

– Lunga e laboriosa cosa (citiamo presso che a verbo l’accennata raccolta) sarebbe se tutte volessero qui enumerarsi le cagioni,per le quali la legittima Monarchia napolitana vide tramutarsi l’antica benevolenza del Governo britannico verso di lei (1). Ci limitiamo a notare, in ordine a quella pressione, che, conseguenza del Congresso di Parigi, prese una straordinaria intensità nel 1856; e secondo ciò che abbiamo già esposto, può ritenersi quale una verità storica che, per aver saputo infrenare la più sovversiva insurrezione e reintegrare la regia autorità nella Sicilia nel 1849, malgrado degli sforzi della politica inglese, Re Ferdinando II divenne il bersaglio di quel Governo e delle consorterie faziose. –

L’autorevole raccoglitore non ricorda punto come in quel tempo avvenisse l’ospitalità del Papa in Gaeta, l’accorrere di Re Ferdinando contro Roma repubblicana, e la severa lezione da esso inflitta ai mazziniani e ai loro fautori sotto Velletri.

– Né altrimenti, infatti possono spiegarsi gli attacchi della stampa ultra rivoluzionaria dal 1848 in poi, e gl’imbarazzi

(1) Vedi lettere dell’Ulloa ministro e generale napolitano ai Lordi Palmerston, e Russel. A. pag. 1266-1267.

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che il Gabinetto di Saint-Iames ha spesso suscitati contro il Governo di Napoli, fino al punto di prendere poi apertamente per suo conto la difesa dei sommovitori della Sicilia, con una filantropia che non era punto nelle sue abitudini; quando si consideri il trattamento inflitto nel 1849 agli insorti delle Isole Ionie dal Lord alto Commissario; oppure si rifletta al modo con cui represse il movimento nazionale nelle Indie, e quella che sempre più fermentava in Irlanda e nella Giammaica nel 1865. –

Intanto il Re Ferdinando, avvegnaché scorgesse a colpo d’occhio dove andassero a parare le mene diplomatiche del Congresso di Parigi, a meglio disarmare il malvolere degli alleati occidentali, si mostrò pronto ad aderire alle uose utili proposte da quel Consesso. Consentiva infatti ai quattro punti destinati a risolvere rilevanti problemi di diritto internazionale, ciò che risulta dal rapporto ufficiale del ministro degli Affari Esteri d i Francia, Conte Walewski, all’Imperatore Napoleone, e che fedelmente rechiamo: Eccolo:

Rapporto di Walewski circa l’adesione dei vari Stati alle risoluzioni del Congresso di Parigi.

«Sire,

«Vostra Maestà si degnerà ricordare, che le Potenze segnatane della Dichiarazione del 16 Aprile 1856 si erano impegnate a far prattiche per generalizzarne l’adottamento. Perciò mi sono affrettato a comunicare questa Dichiarazione a tutti i Governi che non erano rappresentati nel Congresso di Parigi, invitandoli ad accedervi, e vengo ora a rendere conto a Vostra Maestà della favorevole accoglienza fatta a questa comunicazione. Adottata e sanzionata da’ Plenipotenziarii dell’Austria, della Francia, della Gran Brettagna, della Russia, della Sardegna e della Turchia, la dichiarazione dei 16 aprile ha avuto la piena adesione dai seguenti Stati:

«Baden, Baviera, Belgio, Brema, Brasile, Brunswik, Chili, Confederazione Argentina, Confederazione Germanica, Danimarca, due Sicilie, Repubblica dell’Equatore, stati romani, Grecia, Guatimala, Haiti, Amburgo, Annover, le due Assie, Lubecca, Meklemburgo, Schwerin, Nassau, Oldemburgo, Parma, Paesi Bassi, Perù, Portogallo, Sassonia-Altenburgo, Sassonia-Coburgo-Gotha, Sassonia-Meiningen, Sassonia-Weimar, Svezia, Svizzera, Toscana, e Wurtemberg.

«Questi Stati adunque riconoscono, con la Francia e con le altre Potenze segnatane del trattato di Parigi: 1. Che la Corsa rimane abolita; 2. Che la bandiera neutra cuopre la mercanzia nemica, eccettuata quella di contrabando di guerra; 3. Che la mercanzia neutra, eccettuato il contrabbando di guerra, non è sequestrabile sotto bandiera nemica; 4. Finalmente, che i blocchi per essere obligatorii, devono essere effettivi, cioè mantenuti da forza bastante ad interdire realmente l’accesso al litorale nemico.

«La Spagna, senza accedere alla Dichiarazione del 16 Aprile, a cagione del primo punto, ha risposto che si appropriava gli altri tre. Il Messico ha fatto Pie tessa risposta.” Gli Stati Uniti sarebbero pronti a dare la loro adesione, se all’articolo dell’abolizione della Corsa si fosse aggiunto, che la proprietà privata dei sudditi o cittadini delle nazioni belligeranti fosse esente da sequestro sul mare da parte delle marine militari rispettive. – Tranne queste eccezioni, tutti i Gabinetti hanno aderito senza riserva ai quattro principii stabiliti dal Congresso di Parigi. E cosi trovasi consacrato nel diritto internazionale di quasi tutti gli Stati d’Europa e di America un progresso, a cui il Governo di Vostra Maestà, continuando una delle più onorevoli tradizioni della politica francese, può esser lieto di aver potentemente contribuito; Onde constatare queste adesioni propongo a Vostra Maestà di autorizzarmi per la inserzione nel bollettino delle leggi; ecc.

(Approvato dall’Imperatore).

firmato. Walewski.

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fonte

eleaml.org

 

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