Alta Terra di Lavoro

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PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (ultima parte)

Posted by on Apr 3, 2018

PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (ultima parte)

CAPO IX.

LA COSTITUZIONE DI NAPOLI E UNA PAGINA DEL DE SIVO.

– Le mene settarie, l’abbiam veduto a più riprese, ad onta di tali Memorandum, e del relativo appoggio di Francia e d’Inghilterra, poco attecchivano nel paese, dove i fatti parlavano agli occhi; all’estero si credeva tutto! Sogliono gli uomini, giudicare delle cose altrui con idee proprie. Gli Inglesi tengono per vangelo che niuno possa aver libertà senza parlamenti costituzionali; e il lavorio fitto di cento anni ha divulgato tal credenza in Europa; e benché se ne sien fatti più mali sperimenti, pur non è ancora caduta tal fantasia dell’età, che pretende dare una forma di governo per tipo a tutti i popoli. Posto adunque che solo le Costituzioni dien libertà, restava di conseguenza chiarito tiranno il governo delle Sicilie, che non richiamava i parlamenti. Oggi abbiamo cento esempii di tirannidi costituzionali, riuscite oligarchie pugnaci e rapaci. I Napolitani, popolo pratico, visti i guai del 20 e del 48, e i debiti fatti, voleano piuttosto restar ricchi con Re assoluto, che impoveriti co’ deputati; ma la volontà popolare strombazzata sovrana quando spingesi a rivoltura, perde ogni simpatia de’ liberali quando chiede ordine e quiete.

Dimostrazioni contro la costituzione

Richiamare i parlamenti nel reame a quel tempo era abdicare; il popolo il vedeva, ne volea sentirne. Il ministero retto dal Fortunato ben sei sapeva; ma, non so bene chi consigliante, provocò o sopportò un fatto che fu grave errore. Un Doria di Cervinara (stato carbonaro nel 1820), e forse qualche altro, si vide misteriosamente per le provincie a sussurrare sull’opportunità di chiedersi l’abolizione dello Statuto. Questa scintilla bastò. La gente stracca di politica volea riposare; nauseata de’ frutti costituzionali, correva volonterosissima. Dall’Agosto 49 al Marzo 50 fu sul continente uno scrivere indirizzi al Re di quasi tutti i municipi e collegi giuridici amministrativi. Sommarono a 2283, di cui molti dettati avanti Notai, con dichiarazioni d’essere voti volontari universali; solo i municipi furono 1559.

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Primo fu Abruzzo ultra in agosto, seguitò Capitanata in settembre, Terra di Lavoro e Basilicata in ottobre, e così l’altre. Pompose deputazioni presentavansi al Sovrano. I firmati furono centinaia di migliaia, sariano stati milioni se avessero fatto entrare i contadini. Era un abbonamento de’ tre colori, uno stomacar di brogli elettorali, un deridere le spavalderie de Nazionali, Massime ne’ paeselli quei dimenarli, quei strascici di sciabole, quei spallini d’oro di capitani posticci, quel cicaleggio e rumore inconsueto, quello star sempre sull’arme, e il doversi guardare il suo da tanti scarcerati ladri, erano incentivi all’antico. Pure è vero che molti s’astennero, e anche alquanti de’ sottoscrittori facesserlo per paura o interesse. Chi mal s’era portato,.credeva con quella firma cancellare il passato, e anzi sollecitava altri; perché la malizia umana si fa arma del bene e del male. Fur di questi parecchi liberalissimi del 1860. Pur si vide qualche uffiziale pubblico, qualche Gentiluomo di camera del Re, pur di qualche municipio a ricusarsi; il che mostra non pativan forza.

Dimostrazioni contro la costituzione

Attitudine dell’arcivescovo di Napoli e del Clero

Fé’ rumore il fatto dell’Arcivescovo di Napoli, Cardinal Sisto Riario Sforza. Richiesto da parrochi se avessero a firmare quelle petizioni, rispose: – no, dovere 1 sacerdoti stare intenti ai sacri uffizi. – E quando un uffiziale di Ministero glie ne tenne discorso, gli replicò: «Quando il Sovrano die lo Statuto, ebbe in consiglio militari, magistrati e amministratori, non ecclesiastici; questi ubbidirono alla nuova legge, e ubbidiranno all’abolizione; che per essi è buono ogni governo cristiano, che dia modo alla Chiesa d’operare il bene; ma non denno mescolarsi in cose estranee al loro santo ministero.» E al mattino, ito a Caserta,le stesse cose ridisse al Re, il quale benignamente le approvò. Subito su tal fatto se ne strombazzarono di grandi, e, tra le altre,che il Cardinale ordinasse con lettere pastorali a preti la ricusa. In quanto agli indirizzi fu un coro di tutti i giornali liberaleschi gridanti allo scandalo, al sopruso. Poche centinaie ragunaticce a 27 Gennaio 1848 avevano chiesto lo Statuto a Toledo, ed erano in diritto; ora quasi tutti i municipii del Regno ne chiedevano la revoca, e non avean diritto! Le provincie aveano subito una rivoluzione voluta da un cantuccio di via di una città, e ora non poteano levare la loro voce contro quella tirannia liberalesca che distruggeva la loro prosperità. Fu stampato, i voti strapparsi con baionette e guai a chi ricusasse; ed anche oggi qualcuno ha detto, quella richiesta essere stata una maniera d’imposto ,plebiscito.

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Parmi i ministri non avriano dovuto riconoscere ne’ municipi e ne’ privati, e meno negli impiegati, così fatto diritto di petizione. Lo Statuto dato spontaneamente dal Re, senza richiesta di costoro, ben poteva ritrarsi senza loro istanza. Scopo sociale è la prosperità umana, le costituzioni sono forme variabili e sperimenti; chi può mutarle una volta, può anche rimutarle, massime quando ne va di mezzo la pace e il sangue dei soggetti. E quando una fazione tendente a scardinare la potestà, si valea delle franchigie per farsene leva, era carità, era dovere lo abolirle. Le Costituzioni del 48 caddero tutte per questo, né solo in Napoli, ma in Francia, a Vienna, in Toscana, a Roma, perché impossibili con la pace, supremo bene. E come negarlo, se Torino sola, che la serbò, divampò tosto in tanto incendio a danno di sé e degli altri?

La costituzione è abbandonata

Ferdinando non potea tener lo Statuto senza frangere la integrità della Monarchia. Riconquistata Sicilia, non era possibile riconvocarvi i parlamenti e non fiaccare lo scettro; e riconvocarlo in Napoli soltanto era aver due regni, non quell’uno garantito da tutta Europa; era cacciarsi fuor del suo dritto quasi Re nuovo, costretto forse a pitoccare riconoscimenti da quelli appunto che il regno gl’insidiavano. Adunque l’esempio altrui, sicurezza di regno, ragion di stato e desìo di popolo, faceangli suprema necessità di tornare all’antico.

Ma il ministero, o forse il Re, non volle farne una legge. Corsero prattiche diplomatiche all’estero, che restarono segrete. Si sussurrò che Nicolò di Russia, interpellato, rispondesse disapprovare la Costituzione data, ma non consigliare a ritorla; che Austria suggerisse piuttosto abbandonarla che rivocarla. Ma Austria stessa sul principio del 52 e anche Toscana l’abolirono con legge. Credo Ferdinando non pel consiglio, ma forse per l’opposto, cioè di fare l’inverso degli altri, come era sua natura, e mostrare di essere indipendente da ogni estera pressione, non abolì ma lasciò abbandonato lo Statuto. E fu grave fallo, che tenne deste le speranze settarie, die presa alle calunnie, mise faccia d’illegalità al governo e tenne il regno in un provvisorio lungo, che mise capo al 1860. Ne seguì governare incerto, trepidazione negli uffiziali, un non far davvero, un aspettare gli eventi. Ma già quegli uomini, quelle cose, quei tempi erano mezzani; fiacche le opere e le volontà, fortissimo solo Ferdinando, non bastante a tutto. I congiuratori si credettero temuti, o delle trepidanze governative si fecero pro, per meglio di nascosto costituirsi. La nazione credè passato l’uragano e si adagiò sulle rose; faceva canzoni pel Re, sbeffeggiava i liberali, e poi non ai pensò più.

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Le imposte, si pagavano senza sforzo, le recluto, con viva al Re correvano a militare; una quiete, una sicurezza piena promoveva un prosperoso incesso d’industria; aboliti i tre colori, tacenti le Camere, anche il giornale ufficiale cessò d’appellarsi costituzionale a 5 giugno 1850. V’ha tuttodì chi dice per questo esser caduta la monarchia nel 1860; con la Costituzione sarìa caduta prima, o che i Borboni avrian dovuto fare come il Savoiardo; diventar settari e ruinare il regno e l’Italia con la fatua idea dell’unità. Ferdinando rattenne dieci anni l’Italia dal cadere in questo abisso.

Era Ferdinando spergiuro?

La setta gridò lui spergiuro; ma voglionsi poche nozioni di morale a giudicarne. Un giuramento va mantenuto, sinché si possa senza colpa: se la cosa promessa, benché prima buona, diventa inala o impedisce maggior bene, o genera maggior male; se manca il fine della promessa, se per lo eseguimento sopravvenga pericolo altrui di morte, infamia o ruina, in tai casi é dovere non mantenere il giuro (Non est vinculum iniquitatìs). Fu empio Iefte che eseguì la promesse di uccidere la figlia; empio Erode, che pel giuro diè la testa del Battista alla ballerina; né fu spergiuro Coriolano, che non arse la sua patria, Roma; né s’oserà dire che bene operassero i giuranti pugnalatori del famoso Veglio della montagna. E Ferdinando dovea per la Costituzione mettere il reame in fuoco, farvi templi protestanti, aprire scuole di lascivie, corrompere il popolo, assalire il Santo Padre, e diventar V. E.?

S’era giurato supponendo il popolo volesse lo Statuto nuovo, visto il vero popolo reagire, il volerlo a forza e a dispetto della nazione era un controsenso. Si supponeva portasse felicità, ma recò lotte, sangue e debiti; si supponea chiesto a fin di bene, e si provò chiesto per far repubblica sociale; si supponeva afforzasse lo Stato e il Trono, e si scoperse divisore di animi, rovesciatore di trono; si sperava desse pace, e diè barricate, proditorii e guerra civile. Qual popolo il chiese? Dato, qual bene s’ebbe? Vi fu più requie co’ parlamenti? Hanno, o pur no, i popoli dritto a star quieti, e alla guarentigia delle persone, delle robe, della morale e della religione? Il giuramento invoca la presenza della divinità, e col nome di Dio è implicito il bene. Non si può giurare il male.

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Ridevolissima è quell’accusa di spergiurazione in bocca a settari, infrangitori d’ogni santo giuro, discioglitori de’ voti religiosi, felloni di mestiere, i quali han poi sfacciatamente plaudito all’infrazione de’ giurati patti di Zurigo dal loro re galantuomo: per essi va mantenuto il giuro del pigliare, non quello del tutelar lo altrui. – Fin qui il De Sivo (1).

A compimento di questo primo periodo delle cose napolitano ci fa d’uopo aggiungere un capitolo che ci porgerà modo di raccogliere più d’un fatto degno di nota.

(1) Giacinto De’ Sivo, Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861. vol. 2 pag. 237-242.

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CAPO X.

DOPO LA PARTENZA DEI PLENIPOTENZIARI FRANCESE E INGLESE B COME SI FA LA STORIA AI NOSTRI GIORNI.

Abbiamo detto, a suo luogo, della partenza dei plenipotenziarii di Francia e d’Inghilterra da Napoli. Abbiamo fatto rilevare colle parole di uomini della rivoluzione il contegno delle popolazioni napolitano in quell’incontro. Ci rimane da dire qualche cosa su quel fatto grave in diplomazia, e lo facciamo riportandoci alquanto indietro fino a quell’epoca, e valendoci di storici rivoluzionarii. Premettiamo un documento che non vuole essere dimenticato, ed è la lettera del cav. Severino, segretario di re Ferdinando II, con cui comunicava al Carafa, Ministro di Stato a Napoli, gli ordini del suo Sovrano circa il contegno da mantenere di fronte ai plenipotenziarii che minacciavano di partire.

La lettera era del seguente tenore:

Castellamare, 3 Giugno 1856.

Istruzioni di Ferdinando II al Carafa

«Il Re ha presso di sé e ritenute le lettere che a lei venivano istruzioni consegnate dai ministri d’Inghilterra e di Francia. È augusto volere che, se Ella, signor Commendatore, incontrerà i due signori Temple e Brennier, e se faranno insistenza, potrà dir loro a voce che nessun Governo ha il diritto d’immischiarsi negli affari degli altri, e molto meno di giudicare con modo improprio la sua amministrazione, e specialmente della giustizia, nella quale, come in tutti i rami, non crede S. M. sia nulla a ridire. Col bel pretesto di dissipare e prevenire rivoluzioni, vogliono produrre rivoluzioni. Che se qualche movimento di disordine pubblico possa, Iddio non lo voglia, accadere, sia in Napoli sia in Sicilia, sono essi che l’hanno suscitato e lo susciteranno, e faranno rialzare lo spirito rivoluzionario non solo nel nostro paese, ma nell’Italia intiera, con quelle loro indecorose protestazioni a favore dei principali agitatori. Dica loro che, prima d’usare atti di clemenza, bisogna pensare che questa genìa è la maggior parte incorreggibile. Aggiungerà ella di più che, se sino ad ora il Re ha potuto esercitare la sua clemenza, attualmente non può esercitarla per colpa di tutti

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questi passi che fanno tutti cotesti Governi protettori di siffatta gente. Sarebbe ciò un incentivo a nuove pertubazioni, e il Governo non può da sé preparare nuovi moti al paese. Dovrà intanto, signor Commendatore, procurare di vedere i Ministri di Russia, Austria e Belgio, affine di dir loro d’aver ricevute queste proteste, e delle risposte fatte e che farà d’ordine del Re (1).»

Dopo la surriferita lettera Nicomede Bianchi, a pag. 296 vol. VII cap. Vili, con mal velato dispetto, rivelando le gelosie tra Francia e Inghilterra, scrive:

Gelosia di Francia e Inghilterra

– Per meglio invogliare Ferdinando a far viso arcigno alle sollecitazioni dei Governi di Francia e d’Inghilterra, valsero le notizie inviate dai suoi legati. Carini scrisse da Londra che i Ministri della Regina, divenuti assai sospettosi che Napoleone mirasse a fomentare sottomano la rivoluzione nell’Italia meridionale per mettere Murat sul trono di Napoli, si mostravano sfreddati d’ingerirsi nelle cose interiori del Regno (2).

Antonini telegrafò da Parigi che l’Imperatore, conosciute meglio le condizioni della Penisola, aveva mutato linguaggio coll’Inghilterra. L’alleanza della Francia coll’Austria, l’attitudine presa dal Clero francese, la disapprovazione palese e unanime dei conservatori, anche partigiani dell’Impero, sul contegno tenuto dal Congresso, verso le cose italiane, essere le cagioni principali di questo mutamento di politica (3).

Intanto i Governi di Francia e d’Inghilterra smaniavano di riannodare le relazioni col Re di Napoli e diplomaticamente procacciavano per tutti i modi, che Ferdinando II facesse un atto, un passo qualunque verso di loro per toglierlo ad occasione di ravvicinamento e riallacciare le relazioni senza scorno da parte loro. Ma Re Ferdinando, altiero della propria dignità e dell’onore della Corona, fu inflessibile. L’imparziale Nicomede Bianchi, degno storico della Rivoluzione, si svelenisce contro il Monarca napolitano, ed, appiccandogli la taccia di superbo testardo, si da il fastidio di svolgere le prattiche diplomatiche di quel tempo.

«La Russia, dice egli a pag. 298 (loc. cit), patrocinava all’aperto la causa del Re di Napoli, e poiché a quel tempo Napoleone ne cercava l’intima alleanza, così le pratiche della diplomazia moscovita

(1) Lettera riservatissima del Severino al Carafa, Castellamara 5 Giugno 1856. Nicomede Bianchi, storia documentata della diplomazia europea vol. VII, pag. 295.

(2) Dispaccio cifrato Carmi, Londra 20 Maggio 1856 – loc. cit. pag. 296.

(3) Dispaccio cifrato Antonini, Parigi 28 Maggio 1866. – loc cit

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trovarono in Parigi buone accoglienze (1). Con un pò di destrezza e di arrendevolezza il Governo napolitano poteva cavarsi d’impaccio, togliendo all’Inghilterra l’appoggio della Francia, e fornendo a questa il modo di uscir con decoro dalla via delle rimostranze in cui era entrata. A ciò fare esso si trovò quasi pregato. Napoleone disse al Barone Brunow, che subito lo fece sapere a Ferdinando: «Ritarderò di dieci giorni a richiamare la legazione francese da Napoli per dar tempo allo Czar di capacitare il Re a cedere in qualche cosa (2).»

Consigli interessanti della Russia. Arrendevolezza della Francia

A indurlo in questa persuasione, Gorkiakoff faceva dire a Ferdinando. che non era un umiliazione per lui cedere alle rimostranze di due grandi Potenze marittime: si rammentasse bene che la Russia altro non poteva prestargli fuor del suo appoggio morale; che essa si trovava in condizioni tali da doversi tenere in termini d’amicizia colla Francia e coll’Inghilterra, ove anche trascorressero ad atti ostili verso il regno di Napoli. Bramava il Re d’avere efficaci aiuti dalla sincera amicizia dello Czar delle Russie? Indirizzasse una nota confidenziale ai gabinetti di Londra e di Parigi promettendo qualche riforma, si gratificasse l’imperatore Napoleone, offrendogli spontaneo lo scarceramento di Poerio e di Settembrini; autorizzasse l’ambasciator russo in Parigi d’annunziare all’Imperatore che il Re di Napoli presto gl’invierebbe un oratore straordinario, apportatore di riconciliazione (3). I ministri Francesi l’aspettavano non solo a braccia aperte; ma la incuoravano additando aperta, breve e facile la via. – Che il Re, diceva Walewski ad Antonini, mi fornisca un mezzo qualunque onde ci possiamo tirar fuori dall’affare con decoro, e io lo coglierò non con una, ma con due mani (4). – Che il Re, dicevagli Fould, scriva una lettera all’Imperatore per mettergli nelle mani lo scioglimento amichevole della controversia; vedrà che Napoleone diverrà il suo avvocato verso l’Inghilterra, e terminerà la questione senza che il Governo napolitano si trovi gravemente compromesso nella sua dignità. (5) – Tutto ciò, esclama indispettito il Bianchi

(1) Dispaccio circolare Gorkiakoff alle legazioni russe, Mosca 5 Settembre 1856.Dispacci riservatissimi Regina al Com. Carafa in Napoli. Mosca, 5, 6 e 14 Settembre 1856. – Nicomede Bianchi, loc. cit. pag. 298.

(2) Dispaccio riservatissimo Antonini, Parigi 20 Settembre 1856 -loc cit.

(3) Dispaccio cifrato, Regina, Pietroburgo 17 Settembre 1856 –

(4) Dispaccio riservatissimo dello stesso. Pietroburgo 10 Ottobre 1856 – loc. cit. pag. 299.

(5) Dispaccio riservatissimo Antonini. Parigi 20 Settembre 1856. – loc. cit.

(6) Dispaccio Antonini, Parigi 18 Settembre 1856 – loc. cit..

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(non avvezzo a simili atti di reale fermezza e dignità) valse a nulla. – «No e poi no, rispose Ferdinando, a Gorkiakoff e a Walewschi. Le fattemi proposte sarebbero atti di estrema debolezza a danno della mia corona; e a vantaggio del partito rivoluzionario. Mi si lasci tranquillo» (1). –

Strana concordia di alleati.

Francia e Inghilterra, prosegue a dire il Bianchi, s’ erano tropp’oltre avventurate nella questione per poter retrocedere serbando incolume il proprio decoro. Ma da che la politica, che la prima seguiva verso la Russia e la seconda verso l’Austria (strana concordia di cotesti alleati occidentali!) interdiceva loro di troncarla cogli estremi argomenti della forza, deliberarono di non passar oltre all’interruzione delle consuete relazioni diplomatiche. Fu a di 21 ottobre 1856 che i legati di Francia e d’Inghilterra presentarono al Carafa ciascheduno una nota per ragguagliarlo di questa deliberazione. La nota francese si limitava ad esprimere il dolore che il governo dell’Imperatore provava nel vedere il Governo napolitano deliberato a non dar retta alle sollecitazioni leali fatte dalla Francia nell’interesse della quiete dell’Europa (2). La nota inglese, più risentita dichiarava che il Governo della Regina non poteva continuare a mantener relazioni amichevoli con un governo, il quale respingeva qualunque consiglio amichevole per non togliersi da un contegno condannato da tutte le nazioni civili (3).

Fermezza di Re Ferdinando.

Ferdinando (è sempre il Bianchi che parla) s’aspettava queste rotture e non gli riuscirono moleste. Sul foglio ove stava scritta la nota francese, egli, di mano propria, nel rimandarlo al Carafa, scrisse: «Ha fatto bene di dare i passaporti, e si è regolato convenevolmente con quei signori. (4).» Poi gli aprì con precisione il suo pensiero con queste parole, che il Bianchi dice testuali: «Non siamo stati noi che abbiamo offeso la Francia e l’Inghilterra, ma sono state esse che hanno offeso noi; dunque non dobbiamo chiedere loro scusa. L’Europa intiera può dir ciò che vuole; ma qualunque proposizione deve partire da loro e non da noi; e lo sappiano tutte le Potenze europee (5).»

Lo storico liberale, non potendo far altro, maligna sull’attitudine irremovibile di Ferdinando II,

(1) Lettera del Car. Sederino al Comm. Carafa, Gaeta 12 Settembre 1856 – loc. cit.

(2) Nota Valewschi, Parigi 10 ottobre 1856. loc. cit. pag. 300.

(3) Nota Clarendon, Londra 10 Ottobre 1856 – loc. cit.

(4) Appunto sulla nota Walewschi di Ferdinando II, Caserta 21 Ottobre 1856 -loc. cit.

(5) Lettera di Ferdinando II al Carafa., Gaeta 24 ottobre 1856 – loc cit.

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e la dice «resistenza di piccol pregio dopo che Francia e Inghilterra avevano lasciato conoscere allo scoperto che non intendevano passare al atti ostili;» quasi fossero atti amichevoli Io scagliargli contro i rivoluzionar! di tutto il mondo, e cuoprire lui e il suo governo delle più obbrobriose calunnie solennemente smentite dagli stessi banderai della setta nel massonico areopago di Torino, siccome abbiam veduto e vedremo in seguito. Nicomede Bianchi crede di poter aggiungere, come Ferdinando II, praticando quella resistenza a scorno della eterna giustizia e della civiltà universa, non poteva riuscirgli proprizia la pubblica opinione, bene inteso, quella formata dalle società segrete, che ormai tutti sanno. Infatti Antonini scriveva in quel tempo al Carafa (e scriveva il vero), che nel Belgio e nella Francia era universale presso gli uomini onesti e cristiani l’ammirazione per la eroica resistenza del re di Napoli, e che negli ultimi giorni in cui era rimasto a Parigi aveva provato un vero trionfo per le ricevute attestazioni di simpatia da tutti i ceti; per il che a buon diritto poteva scrivere il Canofari da Torino: «La nobile figura del nostro augusto padrone diviene maestosa e imponente al disopra di quelle di tutti i monarchi suoi contemporanei.» E il Carini, che «tempo verrebbe in cui l’Imperatore Napoleone ringrazierebbe Ferdinando di aver salvato l’indipendenza del monarcato (1).» Ora ognuno vede quanto dicesse giusto il Carini; ma il Bianchi trova che «quei poveri cortigiani non vedevano più in là di una spanna!» Francia e Inghilterra, continua egli, nell’interrompere le relazioni diplomatiche col Governo napolitano procedettero con grande temperanza di modi. Dichiararono che non invierebbero nel golfo di Napoli le squadre navali, per non dare stimolo al malcontento di coloro i quali cercavano di crollare il trono del Re delle due Sicilie, e che inoltre protestarono come non intendessero passare ad atti ostili, e si dicessero parate à riannodare l’antica amicizia col governo napolitano, subito che si mostrasse volenteroso di provvedere ai suoi veri interessi (2) (che modestamente pretendevano conoscere esse meglio di lui).

Si cercano mediatori a Roma

Il Gabinetto di Parigi sperò, lo dice il Bianchi, di smuovere si cerca Ferdinando mediante i buoni uffici della Corte di Roma; ma Antonelli non volle assentirli (3).

(1) Dispacci Antonini, Bruxelles 28 novembre e 6 dicembre 1856 – Dispaccio Canofari. Torino 9 novembre 1856 Dispaccio Carini, Parigi 27 dicembre 1856- loc, cit. pag. 301. , ‘

(2) Moniteur, N. 25 ottobre 1856

(3) Dispaccio riservatissimo De Martino al Carafa in Napoli, Roma, 25 ottobre 1856. loc. cit.

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In Spagna.

Il tentativo fu fatto dal Gabinetto di Madrid. Il legato spagnuolo in Napoli si portò dal Ministro sopra gli affari esteri per leggergli un dispaccio del suo governo, pel quale, accennate le conseguenze funeste che potevano derivare per la pace dell’Europa dalla controversia insorta tra il governo napolitano e le due Potenze occidentali, venivano offerti i buoni uffizi della Spagna per giungere ad un amichevole ricomponimento. A meglio conseguirlo, il Gabinetto spagnuolo consigliava il re di Napoli d’introdurre spontaneo qualche riforma negli ordini governativi (1).

Ferdinando per rispondere sì servì del suo legato in Madrid, Marchese Riario Sforza, il quale, per espresso incarico del suo Re, notificò alla Regina e ai suoi Ministri, che il governo napolitano doveva rimanere qual era, e che essendo state le ‘Potenze occidentali le prime a interrompere seco le relazioni diplomatiche, spettava ad esse di muovere i primi passi a riannodarle (2).

Nel Belgio

Una risposta identica ebbe il Re del Belgio, il quale dietro la domanda del governo inglese (lo noti bene il lettore) aveva cercato d’intromettersi paciero, studiandosi di capacitare Ferdinando della convenevolezza di scarcerare Poerio (personaggio ormai ben noto) e Settembrini (3),

Dopo di ciò, il Bianchi passa a dire, come Ferdinando II, quattro mesi prima delle accennate rotture diplomatiche, per levarsi la noia e il pericolo dei soverchi prigionieri politici, iniziasse prattiche colla Repubblica Argentina, e addi 13 gennaio 1857 venisse stipulata una convenzione per lo stabilimento sul territorio di quella Repubblica di una colonia di sudditi napolitani, condannati 9 detenuti politici, che colà verrebbero confinati in commutazione della loro pena.

In Prussia

Il Conte di Bernstorff, Ministro di Prussia a Londra, preseli. b (sono parole di Nicomede Bianchi) quel trattato a lord Clarendon, e nello stesso tempo, gli fece conoscere il vivo desiderio, del suo Governo, di vedere l’Inghilterra, nell’interesse della quiete dell’Europa, riconciliata colla Corte napolitana. – Il Ministro inglese non si mostrò per nulla arruffato. «Ebbene, riespose Clarendon, se il Re di Napoli vuoi ordinare che questa» convenzione ci sia comunicata ufficialmente, e se egli è disposto» a lasciar partire per la Repubblica Argentina tutti i prigionieri di Staio

(1) Dispaccio di Pastor Dias, Madrid 28 Ottobre 1856 – Nicomede Bianchi loc. cit. pag. 302.

(2) Dispaccio Carafa al Marchese Riario Sforza in Madrid, Napoli, 11 Novembre 1856 – loc. cit.

(3) Dispaccio Antonini, Bruxelles 19 Febbraio 1856 – loc. cit

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che lo chiederanno, noi potremo ristabilire seco le nostre relazioni diplomatiche.» -«Dovrebbero esser compresi, chiese Bernstorff, anche coloro pei quali è aperto tuttavia il processo?» – «Certamente che sì, rispose Clarendon. Il Re non amerà troppo di manifestare il suo desiderio di riannoda

re con noi le consuete relazioni diplomatiche, e noi non lo chiederemo mai; tuttavia si potrebbe trovare una formula accomodevole a tutti: per esempio, il Còmmendator Carafa potrebbe scrivere un dispaccio per dichiarare, che il Re, di sua spontanea volontà, era venuto da lungo tempo nel pensiero d’entrare nella via di moderazione, per la quale l’Inghilterra aveva manifestato il pensiero di vederlo, e che quindi era giunto a conchiudere con la Repubblica Argentina una convenzione che mèttevalo in grado di compiere gli atti di clemenza da lui stabiliti. Sono pronto a tutto, concluse Clarendon, anziché lasciar sospettare che io intenda incoraggiare l’è tendenze rivoluzionarie (1).»- Il nobile Lord aveva dimenticato i suoi atti precedenti e il suo contegno al Congresso di Parigi.-

Bernstorff ragguagliò di questo colloquio l’Ambasciatore di Prussia a Parigi, conte di Hatzfeld, affinché tasteggiasse Walewski. Questi volle prima conferire con Lord Cowley, poi rispose: «Ove tutti i condannati politici della Due Sicilie assentino; di migrare nella Repubblica Argentina, tra la Francia e il Governo napolitano si potranno ristabilire le relazioni diplomatiche. Esso dovrà, nei modi che gli torneranno più graditi, dare ufficiale comunicazione della patteggiata convenzione ai gabinetti di Londra e di Parigi, in pari tempo accennerà loro gli atti di clemenza compiti dal Re, conforme ai desideri manifestatigli, ed esprimerà il suo desiderio di riannodare con loro i consueti rapporti diplomatici (2)». – Credevano forse che Bernstorff parlasse per impulso del Re di Napoli, ed alzavano la voce, imponendogli la legge; ma erano nell’inganno.»-

Nuovi consigli di Russia

Il Gabinetto di Pietroburgo, prosegue il Bianchi, giorno dì siffatte pratiche confidenziali della Prussia, inviò al Re di Napoli questi consigli:: – Verso l’Inghilterra non facesse alcun passo, né avanti né indietro, ma aspettasse la determinazione ch’essa prenderebbe come fosse eseguito a pieno il trattato colla Repubblica Argentina, in modo da essere condotti in America tutti i prigionieri politici del regno.

(1) Lettere riservatissime Bernstorff al Comm. Carafa, Londra 15 genn. e 1 febb. 1857. – loc. cit. pag. 303.

(2) Lettere riservatissime Hatzfeld al Comm. Carafa., Parigi 22 febbraio e 19 marzo 1857. – loc. cit. pag. 304.

 

 

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Egli si accostasse invece alla Francia chiedendola del rinvio in Napoli della sua legazione, partiti tutti gl’imprigionati per delitti politici (1).

Indipendenza di Ferdinando II

La Russia vagheggiava allora un’alleanza con la Francia contro». Inghilterra, e dava consigli in ordine ad essa. Ferdinando II, che seguiva una politica indipendente e non serva di chicchessia, teneva d’occhio codesta corrispondenza. – «Si risponda, ordinò al Carafa, a Bernstorff e a Hatzfeld, che ho visto con dispiacere che si continua a proteggere la birbanteria e la rivoluzione. Della convenzione Argentina profitterà chicchessia, tranne i condannati all’ergastolo e coloro ai quali è stata commutata la pena di morte.. Si ripeta poi quello che da un anno andiamo dichiarando, che il Governo napolitano non crede di derogare in nulla alle sue massime,, e che non vuole né può fare alcuna emenda verso la Frane l’Inghilterra; e che bensì è pronto a rannodare con esse le relazioni diplomatiche, purché esse sieno prime a chiederlo (2).» Carafa scrisse tuttociò a Bernstorff concludendo così: – «Noi abbiamo molte ragioni per non toglierci dalla via finora seguita. Attualmente è dimostrato fino all’evidenza, che nel Congresso di Parigi non si ebbe punto il desiderio d’assodare la quiete e di combattere la rivoluzione in Italia. In ogni modo noi non abbiamo mai tralasciato dall’avvertire che, se anche si avesse avuto questo pensiero, praticamente si giungerebbe a un risultato opposto. I fatti sono venuti a darci piena ragione. L’agitazione rivoluzionaria ben tosto si è manifestata in Sicilia e nelle provincie continentali del Regno; in conseguenza di essa è divenuto impossibile al Governo del Re di procedere nell’intrapresa via della clemenza; esso ha dovuto retrocedere per salvare l’ordine pubblico, e proteggere i buoni contro i malvagi. Non bisogna dimenticare che i rivolti. ziqnari fanno la,guerra col pugnale alla mono, e che mirano ad abbattere la Religione e a sconvolgere l’ordine pubblico. La mano Sfogli assassini è diretta da scellerati. uomini, i quali con libertà cospirano sul suolo della Francia e dell’Inghilterra. Veramente il Governo napolitano ben diversamente si porterebbe ove nel suo Stato si cospirasse contro la Regina Vittoria e contro Napoleone III, neanco esso lascerebbe il corso alle invettive d’una stampa quotidiana ad essi mortalmente nemica.

Le navi inglesi e francesi che sono in crociera sulle nostre coste, accordano ospitalità ai rivoluzionari più ribaldi, vendono armi e munizioni da guerra.

(1) Dispaccio riservatissimo Regina. Pietroburgo 1 marzo 1857, – loc. cit. p, 304.

(2) Appunti di mano di Ferdinando II al Carafa. loc. cit.

– 377 –

Gli agenti’ consolari francesi e inglesi con discorsi violenti eccitano le popolazioni alla ribellione. E dopo tutto ciò si pretenderebbe che il Re si mostrasse clemente verso i principali strumenti dei disegni segreti dei Gabinetti di Parigi e di Londra? Nel proteggere costoro, la Francia e l’Inghilterra non cercano punto il bene dell’Europa, ma mirano ad aumentare il numero dei rivoluzionari, per meglio turbare la quiete del nostro regno.

È da lungo tempo che, massime da segreti agenti francesi, si lavora a corrompere per moneta la fedeltà delle nostre milizie. Ciò passa i limiti d’ogni tolleranza, e debbo quindi dichiarare per ordine espresso del Re, che Egli non intende di fare la minima concessione, nasca ciò che può nascere» (1).

Nicomede Bianchi, recata questa nota, osa affermare «nulla esservi di dignitoso, ma molto di bugiardo e di sleale, giacché si architettavano in aggravio della Francia e dell’Inghilterra maneggi indegni per isgravarsi dall’obbligo di migliorare le condizioni politiche del Regno.» -Il lettore è ormai bene al caso di rispondere a tali accuse veramente indegne, quindi noi ci asteniamo dal farlo.

A troncare le speranze concepite dal Gabinetto di Berlino sopravvenne il fatto seguente. Sui primi d’Aprile 1857, avendo il conte di Bernstorff scritto al Ministro Carafa, che Clarendon sempre si querelava del procedere inumano del Governo di Napoli, il Re ordinò gli si rispondesse, che, – siffatta dichiarazione era un oltraggio alla sua indipendenza Sovrana, onde crederebbe venir meno al proprio decoro, se permettesse che più oltre si conducessero pratiche di accomodamento – (2).

Strana conclusione del Bianchi

Bianchi va fuori di sé a questa stupenda risposta di Re Ferdinando, ed esclama: «La tracotanza del Borbone rimase appagata!» E conchiude: «Fin che egli stette sul trono, Francia e Inghilterra gli lasciarono l’impunità (quale generosità!) di spregiare i loro consigli, le loro minaccie, e di mantenersi irremovibile nel seguitar l’opera del suo governo dispotico.

Abbiamo ascoltato fin qui Nicomede Bianchi, storico ufficiale della rivoluzione, ora ci consenta il lettore di fargli udire sull’istesso proposito, ma più brevemente, il Belviglieri altro storico gravissimo della medesima rivoluzione: se tra loro discordano non è nostra la colpa.

(1) Lettera riservatissima, Carafa. Napoli 20 Marzo 1857. Nicomede Bianchi, loc cit.

(2) Lettera Bernstorff, Londra 4 Aprile 1856. Lettera Carafa, Napoli 14 Aprile 1856. loc. cit

– 378 –

Le stesse cose secondo il Belviglieri

«La rottura delle relazioni diplomatiche, dice egli, colle due grandi Potenze occidentali, facendosi ogni di più sentire per gl’imbarazzi molteplici che produceva, ed il Governo (napolitano) volendo uscirne senza concedere nulla, non che ledesse la sua dignità, ma nemmeno porgesse apparenza di soddisfazione, cercò ed ottenne i buoni uffici della Prussia, la quale, per mezzo del suo incaricato a Genova, fece pratiche officiose presso Clarendon per riannodare le relazioni. Il nobile lord, disposto a transigere, non a cedere, domandava comunicazione del decreto risguardante lo invio dei detenuti politici napolitani sul territorio della Repubblica Argentina, ed esigeva che quanti bramassero profittare di quel beneficio, vi fossero autorizzati; ed a ciò Ferdinando acconsentiva; ma. il Britanno uscì con altri gravami: i nuovi arresti, lo spionaggio eretto in sistema; l’uso della cuffia del silenzio nelle carceri (il lettore già conosce il valore di questa stolida asserzione) l’accusa contro la fregata inglese Malacca d’aver venduto polvere da guerra nella rada di Napoli; la pubblicazione di opuscoli ingiuriosi all’Inghilterra. Il Governo napolitano cercò di scagionarsi invano: le sue spiegazioni furono reiette ed ogni probabilità di ravvicinamelo si dileguò; ond’esso, conscio dell’isolamento in cui si trovava, con avvedutezza si volse per appoggio al Clero ed alla parte meno educata (!?) del popolo, sgraziatamente numerosissima, che subivane l’influenza» (1). Fin qui il Belviglieri. A chi crederanno i posteri a lui o al Bianchi?

Completiamo ora la nostra narrazione recando i seguenti due dispacci, dei quali è parola in questo capitolo. Il primo è la circolare del Ministro Carafa alle reali Legazioni all’estero circa la partenza dei plenipotenziari, il secondo è la lettera confidenziale dal medesimo Carafa al Conte di Bernstorff.

(1) Aorta d’Italia dal 1814 al 1866 di Carlo Belviglieri. Milano. Corona e Caimi editori. 1870. Nella collana storica di Cesare Cantù.

Il Belviglieri facilmente si trova in contraddizione coi suoi confratelli istorici liberali. Il lettore rammenta come il deputato Lazzaro, storico davvero non sospetto, ricolmasse di villanie i Napolitani, perché lasciarono partire i plenipotenziarii francese e inglese senza badarvi; egli invece a pag. 60 libro 27 dice testualmente così:

«Il 28 ottobre Brenier, ministro di Francia, ed il primo segretario della legazione britannica abbandonarono la capitale in mezzo alle dimostrazioni le più vive di simpatia, anzi di una vera agitazione popolare; e poiché gli ambasciatori napolitani a Londra e a Parigi non accennavano a muoversi, quei Governi inviarono ad essi i loro passaporti, per altro ben risoluti a non procedere più in là nei tratti ostili.»- L’egregio Carlo Belviglieri è attualmente professore di Storia nel regio Liceo di Roma. – Rilegga il lettore la pagina 204 del presente volume.

– 379 –

Dispaccio circolare del Commendatore Carafa, ministro degli affari esteri di S. M. il Re di Napoli alle R. legazioni all’estero, circa la partenza dei plenipotenziari di Francia e d’Inghilterra da Napoli.

Signor…,

Napoli, 8 novembre 1856.

«La partenza della missione di Francia e d’Inghilterra, che con mio dispaccio circolare del 27 dello scorso ottobre, N. 48, la informai d’avere ricevuti i domandati passaporti, ha avuto effettivamente luogo la mattina di martedì, 24 del prossimo passato, nel qual giorno i capi di tali missioni presero la direzione di Roma per imbarcarsi a Civitavecchia, lasciando l’incarico dei passaporti, non che la custodia degli archivi, a’ rispettivi consolati, i quali prima presero cura di fare abbassare gli stemmi dei due Governi dalla porta dell’abitazione dei due rappresentanti partiti.

«Rimangono da tale atto interrotte le diplomatiche relazioni di quei due Governi con questo del R. nostro Signore, contro del quale niuna ostilità si è intesa esercitare, come ci ha spiegato il Monitore francese del giorno 20 p. p. (L’abbiamo recata a pag. 182).

«Come potrà da fatti giudicarsene, ancora meno ostili e senza la minima alterazione, si conservano i nostri rapporti con quelle due Potenze, dappresso alle di cui Corti i regi rappresentanti non verranno richiamati.

«Oltre le ulteriori corrispondenze, delle quali ha già ricevuto copia, è venuto opportuno il Monitore francese del 25 ad offrire a ciascuno il diritto e la facilità di giudicare da qual lato sia la ragione, ed ha reso inutile che il R. Governo manifestasse, in prova della propria lealtà e delle varie specie d’attacco di cui si è soggetto, la natura delle pretese delle due Potenze occidentali ejì i mezzi con cui si sono fatte a sostenerle; dando alle prime il nome di amichevoli consigli, e giustificandoli coll’asserito unanime consentimento di tutte le altre Potenze europee, ad adottare de’ provvedimenti atti ad allontanare il pericolo di veder compromessa la pace dell’Italia dal nostro sistema governativo.

«La parte dai rappresentanti le grandi Potenze, riuniti in Congresso a Parigi, presa ai protocolli degli 8 Aprile, è un documento incontrastabile della ricusata adesione delle grandi Potenze, tanto all’iniziativa proposta del Congresso, quanto all’applicazione di misure provocanti, ma dalle sole due Potenze occidentali mandate ad effetto.

– 380 –

«L’attitudine del Governo del Re non poteva, né può altrimenti inspirarsi che nel proprio diritto e nell’esistenza di Stato indipendente, per respingere colla ragione e con la guida della giustizia della propria causa qualunque pretesa d’ingerenza estera nell’interna amministrazione, ed opporre la moderazione a’ passi con che le due Potenze hanno, senza volontà ostile, spinta la loro attitudine a riguardo di una Potenza amica.

«I fatti, più convincenti di tutte le assicurazioni, provano ad evidenza l’insussistenza dei motivi su’ quali si è dichiarato fondarsi l’ingiusto procedere delle due grandi Potenze verso di noi; cioè il rigore del Governo pe’ condannati politici, e l’agitazione mantenuta in Italia dal nostro sistema governativo.

«Il numero delle grazie politiche dal Re N. S. fatte, e che non cessa quotidianamente di fare, ormai note a tutta l’Europa, risponde in modo da distruggere il primo de’ motivi; e la tranquillità che regna in tutti i domini del Re N. S., e che speriamo vorrà continuare, ad onta di quanto sperasi dagli agitatori per vederla alterata, profittando delle attuali differenze, sarà la più potente risposta ad oppugnare il secondo motivo.

«Al Governo del Re non rimane quindi che conservarsi nella attuale posizione senza menomamente smuoversi a quanto possa esser detto, o verrà fatto, per tentare di falsare sul conto nostro la pubblica opinione, con attribuirci cause di pericoli, di cui malagevole è riuscito pure l’inventare pretesti per farli credere.

«Nel persistere però in una tale linea di condotta, il Governo del Re N. S. vedrà con piacere offrirglisi l’occasione dalle due Potenze occidentali di ristabilire le diplomatiche relazioni preesistenti, e che esse hanno voluto interrompere.

«Delle cose qui sopra esposte sulla condotta sinora serbata dal real Governo, e sull’attitudine che intende mantenere verso le Potenze occidentali, Ella se ne varrà senza darne veruna comunicazione, ma soltanto per sua propria norma, ne discorsi che potranno esserle mossi da codesto Governo, sulle insorte divergenze, conformandovi il suo linguaggio, ed il suo contegno.

CARAFA.»

– 381 –

Lettre confidentielle de M. Carafa ministre des affaires étrangères de 8. M. le roi de Naples à M. le comte de Bernstorff, ministre de S

,

  1. le roi de Prusse à Londre.

Monsieur le Comte

Naples, ce 2 février 1857

«J’ai reçu votre dépêche confidentielle du 15 janvier, par laquelle vous avez bien voulu m’informer de la conversation et de ses plus importants détails que vous avez eue avec lord Clarendon et monsieur de Persigny sur la position que les deux Puissances occidentale nous ont faite dans un but bien contraire à celui qu’elles ont cru pouvoir faire valoir.

«Le langage du Ministre des affaires étrangères d’Angleterre est évidemment le même que celui qu’il a tenu dès le commencement de la question, quoique les faits en aient détruit les prétextes. Le langage d’ailleurs de l’Ambassadeur de France a été dans un esprit, quoique de justice et de vérité, à l’endroit de la politique suivie par le Roi, mon maitre, cependant bien loin de pouvoir convaincre que notre dignité en serait sauvée, et la tranquillité du royaume garantie, si nous accordions ce qu’on nous demande incessamment.

«Sans vous répéter les motifs qui nous imposent tous les jours davantage de tenir ferme dans la ligne de condrite que nous nous sommes tracée des le commencement de la question avec les deux Puissances occidentales, je me bornerai à vous faire connaitre comme l’état actuel de ce royaume justifie nos prévisions sur l’esprit public, et sur les effets de la pression, sous laquelle, quoi qu’on en dise, nous nous trouvons toujours.

«Le but de la conférence de Paris est bien prouvé de n’avoir jamais été celui de calmer les esprits, pour éviter une révolution, comme on l’a dit, et nous n’avons jamais ces$é, dès le premier moment, de prévenir que le contraire serait arrive par la protection déclarée de l’Angleterre et de la France en faveur de nos révolutionnaires de toute espèce.

«Les conséquences en effet ne s’en sont point fait attendre, dans les états continentaux ainsi qu’en Sicile, où l’état d’émotion révolutionnaire

– 382 –

bien violente n’a pas tarde à se manifester, ce qui a rendu au Gouvernement du Roi impossible de poursuivre dans la voie de la clémence, en lui imposant le devoir le plus absolu d’adopter de mesures de rigueur, et de prévoyante fermeté pour sauvegarder l’ordre public et garantir les paisibles et honnêtes sujets du Roi de la malignité des pervers.

«On ne doit pas oublier que l’assassinat et la destruction sont à l’ordre du jour, et le but auquel on vise c’est de bouleverser l’ordre social, et avant tout de miner la religion. De la visite domiciliaire exécutée dans l’habitation du prêtre Angona, qui a commis un attentat contre la vie de l’archevêque d’Acerenza et Matera dans le royaume, il est résulté la saisie du Protestantisme de Jacques Balmes dont ce prêtre faisait sa lecture préférée.

«La main des assassins cependant est dirigée et poussée par des personnes qui jouissent de leur pleine liberté sur le territoire anglais ou français, où, en abusant de l’hospitalité qu’on leur accorde, elles conspirent en toute sécurité.

«Assurément s’il se trouvait dans les États du Roi des individus qui conspirassent contre la vie de la Reine d’Angleterre ou de l’Empereur des Français, non seulement on ne le permettrait pas, mais aussi on en informerait les Gouvernements de ces deux souverains. Il est notoire que l’horrible événement du 8 décembre avait été publiquement préconisé à Londres, et dans quelque imprimé français, même avant que l’attentat fut commis, on y écrivait: «feu le roi de Naples».

«Si l’on croit excuser la presse inconvenante en Angleterre par la mauvaise raison qu’elle y est libre, il est impardonnable en France où l’on connait de quelle liberté elle y jouit, et où elle est toutefois de la plus patente provocation, Dieu sait dans quel but; mais dont le résultat avéré est de pousser à la révolte l’Italie et surtout ce royaume.

«C’est un fait notoire aussi, la protection qu’accordent les bâtiments qui sont dans notre rade à tous ceux qui veulent fuir, et la vente qu’ils font d’armes et de munitions; chaque fois qu’un nouveau bâtiment arrive, l’exaltation du soi disant libéralisme est immédiate.

«Quoiqu’on ait dit que des bâtiments anglais seraient venus ici de temps à autre pour la protection de leurs connationaux, la frégate Malacca est ici depuis le mois de novembre sans se faire scrupule de vendre la poudre à qui que ce soit, et en s’occupant

– 383 –

d’encourager les partis contre le Gouvernement et en débitant des nouvelles de l’arrivée d’autres bâtiments.

«Les agents des deux Puissances dans plusieurs points des provinces, au lieu d’inspirer des sentiments de calme, provoquent la plus grande exaltation.

«En Sicile par Bentivegna et ses consorts il a été constamment crié pour exciter à la rébellion:

«Que les Anglais étaient débarqués.»

«Que les Anglais les protégeaient.

«Que les Anglais les auraient défendus.»

«e Le Gouvernement royal n’ignore pas les fortes sommes d’argent qui arrivent ici de l’étranger.

«Une grande partie des gens des deux pays conspirent ici ouvertement, en trahissant de la sorte l’hospitalité qu’on leur donne, parce qu’ils se croient garantis, comme ils le sont effectivement, par leurs Gouvernements; le nommé Vincenzo Sproviero, calabrais, condamne en contumace a 25 années de fers pour crimes politiques, s’est embarqué sur le vapeur anglais le Wanderer protégé par les officiers, et il a été transporté à Malte, d’où, sur le pyroscaphe postai français le Vatican, avec un passeport piémontais, il est revenu dans le port de Naples, et est allé à Gènes.

«Avec un telle condiate on prétend obtenir des grâces, et par dessus le marche accorder une manifeste protection, pour les principaux agitateurs nationaux, et pourquoi? Parce qu’ils ont été l’instrument des vues des deux Cabinets étrangers!!

«En protégeant ces gens là les deux Puissances ne veulent pas le bien general, mais bien augmenter le nombre des individus au parti de la révolution et qui bouleversent le pays.

«Il y a longtemps qu’on travaille, surtout du cote des individus français, à corrompre par de l’argent la troupe royale.

«Gela est inadmissible et dépasse les bornes de toute tolérance.

«Il l’en a plus de ce qu’il en faut pour que le Gouvernement du Roi ne fasse plus aucune concession; qu’il en advienne ce que pourra.

«Que dire de la calomnieuse invention qui, aux veux du Ministre anglais, a besoin d’un certificat négatif pour n’y prêter aucune confiance, de la prétendue atrocité exercée sur Poerio, lorsqu’il

– 384 –

aurait fallu lui faire une opération chirurgicale au dos par suite de tumeurs causés par lés chaines qu’il portait, et qu’on n’aurait permis que ces chaines lui fussent ôtées pendant l’opération?

«Tout cela est faux, il n’a jamais été question ‘opération quelconque, et si elle eût été nécessaire, on n’aurait jamais refusé ce que le chirurgien eût demandé pour pouvoir opérer.

«De tout cela lord Clarendon a été déjà informe d’autre part.

«Il faut pourtant que ces deux Gouvernements y fassent bien attention, surtout la France, qui, de la manière dont elle a agi, a remué des éléments bien dangereux non seulement chez nous, mais aussi dans la plupart. de l’Italie, sans aucune utilité pour elle. Elle ne doit pas se faire illusion sur les conséquences de l’esprit révolutionnaire qui a été réveillé en France même, où le parti de l’assassinai et de la destruction de tout ordre social se couvre sous les spécieux titres de Marianna et de Socialisme.

«C’est ainsi, monsieur le Comte, que je m’acquitte des ordres reçus après avoir soumis au Roi mon maitre votre dépêche confidentielle à laquelle j’ai l’honneur de répondre, et je profite de cette occasion pour vous renouveler les assurances de ma plus parfaite estime et de ma considération la plus distinguée.

CARAFA.

Questo documento essendo di una importanza capitale, e non tutti i nostri lettori essendo forse al caso di ben comprendere l’idioma francese, ci sembra conveniente di darlo fedelmente tradotto in italiano, aggiungendovi dal canto nostro qualche nota importante.

Con questo chiuderemo la prima parte del presente volume.

– 385 –

Lettera confidenziale del Signor Carata ministro degli affari esteri di 8. M. il Re di Napoli al Signor Conte di Bernstorff Ministro di 8. M. il Re di Prussia a Londra.

«Signor Conte,

«Napoli, 2 Febbraio 1857.

«Ho ricevuto il vostro confidenziale dispaccio del 15 gennaio, con cui voleste informarmi della conversazione, e dei più importanti suoi particolari, avuta con Lord Clarendon e col Signor di Persigny in ordine alla posizione che le due Potenze occidentali ci hanno fatta con uno scopo ben diverso da quello ch’esse hanno creduto poter far valere.

«Il linguaggio del Ministro degli Affari Esteri d’Inghilterra è evidentemente il medesimo da lui tenuto fin dal principio della quistione, sebbene i fatti ne abbiano distrutti i pretesti. Il linguaggio d’altronde dell’Ambasciatore di Francia, avvegnaché in uno spirito di giustizia e di verità, riguardo alla politica seguita dal Re mio Signore, è stato ciò nondimeno assai lunge dal poter convincere che la nostra dignità sarebbe salva e la tranquillità del regno garantita se mai concedessimo ciò che incessantemente ci si domanda.

«Senza ripetervi i motivi che ogni giorno più ci obbligano a rimaner saldi nella linea di condotta che ci siamo tracciata fin dal principio della vertenza con le due Potenze occidentali, mi limiterò a farvi conoscere come lo stato attuale di questo regno giustifichi le nostre previsioni riguardo allo spirito pubblico e agli effetti della pressione, sotto la quale, checché dicasi, sempre ci troviamo.

«Lo scopo della conferenza di Parigi è ben provato non essere mai stato quello di calmare gli spiriti per evitare una rivoluzione, come fu detto, e noi non abbiamo cessato mai, fin dal primo momento, di prevenire che sarebbe avvenuto il contrario, mercé la protezione dichiarata dell’Inghilterra e della Francia a favore dei nostri rivoluzionari d’ogni specie.

«Le conseguenze infatti, non si sono fatte aspettare, sia negli Stati del Continente, sia nella Sicilia, dove uno stato di

– 386 –

commozione rivoluzionaria assai violenta non ha tardato a manifestarsi, lo che ha reso al Governo del Re impossibile di proseguire nella via della clemenza, obbligandolo il più assoluto dovere ad adottare mezzi di rigore e di preveggente fermezza per tutelare l’ordine pubblico e guarentire i pacifici ed onesti sudditi del Re dalla malignità dei perversi.

«Non deve porsi in oblio che l’assassinio e la distruzione sono all’ordine del giorno, e lo scopo al quale si mira è di sconvolgere l’ordine sociale, e anzitutto minare la religione. Dalla visita domiciliare eseguita nell’abitazione del prete Angona, il quale commise un attentato contro la vita dell’Arcivescovo di Acerenza e Matera nel Regno, risultò il sequestro del Protestantesimo di Giacomo Balmes, di cui quell’ecclesiastico faceva la sua lettura prediletta.

«La mano degli assassini tuttavia è diretta e spinta da persone, che godono della piena libertà nel territorio inglese e francese, dove, abusando della ospitalità loro concessa, vi cospirano in tutta sicurezza.

«Certamente se si trovassero negli Stati del Re individui che cospirassero contro la vita della Regina d’Inghilterra o dell’Imperatore dei Francesi, non solamente non lo si permetterebbe, ma se ne informerebbero i governi di quei due Sovrani: è cosa notoria che l’orribile avvenimento dell’8 dicembre era stato pubblicamente preconizzato a Londra, e perfino in qualche stampato francese, prima che fosse commesso l’attentato, si scriveva: «il fu re di Napoli.»

«Se si credè scusare la stampa sconveniente dell’Inghilterra, $er la cattiva ragione che ivi è libera, è imperdonabile in Francia, dove è noto di quale libertà essa goda, e dove tuttavia è manifestamente provocante, Dio sa a quale scopo; ma il cui risoltamento verificato è quello di spingere alla rivolta l’Italia e specialmente questo Regno.

«È un fatto parimente notorio la protezione concessa dai bastimenti che sono nella nostra rada a tutti coloro che vogliono fuggire,, e la vendita che fanno di armi e di munizioni; ogni volta che un nuovo bastimento giunge, l’esaltazione del sedicente liberalismo è immediata

«Quantunque siasi detto che bastimenti inglesi sarebbero qua venuti di quando in quando per la protezione dei loro connazionali, la fregata Malacca trovasi qui fin dal mese di novembre, senza farsi scrupolo di rendere polvere a chicchessia e occupandosi d’incoraggiare i partiti contro il Governa, spacciando notizie dell’arrivo di altri bastimenti.

– 387 –

«Gli agenti delle due Potenze, in parecchi punti delle provincie, invece d’inspirare sentimenti di calma, provocano la più girando esaltazione.

«In Sicilia, da Bentivegna e suoi consorti, si è costantemente gridato per eccitare alla rivolta:

«Che gl’Inglesi erano sbarcati;

«Che gl’Inglesi li proteggevano;

«Che gl’Inglesi li avrebbero difesi.

«Il Governo del Re non ignora le forti somme di danaro che giungono qui dall’Estero.

«Una gran parte di persone dei due paesi cospirano qui palesemente, tradendo cosi l’ospitalità che vien loro concessa, perché si credono guarentiti, come in realtà lo sono, dai loro Governi. Un tal Vincenzo Sproviero calabrese, condannato in contumacia a 25 anni di ferri, per delitti politici, s’imbarcò sul piroscafo inglese il Vanderer, – protetto dagli Ufficiali, – e fu trasportato a Malta; d’onde sul piroscafo postale francese Il Vaticano, – con un passaporto piemontese, – fece ritorno nel porto di Napoli, e andò a Genova.

«Con una tale condotta si pretende ottener grazie, e per sopra sello, concedere una manifesta protezione per i principali agitatori nazionali! e perché? perché furono l’istrumento delle vedute dei due Gabinetti esteri.

«Col proteggere siffatta gente, le due Potenze non vogliono il bene generale, ma bensì accrescere il numero degl’individui al partito della rivoluzione e che sconvolgano il paese.

«É gran tempo che si lavora, massime per parte d’individui francesi, a corrompere col danaro le regie milizie.

«Ciò è inammissibile, e sorpassa i limiti di qualunque tolleranza!

«Ve n’ha più di quello che occorra perché il Governo del Re non faccia più alcuna concessione: ne avvenga quel che

«Che dire della calunniosa invenzione, che agli occhi del Ministro inglese ha d’uopo di un certificato negativo per non prestarvi alcuna fede, della pretesa atrocità esercitata su Poerio, allorché

– 388 –

si sarebbe dovuto fargli una operazione chirurgica al dorso, in seguito di tumori prodottigli dalle catene che portava, e che non si sarebbe permesso che quelle catene gli venissero tolte durante l’operazione?-.

«Tutto questo è falso; non si è mai trattato di operazione di sorta, e se questa fosse stata necessaria, non sarebbesi mai ricusato ciò che il chirurgo avesse domandato per poter operare.

«Di tuttociò lord Clarendon è stato già per altra via informato.

«Fa d’uopo pertanto che questi due Governi stieno bene attenti, e massime la Francia, la quale nel modo come si è comportata ha rimescolato elementi assai pericolosi, non solo presso di noi, ma altresì nella maggior parte d’Italia; senza alcuna utilità per essa, che non deve farsi illusione intorno alle conseguenze dello spirito rivoluzionario che fu ridestato anche in Francia, dove il partito dell’assassinio e della distruzione di ogni ordine sociale si ammanta sotto lo specioso titolo di Marianna e di Socialismo (1).

(1) Nella Gazzette de$ Tribunato di Parigi, leggeasi in quel tempo un sunto della tornata del 18 Agosto 1856 del Tribunale correzionale di Lione chiamato a giudicare 46 individui ascritti a società segrete stabilite in Parigi, Lione, Valenza» Vienna, Macon, Givors. Il Commissario di polizia Sig. Bergeret, facendo la sposizione dei fatti, accennò come già nel mese di giugno dell’anno precedente una vasta congiura si estendesse per tutta la Francia, diretta da una giunta di venti membri, ordinata presso a poco a quel modo stesso che le società delle Saisons o degli Enfant de la terre, e comprendendo tra i suoi addetti i Varaces, i Charbannierz e gli Invisibles. Poco appresso si formò un nuovo comitato Blanqui a Lione donde furono spediti emissarii a Parigi, a Vienna nel Delfinato, a S. Etienne e a Ginevra. Quello che andava a Parigi fu scoperto, codiato dalla polizia e cosi bene spiato, che la cospirazione fu svelata al Governo, e il 7 giugno di quest’anno buon numero di congiurati furono tratti in prigione e sottoposti a processo; di essi 35 furono condannati a varie pene, da 4 mesi fino a 4 anni di prigione. Si è inoltre pubblicato a Parigi una sentenza pronunziata dalla corte imperiale sopra una causa criminale iniziata nel marzo o nell’aprile di quest’anno E non senza meraviglia si seppe cosi d’un nuovo attentato contro la vita dell’Imperatore, pel quale furono condannati a morte in contumacia i nominati Regnier, Caron, Bronsin, Alevoine e Poisson. La provvidenza che veglia sopra i destini della Francia rese vane le insidie di cotesta razza sanguinaria che si pasce di assassinii e che vorrebbe impiantare sulle stragi l’edificio del più bestiale comunismo. Tuttavia ciò che spaventa è il vedere come costoro si beffino della indulgenza con cui sono trattati dai Tribunali

In prova di ciò basti recare qui un fatto pubblicato dai giornali francesi e che mostra quanto debba temersi una cotal genia di mostri. IL Tribunale correzionale di S. Etienne adunavitsi l’8 agosto per giudicare 21 persone accasate d’affigliazione a una società segreta, di detenzione d’armi e munizioni da guerra,

– 389 –

«Ecco, signor Conte, adempiuto agli ordini ricevuti dopo di aver sottoposto al Re, mio Signore, il vostro confidenziale dispaccio al quale ho l’onore di rispondere; e profitto di questa occasione per ripetervi le assicurazioni della mia più perfetta stima e della più distinta considerazione».

«CARAFA» (1)

di propagazione di scritti socialisti e di oltraggio pubblico alla persona dell’Imperatore. Uno degli accusati, appena ventenne, pronunziava nell’atto del suo arresto parole di tanta ferocia che meriterebbero d’essere sepolte nell’oblio, se non servissero a disingannare più apertamente chi ancora persistesse a credere esagerati i nostri avvisi intorno alle società secrete. Egli adunque cosi esclamò: «Ah! il colpo andò fallito! Ma non fallirà poi; c’intendiamo. Quel tale non la scapperà. Non sarò contento finché non avrò bevuto un bicchiere di sangue aristocratico. Gli aristocratici e tutti quelli che comandano sono le sanguisughe del popolo. Duolmi d’essere arrestato prima che il colpo accada. Barbès è il mio idolo. Detesto il cattolicismo. Sono stato battezzato, ma ho rinnegato da un pezzo e rinnego il mio battesimo. Questo eroe del socialismo portava quando fu arrestato due pistole, diciotto palle, sei pezzi di piombo, ed alquante capsule. Venne condannato a 18 mesi di carcere!

(1)

Il Ministro Carafa nel suo Dispaccio Circolare degli 8 Novembre 1856, da noi recato, accenna al Monitore francese del 25 di ottobre di quell’anno; esso non conteneva altro che i dispacci da noi riferiti nella fine della terza nostra dispensa, pag. 175 e seguenti.

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