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PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DE’ MINISTRI DI SUA MAESTÀ’ IL RE DELLE DUE SICILIE

Posted by on Mar 31, 2017

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DE’ MINISTRI DI SUA MAESTÀ’ IL RE DELLE DUE SICILIE

TRADOTTE DAL FRANCESE PECAV. TEODORO SALZILLO Roma 1864

“…..I soldati della armata disciolta, rientrati nei loro focolari, vi portarono l’odio contro i piemontesi, ed il desiderio di vendicarsene. Si ebbe la goffaggine di lasciare insultare i prigionieri napolitani dai camorristi e dalle guardie nazionali; per le vie erano stati fischiati; si erano loro lacerate le divise che indossavano; si avevano preso ardire dì sputarli ancora nel volto.

La guarnigione di Capua, entrando in Napoli, dopo la capitolazione era stata fischiata; ed il partito rivoluzionario aveva applaudito al generale Ferdinando Locascio, che menava pubblico vanto di aver ceduta la piazza di Siracusa, senza aver bruciata una cartuccia, ed anche prima di essere minacciato d’attacco.

I capitolati di Gaeta erano stati cacciati dalle loro case per ordine delle autorità, insultati dagli uffiziali della guardia nazionale, gittati in prigione; e quando ne sortivano, non trovavano lavoro per vivere, perché niun proprietario osava prenderli al suo servizio, per timore di divenir sospetto alle autorità piemontesi.

Quelli che si trascinavano fino alle montagne native, storpiati, mai guariti delle loro ferite, portando sul loro volto abbronzato le tracce delle loro sofferenza, non trovavano un giaciglio negli ospedali, e né tampoco un’elemosina.

Altri erano stati menati a Genova, a Torino, e in Alessandria; e rientrando in famiglia narravano la vita meschina che avevano menata in Piemonte, gl’insulti ricevuti, il nutrimento cattivo, e la brutalità degli uffiziali piemontesi.

Nel 1861 vi era tuttora un numero considerevole di soldati napolitani, che a stento camminavano indeboliti dalla fame, e coverti di cenci, dandosi cosi in spettacolo di sterile pietà, nei luoghi in cui si erano un tempo mostrati brillanti e superbi delle loro divise.

È pur vero che senza contare il numero dei detenuti nelle prigioni militari, (che sono i ingombre), i medesimi pelle prigioni civili sono ascesi talvolta alla cifra di trentamila e più» cosa che non mai si è verificato nel passato, benché si volessero numerare riuniti tutti i prigionieri ordinar! e politici nel corso di un lustro.

Nel Budget del volgente anno si è domandato un aumento di fondi per le prigioni, perché la cifra dei prigionieri in tutta Italia è già montata a trentaduemila e ventitré.

Ma un deputato del parlamento Italiano, prendendo come media proporzionale la metà di duemila e quattrocento prigionieri di Salerno, ha elevato il numero dei detenuti per le sole provincie meridionali a ventitremila (1)

La lentezza dei giudizi vi deve contribuire ancora, perché nella sola provincia di Salerno nel 1862 sopra mille ed ottocento prevenuti, non se ne giudicarono che solo cento.

A proposito di ciò un generale piemontese pubblicò una sua lettera nei giornali, con la quale confessava che le prigioni della provincia di Basilicata rigurgitavano di detenuti, di cui la giustizia stessa non sapeva che fare; la loro iscrizione sul registro dei carcerati, non essendo accompagnato da alcun processo verbale, constatano il motivo dei loro arresti.

E quali guarentigie trovano gli accusati nei magistrati, nel giuri? Niun prigioniera accusato di reato politico può aspettarsi da loro un giudizio imparziale. I vincitori non debbono mai essere chiamati a pronunziare sulla sorte dei vinti, e con più forte e miglior ragione da coloro, che non hanno presa parte alla lotta.

I magistrati di oggi giorno, sortiti dall’urna dittatoriale o da quella ministeriale di Torino, non appena si assidono allo stallo, già pronunziano sulla sorte degli accusati.

I giurì non fanno altro che tener fissi gli occhi sul presidente; il presidente è il Giove che, con un segno di testa, tutto anima e muove. La redazione delle liste dei giurì è non poche volte controllata dalle autorità amministrative, le quali senza pudore si avvalgono di tutti i vantaggi, che la lettera della legge assegna al governo.

La lista dei giuri è formata in ciascun anno da Sindaci nominati dal governo; ma i prefetti hanno facoltà di diminuirla o aumentarla all’epoca della sessione, una commissione amministrativa prende da questa lista un nome di ciascuna serie di Quattrocento iscritti; il prefetto ed il consiglio provinciale, percontando questa nuova lista, possono, perché ne hanno il dritto, cancellare un quarto di tali nomi.

Dopo ciò fatto, dei rimanenti nomi se ne tirano a sorte trenta, fra i quali il pubblico ministero può rifiutarne otto del pari che l’accusato. Da tutte queste radiazioni certamente non può risultarne che un giuri ubbidiente, zete, e per nulla attaccato ai scrupoli nei politici processi. In generale, i giuri sono uomini del partito, scelti arbitrariamente dai prefetti, servi del potere per vantaggiare la propria fortuna…..”

(1) Dalle relazioni date dai giornali si apprende: che la cifra dei prigionieri politici e sospetti è giunta fino a SESSANTA MILA oltre i carcerati per delitti comuni, esclusi pure i settemila che finora sono stati inviati al domicilio coatto. Di questi ultimi infelici si è fatta offerta ai proprietari di fondi, potersene giovare pari ai schiavi. Ohi quanta differenza tra gli esiliati Polacchi e gli esiliati Napolitani…!

Pietro Calà Ulloa (Napoli, 15 febbraio 1801 – Napoli, 21 maggio 1879)

recuperato da Gianni Ciunfrini

 

 

 

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