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Prima di Colombo, in America non c’era il “buon selvaggio”

Posted by on Ott 15, 2019

Prima di Colombo, in America non c’era il “buon selvaggio”

Tanta voglia di celebrare il mito del “buon selvaggio” da parte della sinistra e degli indigenisti. Il Columbus Day è stato celebrato fra le polemiche contro il “genocidio degli indigeni”, mentre al Sinodo per l’Amazzonia passa un’immagine idilliaca delle popolazioni indigene. Ma cos’erano le civiltà americane pre-colombiane. Un libro di Angela Pellicciari ci rinfresca la memoria sull’orrore di quelle civiltà pagane.
– BESTIARIO SINODALE: SPIRITO SANTO E CITTADINANZA ECOLOGICA, di Riccardo Cascioli

Il 12 ottobre, ieri, è stata una tempesta perfetta sulle Americhe: il Columbus Day è avvenuto proprio nel corso del Sinodo per l’Amazzonia.

Il Columbus Day è ormai caratterizzato, da anni, dalla polemica su Cristoforo Colombo, scopritore delle Americhe e considerato dalla sinistra indigenista come “primo genocida”. Mentre in alcune città, fra cui Los Angeles, la sua statua è già stata rimossa, quest’anno, il District of Columbia, quello della capitale Washington, ha annunciato che il giorno dedicato a Colombo, al suo stesso nome originario, verrà sostituito con il “Giorno degli indigeni”. L’idea alla base delle contestazioni è sostanzialmente una sola: gli europei hanno fatto male a scoprire e colonizzare le Americhe. In pratica si viveva meglio prima dell’arrivo dei coloni. Che poi a protestare siano quasi esclusivamente discendenti di europei è un dettaglio curioso e non di poco conto. Contemporaneamente, in Vaticano, il Sinodo per l’Amazzonia, già dal suo Instrumentum Laboris, parte da una visione idilliaca delle popolazioni indigene e pre-colombiane, che vivono in armonia con la natura, dotati di una loro saggezza ancestrale. Una nota stonata e di imbarazzo, in questi ultimi giorni: alcune di queste popolazioni che vivono in armonia con la natura praticano l’infanticidio tradizionalmente. Vittime sono i bambini ritenuti inadatti ad affrontare una vita più esposta agli elementi naturali, come all’epoca degli antichi spartani. Sebbene l’infanticidio sia ora abbastanza raro, è ancora praticato. E proprio in quel passato, così idealizzato dagli attuali indigenisti, era molto più diffuso.

La questione dell’infanticidio apre un piccolo spiraglio di realtà nella fiaba dell’età dell’oro nell’America pre-colombiana. Se è vero che fosse praticato in passato ed oggi sia più raro, la sua quasi estinzione si deve all’apporto di altre culture. Nello specifico: della cultura europea del Brasile, alla sua difesa della vita e al miglioramento che ha apportato nelle condizioni di sopravvivenza di tutti, non solo per i discendenti degli ex coloni. Prima dell’arrivo degli europei nelle Americhe, l’infanticidio, così come il cannibalismo, i sacrifici umani alle divinità pagane e la riduzione in schiavitù, erano fatti quotidiani nelle popolazioni indigene.

Su come si vivesse nell’America prima di Colombo è stato detto, scritto e girato tanto. Il regista “maledetto” (da Hollywood) Mel Gibson ha reso bene l’orrore dei sacrifici umani, su grande schermo e in un film commerciale, Apocalypto. Ma una pellicola è pur sempre un’opera romanzata, si potrebbe obiettare. Il politologo statunitense Rudolph Rummel calcoli demografici alla mano, però, riportò che nell’impero degli Aztechi, nel Messico pre-colombiano, fossero morti 1 milione di sudditi, sacrificati agli dei in grandi feste di sangue. In media ne venivano uccisi 1500 ogni anno. Gli Aztechi non erano affatto l’unico popolo sudamericano a seguire queste pratiche sanguinose. Anche gli Inca nel Perù facevano sacrifici umani a migliaia, 4000 solo in occasione della morte del re Huayana Capac. Ma le cifre sono fredde e non rendono abbastanza l’idea dell’orrore che i Conquistadores spagnoli trovarono una volta sbarcati in America centrale.

Ci aiuta a rivivere il trauma della scoperta di queste civiltà pagane Angela Pellicciari (firma de La Nuova Bussola Quotidiana), nel suo ultimo libro Una storia unica – da Saragozza a Guadalupe (ed. Cantagalli, Siena 2019). «Il soldato Bernal Díaz del Castillo così racconta i primi tempi dell’esplorazione dello Yucatan nel 1517: in un’isoletta “abbiamo trovato due case ben lavorate, davanti ad ogni casa c’erano alcuni gradini da cui si accedeva a degli altari, su quegli altari c’erano idoli di figure malvagie, che erano i loro dèi. in quella notte erano stati sacrificati 5 indios, i cui petti erano stati squarciati, le braccia e le gambe tagliate, le pareti delle case erano piene di sangue”. Poco lontano da lì, altro orrore. Durante una ricognizione nelle vicinanze di Tenochtitlán i soldati si imbattono in “templi in cui erano stati sacrificati uomini e ragazzi, e le pareti e gli altari dei loro idoli erano pieni di sangue, e i cuori offerti agli idoli; hanno anche trovato i coltelli di selce con cui aprono i corpi per estrarne il cuore. Pedro de Alvarado ha detto che tutti quei corpi erano senza braccia e senza gambe, e che gli indios hanno spiegato che li avevano tagliati per mangiarseli; i nostri soldati sono rimasti inorriditi da tanta crudeltà. E smettiamo di parlare di tanto sacrificio, perché da lì in poi in ogni città non abbiamo trovato altro”».

La prima scoperta degli orrori aztechi fu poi corroborata dalla maggior conoscenza delle pratiche religiose tradizionali locali: «L’anno azteco è diviso in 18 mesi di 20 giorni l’uno. Sahagún fa una descrizione dettagliata di come i sacrifici si svolgono a seconda dei mesi: nel primo mese “venivano sacrificati molti bambini”, nel secondo “uccidevano e scuoiavano molti schiavi e prigionieri”, nel terzo “uccidevano molti bambini” e “quelli che si erano vestiti con la pelle dei morti scuoiati il mese precedente, se li toglievano”. Tralasciamo di specificare come si svolgessero le feste religiose nel resto dell’anno ricordando che la classe sacerdotale era numerosissima, che a volte i sacerdoti mangiavano i cuori dei sacrificati e che lasciavano crescere i loro capelli ungendoli con inchiostro e sangue».

Se gli aztechi, così come i maya e gli inca, erano delle civiltà “sofisticate”, anche i popoli più primitivi trovati dagli spagnoli nell’area caraibica, non rispondevano alle caratteristiche del mito del “buon selvaggio”. Tutt’altro. La regina Isabella di Castiglia, che pure aveva dato ordine di non rendere schiavi i popoli indigeni e di trattarli con umanità, ritagliava un’eccezione per i cannibali (che dunque potevano essere imprigionati e resi schiavi). Questo perché… c’erano cannibali. E non erano rari, anzi erano molto diffusi nella futura Venezuela e nelle isole caraibiche.

Ci sarebbe poi molto da dire sull’altra faccia della memoria sul Sud America: la colonizzazione europea, a partire da quella spagnola. Oggi viene ricordata solo come un genocidio delle popolazioni indigene, la sottomissione dei sopravvissuti e l’importazione di altri schiavi dall’Africa occidentale. Si enfatizza un ruolo distruttivo che in gran parte non fu intenzionale (il grosso dei morti venne provocato dalle malattie portate dall’Europa, per le quali i locali non avevano sviluppato difese naturali) e si tende a ingigantire le cifre delle vittime. Si cerca invece di dimenticare che la legge imposta ai coloni spagnoli dai sovrani cattolici, a partire da Isabella di Castiglia, vietava la schiavitù, imponeva una giusta retribuzione agli indigeni che lavoravano, prevedeva la costruzione di ospedali per la loro cura. Lo scopo della colonizzazione era l’evangelizzazione dei popoli locali, non il loro annientamento. Il dibattito sulla colonizzazione delle Americhe portò, nella Spagna del XVI Secolo, all’elaborazione di principi che furono poi alla base del moderno diritto internazionale. Francisco de Vitoria (1492-1546), dall’Università di Salamanca ritenne ingiusta la guerra, anche se ordinata dal Papa o dall’Imperatore, neppure se volta a conseguire lo scopo dell’evangelizzazione di popoli non cristiani «che l’inettitudine non è un buon motivo per privare qualcuno della libertà e del diritto di proprietà, dal momento che ogni uomo è “immagine di Dio per natura”». La guerra viene giustificata unicamente per fermare il massacro dei sacrifici umani, per impedire che innocenti siano condannati a una morte ingiusta. De Vitoria sostiene il diritto al libero commercio, alla libera navigazione, alla colonizzazione di territori disabitati e una volta colonizzati alla loro difesa. Vita, libertà e proprietà incominciano ad essere difesi come i diritti fondamentali dell’uomo, nel vecchio e nel nuovo mondo. 

Stefano Magni

fonte https://lanuovabq.it/it/prima-di-colombo-in-america-non-cera-il-buon-selvaggio

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