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RIVOLUZIONE NAPOLETANA 1799: LUISA SANFELICE, UN’EROINA?… PER CASO?

Posted by on Giu 25, 2017

RIVOLUZIONE NAPOLETANA 1799: LUISA SANFELICE, UN’EROINA?… PER CASO?

Maria Luisa Fortunata de Molina Sanfelice nacque a Napoli il 28 Febbraio 1764 dai Duchi di Agropoli e Lauriano. Il padre Pietro era un Generale dell’esercito borbonico dell’Armata di Carlo III  giunto a Napoli nel 1733 di origine spagnola, la madre, la nobildonna Camilla Salinero. 

A soli 17 anni sposò il cugino Andrea Sanfelice ( il nonno materno di Luisa era fratello della nonna materna di Andrea). Il matrimonio si rivelò immediatamente irrequieto, la coppia era sempre negativamente alla ribalta: “Due ragazzi: di poca testa l’uno e l’altra; lo sposo specialmente; sciocco, fatuo, vanaglorioso, fannullone, spendereccio; con pochi mezzi, essendo egli Cadetto con assegno non largo, e avendo Luisa, figliola di un militare, recata scarsa dote.” (B. Croce: Luisa Sanfelice e la congiura dei Baccher).

Dall’unione nacquero tre figli: Gennaro, Giuseppa, Emmanuela.

I giovani coniugi dopo pochi anni dal matrimonio, celebrato nel 1781, riuscirono a dissipare il cospicuo patrimonio di famiglia; la vita disordinata che conducevano li espose a dissesti finanziari ed a elevati debiti.

Sua Maestà Ferdinando IV nel 1787 fu costretto ad intervenire personalmente su richiesta della madre di lei. Il Re ordinò ai coniugi di andare in campagna a Lauretana nelle terre di famiglia “a metter giudizio e racimolar denaro per pagare i debiti”; fece collocare i tre figli in collegi aristocratici e affidò i loro beni all’amministratore Marchese Tommaso de Rosa.

Ancora nel 1791 la situazione non migliorava; secondo un rescritto Reale: “(…) in niente corretti essendo i coniugi Don Andrea Sanfelice e Donna Maria Luisa De Molino, ma continuato avendo a menare la solita vita rilasciata e scandalosa all’eccesso”.

Il Re esasperato passò allora a provvedimenti più severi; fece internare il marito in un Convento a Nola, e la moglie, nel Conservatorio di Santa Sofia in Montecorvino Rovella, considerati  “luoghi di buon aere e di edificazione”.

Restarono rinchiusi e separati per tre anni nei rispettivi Conventi, fino a quando Don Andrea riuscì a fuggire, rapì la moglie e tornarono a Napoli nella casa di famiglia, il Palazzo Mastelloni “o’ largo a’ carità”.  Il Re chiuse un occhio, e successivamente riammise a Corte Luisa, nonostante non fosse gradita alla Monarchia borbonica.

Ma i guai per Don Andrea non erano ancora finiti; purtroppo nel 1797 ricevette un mandato di cattura dalla Vicaria per debiti; spaventato si diede alla macchia per sfuggire ai creditori ( in seguito, la situazione in parte s’accomodò quando, approfittando opportunamente del nuovo corso politico di caccia agli oppositori e ai “giacobini”, decise di farsi “realista” e rivestì cariche pubbliche ).

Iniziò, per la coppia, un una serie di vicendevoli tradimenti ( le notizie al riguardo sono incerte e prive di riscontri ) uniti alla “scelta” politica di Luisa Sanfelice.

Di certo c’è che Luisa iniziò a frequentare indifferentemente ambienti monarchici e repubblicani, affascinata verosimilmente, dalla mondanità delle feste e dei salotti.

In seguito all’ invasione francese del 1799 e alla costituzione della Repubblica Partenopea, i Borbone tentarono di riappropriarsi del potere attraverso una cospirazione capeggiata da una famiglia di banchieri, i Baker di origine svizzera.

 

LUISA VA DALLA REGINA

 

Nel frattempo Luisa separata dal marito, e ospite della madre Donna Camilla a Napoli, iniziò a frequentare con sempre maggiore insistenza i salotti (e a seguire le alcove) della Capitale.

In uno di questi balli organizzati da Emma Hamilton, ex popolana inglese divenuta moglie dell’Ambasciatore alla Corte dei Borboni, nonché amante dell’Ammiraglio Horatio Nelson, uomo del momento, reduce dalla vittoriosa battaglia di Abukir, in Egitto, dove il 1° Agosto 1798 aveva letteralmente sbaragliato la flotta di Napoleone (su di lui erano riposte le speranze delle teste coronate d’Europa, e in particolare della Regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando di Borbone, desiderosa di vendicarsi dei francesi che avevano decollato la sorella Maria Antonietta), che Luisa chiese e ottenne (tramite intercessione della Hamilton) di intervenire presso la Regina perché le venisse restituito parte del suo patrimonio.

L’udienza ottenuta dalla Regina nella Reggia di Caserta, fu un completo disastro perché la nobildonna aveva avuto la sventatezza di accettare un invito nel salotto di Eleonora Fonseca Pimentel, la scrittrice rivoluzionaria (ex bibliotecaria della Regina) che, assieme a Vincenzo Cuoco e altri personaggi “illuminati” era stata il cuore della breve Rivoluzione giacobina del 1799.

Una Rivoluzione resa possibile dall’arrivo delle truppe francesi guidate dal Generale Jean Etienne Vachier “Championnet”.

Dopo gravi perdite civili (la Capitale fu eroicamente difesa dai “lazzari”), le truppe entrarono a Napoli il 22 Gennaio 1799.

Nel salotto della Pimentel Fonseca la Sanfelice conobbe e frequentò l’avvocato giacobino Ferdinando Ferri cancelliere all’Aquila e allievo del giurista Luigi Serio.

Di Vincenzo Cuoco, ex amministratore del marito (come molti affermavano) ne era già l’amante.  Ad entrambi comunque rubò il cuore.

Anche tra i sostenitori del ritorno dei Borbone ci fu chi perse la testa per lei; uno fra tutti, Gerardo  Baker il figlio del ricco banchiere che, insieme agli altri fratelli,  finanziava l’opposizione che tramava per far cadere la Repubblica.

 

MOSSA SBAGLIATA

Sabato 13 Aprile 1799 il “Monitore Napoletano” giornale ufficiale della Repubblica annunciava:

“Una nostra egregia cittadina Luisa Molina Sanfelice svelò Venerdì sera al Governo la cospirazione di pochi non più scellerati che mentecatti (…)”.

Con tali parole la Pimentel riferì la scoperta della congiura “dei Baker” e ne attribuì il merito a Luisa ed a Vincenzo Cuoco, che fu fatto passare per un amico di famiglia.

E’ certo comunque che fu Cuoco, appresa la notizia, ad aiutare la donna a stendere la denuncia della congiura.

Di preciso, su come si svolsero i fatti, non si sa; la ricostruzione più plausibile vede Gerardo Baker informare Luisa di una imminente rivolta “pro monarchia” e consegnarle un Salvacondotto da esibire in caso di necessità.

Luisa temendo per l’incolumità di Ferdinando Ferri preferì passargli il Salvacondotto; il Ferri a sua volta, informò il Cuoco della congiura che denunciò tutto al Comitato di Salute Pubblica e al Governo. Gerardo Baker insieme al padre e ai fratelli venne arrestato.

Del tutto involontariamente, la Sanfelice, assurse al ruolo di “Madre della Patria”; ma era sconvolta e in preda ai sensi di colpa per via di quegli arresti, si sentì responsabile per aver messo in pericolo di vita Gerardo Baker.

Una copia del “Monitore Napoletano” giunse a Palermo.

Ferdinando IV apprese dalla notizia riportata dalla Pimentel che Luisa era diventata: “Salvatrice della Repubblica e Madre della Patria.”

Benedetto Croce riferì in “Luisa Sanfelice e la congiura dei Baccher”: “(…) mentre a Napoli il suo nome era circondato da serti di lodi fiorite, c’era a Palermo un altro che, in stile ben diverso, lo metteva in iscritto in sua lettera: Re Ferdinando che, nell’inviare al Cardinale Ruffo la lista delle persone da far arrestare e giudicare al suo ritorno di pochi ma scelti Ministri sicuri, includeva una certa Luisa Molines Sanfelice ed un tal Vincenzo Cuoco, che scoprirono la “controrivoluzione” dei realisti, alla testa della quale erano i Baccher padre e figlio.”

 

IL 13 GIUGNO

La Repubblica aveva i giorni contati; iniziarono fucilazioni e massacri indiscriminati.  L’ultimo giorno di vita della Repubblica, dopo sommario processo, la Commissione Rivoluzionaria condannava a morte i fratelli Baker.

Giovedì 13 Giugno nella piazza di Castel Nuovo vennero fucilati Gennaro e Gerardo Baker, Ferdinando e Giovan Battista La Rossa e Natale D’Angelo.

A sfregio e vendetta, proprio mentre l’Armata Sanfedista, comandata dal Cardinale Fabrizio Ruffo si apprestava a prendere il controllo della Capitale.

Benedetto Croce scrisse.  “(…) la vendetta e la crudeltà presero la maschera di una necessaria misura di rigore.”

Il 14 Giugno iniziò la resa dei conti; i rivoluzionari fino ad allora asserragliati nei castelli, furono stanati prima di riuscire ad imbarcarsi per la Francia. I Tribunali Speciali si misero all’opera, alla fine furono comminate circa 40.000 condanne; tra i quali i più altisonanti nomi dell’aristocrazia e della cultura.

A Eleonora Pimentel Fonseca fu negato il diritto di morire decapitata, e per spregio fu impiccata in Piazza Mercato, con il popolo che la derideva: “A signora Donna Lionora, che cantava ‘ncoppa ‘o triato, ora abballa ‘n miezzo o mercato”, alludendo al fatto che penzolava dalla forca.

Luisa terrorizzata, visitò la figlia in collegio e le confidò di “sentirsi perduta”.

La Sanfelice nel tentativo di salvarsi la vita, si rifugiò in una soffitta della propria casa in Palazzo Mastelloni, ma fu scoperta ed arrestata.

Benedetto Croce scrisse: “Meglio se, in quel primo furore, le avessero tolto la vita!”

Infatti, una volta riconquistato il Trono Ferdinando IV si mostrò severissimo nei confronti di Luisa cui non perdonò mai di aver “collaborato” con i repubblicani.

La figlia di un Generale del Regio Esercito e moglie di un nobile del Regno coinvolta in gravi reati ai danni del Re.

Inoltre grazie alla sua incauta “soffiata” aveva tradito i Baker consegnandoli alla sommaria giustizia dei giacobini.

 

VERSO L’EPILOGO

Il processo iniziò a Settembre del 1799 dopo che quasi tutti i repubblicani erano stati messi a morte. La Giunta di Stato era composta da Ministri scelti che compresero si trattava di rappresaglia per la congiura fallita.

Sapevano che non esisteva una legge che: “condanni a morte chi scopre congiure a quel Governo sotto il quale si trova; e che lei non s’era macchiata di lesa maestà o di ribellione verso il Re che non poteva sapere se veniva giovato o no, dalla controrivoluzione ch’ella scoprì”.

I difensori avv. Vanvitelli e avv. Moles anziché dimostrare l’estraneità della Sanfelice nella congiura, preferirono trattare la causa sul piano del Diritto.

Ma ormai il Re aveva preso la sua decisione, da Palermo fece sapere che: “(…) vuole e comanda che la giustizia faccia il suo libero corso..”

Vistasi perduta Luisa dichiarò di essere incinta per sospendere la sentenza capitale. I Primari inviati a verificare lo stato di gravidanza, la confermarono pietosamente.

Don Antonio Villari uno dei più autorevoli medici napoletani, fu motteggiato dal Giudice Speciale per questo; al che il medico rispose: “Sentite Consigliere, se c’è una persona che merita la forca, siete voi. Pure, vedete, se voi foste condannato a morte e diceste di essere gravido, io l’attesterei!”

Seguirono per la Sanfelice alcuni mesi di pace nel Carcere della Vicaria e tutti pensavano che la condanna a morte fosse stata evitata.

Nel “Rapporto al cittadino Carnot” Francesco Lomonaco, inseriva il nome di Luisa Sanfelice tra quelli a cui era stata commutata la pena; da condanna a morte a reclusione nella fossa di Favignana.

Invece, inaspettatamente, il Re chiese che Luisa fosse trasportata a Palermo per accertare quello che tutti sapevano: la gravidanza era inesistente. Si era giunti al Luglio del 1800.

Nello stesso mese la Principessa ereditaria Maria Clementina diede alla luce un maschietto, e al posto delle tradizionali tre grazie, chiese che venisse fatta salva la vita a Luisa Sanfelice;

il Colletta così riferisce l’episodio: “(…) la voce fu rotta dal piglio austero del Re, che mirandola biecamente, depose, o quasi per furia gettò l’infante sulle coltri materne, e senza dir motto, uscì dalla stanza, né per molti giorni vi ritornò.”

Luisa fu ricondotta a Napoli perché avesse luogo la condanna.

La “donna di poca testa” vittima del “fato di bella giovane donna, rea di amore o per amore” come scrisse Benedetto Croce, fu condotta in Piazza Mercato a Napoli l’11 Settembre 1800 perché fosse eseguita la sentenza.

La condanna a morte era stata tenacemente voluta dal Re, ma anche dal padre dei fratelli Baker che incolpava la Sanfelice di averli traditi.

A metà mattina Luisa fu issata sul palco dove l’attendeva il boia, il ceppo e la scure. Luisa si rivolse a Padre Puoti che l’accompagnava e gli chiese: “Si soffre molto, Padre, ad avere la testa tagliata?” A questa domanda nessuno poteva risponderle; è documentato però, che la sua fu una morte crudelissima.

Spaventato da un colpo di fucile sparato per caso da un soldato, il boia fece cadere la scure e le fracassò la spalla; e dopo aver tentato per altre due volte, non era ancora riuscito ad ucciderla.

La folla a questa agghiacciante scena iniziò a rumoreggiare. Secondo il racconto di Dumas, Luisa, urlando a squarciagola, si alzò in piedi e cercò di fuggire lontano dal boia, che la raggiunse, e la finì sgozzandola con un pugnale e ponendo fine alla sua vita a soli 36 anni.

Agli altri personaggi coinvolti nella congiura andò decisamente meglio: Vincenzo Cuoco e Fernando Ferri, scamparono al boia prendendo la via dell’esilio da Napoli.

Fernando Ferri, più tardi, dimenticò il suo passato repubblicano e rientrò in città, diventando addirittura Ministro sotto il Governo di Ferdinando II delle Due Sicilie.

Lucia Di Rubbio

 

Riprenderemo gli articoli a Settembre. Buone vacanze.

 

 

 

 

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