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S.M. Ferdinando II, Re delle Due Sicilie

Posted by on Mag 22, 2019

S.M. Ferdinando II, Re delle Due Sicilie

Primogenito maschio di Re Francesco I, Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, nacque a Palermo il 12 gennaio 1810 e morì a Caserta il 22 maggio 1859, ancora giovane. Un anno dopo la sua morte iniziò l’invasione del Regno, e nessuno potrà mai asserire se, con lui ancora sul Trono, le cose avrebbero potuto avere un corso differente, perché la storia, come è noto, non si fa con “se”; ma è anche vero che è legittimo e sensato ritenere – conoscendo l’uomo e il sovrano – che Garibaldi e soci avrebbero avuto sicuramente vita più difficile.

Portò dapprima il titolo di Duca di Noto, poi, alla morte del nonno nel 1825, divenuto principe ereditario, assunse quello di Duca di Calabria. Fu educato da ecclesiastici e militari, e ciò spiega la sua profonda fede e la sua passione militare. Era ancora bambino quando gli inglesi pensarono di farlo Re di Sicilia (secondo i loro piani sarebbe stato un ragazzo facilmente manovrabile), mentre durante i moti del 1820 i carbonari volevano affidargli la corona di Lombardia; in seguito, vi fu anche chi pensò di metterlo a capo del futuro Risorgimento. Ma Ferdinando non si fece mai allettare da tali avventurosi proponimenti, sia per il sincero attaccamento alla sua terra ed al suo popolo, sia perché consapevole che i suoi diritti di Re poggiavano sulla legittimità dinastica, e la legittimità dinastica è uguale e sacra per ogni sovrano legittimo, che va pertanto rispettato e difeso nei suoi diritti regali. Per essere più chiari, Ferdinando rispettò sempre, oltre il settimo comandamento, il motto evangelico di non fare ad altri quello che non vuoi sia fatto a te: per questo altri poterono regnare tranquilli, per poi impossessarsi di ciò che era di Ferdinando e dei suoi legittimi eredi.

Nel 1827, dopo la partenza delle forze austriache dal Regno, fu nominato dal padre Capitano Generale dell’esercito.

L’8 novembre 1830, con la benedizione del padre morente, salì ancor giovanissimo sul Trono, emanando un proclama nel quale prometteva di risanare quelle piaghe che ancora affliggevano il Regno. Tutta la sua vita fu spesa per mantenere tale promessa. Subito sostituì alcuni ministri, diminuì notevolmente le spese di Corte, concesse una larga amnistia ai detenuti politici e agli esuli, richiamò in servizio gli ufficiali murattiani sospesi dai moti del 1820, e non punì aspramente alcuni congiurati che nei primi anni del suo regno avevano attentato alla sua vita. Ma tale regale generosità non gli fece mai perdere di vista i suoi doveri di sovrano cattolico, e si schierò apertamente contro le riforme liberali della sorella Maria Cristina in Spagna, appoggiando di contro le posizioni carliste.

Nel 1832 sposò la Principessa Maria Cristina di Savoia, quarta figlia di Vittorio Emanuele I, dalla quale avrà l’erede, il futuro Francesco II; donna di eccezionale carità e spirito religioso, non ebbe vita facile a Napoli per ragioni di salute, ma sopportò tutto con grande rassegnazione cristiana. Le sue virtù erano tali da farla non solo amare da tutti i sudditi che la consideravano già in vita una santa, ma da farla ascrivere, da parte della stessa Chiesa Cattolica, nel numero dei Beati. Morì agli inizi del 1836, quindici giorni dopo il parto, confortata dai soccorsi della religione. Il 26 dicembre dello stesso anno sposò l’Arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo, dalla quale ebbe nove figli, fra cui Alfonso Maria, Capo della Real Casa dopo la morte senza eredi di Francesco II nel 1894, e varie figlie, che andarono in moglie a sovrani europei.

Gli eventi del Quarantotto

Come è noto, dopo i fallimenti dei moti carbonari del 1820-’21 e del 1830-’31, in Italia iniziò ad operare la “Giovine Italia”, fondata da Giuseppe Mazzini, che subito condusse una serie di tentativi di sovvertire l’ordine costituito. Fra questi, va ricordato quello dei fratelli Bandiera, i quali tentarono uno sbarco (con venti uomini in tutto) contro il pacifico e legittimo Regno delle Due Sicilie, nella speranza che le popolazioni li seguissero e cacciassero i Borbone. Fecero tragica morte. Come reazione all’estremismo mazziniano, il partito moderato risorgimentale trovò come valida alternativa la proposta confederalista avanzata nell’opera – edita la prima volta nel 1843 – “Il primato morale e civile degli Italiani” di Vincenzo Gioberti, ove l’autore, dopo una bella e coinvolgente esaltazione del primato mondiale della civiltà e della cultura italiane – primato dovuto anzitutto e soprattutto al fatto di ospitare la Chiesa Cattolica da sempre – proponeva come soluzione alla Questione Italiana la creazione di una confederazione degli Stati legittimi (che mantenevano quindi i propri sovrani) con a capo il Pontefice Romano.

La proposta, come è noto, ebbe grande successo, in quanto prevedeva il mantenimento della civiltà cattolica e tradizionale da un lato e l’ottenimento di una forma di unità confederativa dall’altro, accontentando, qualora realmente e correttamente applicata, tutte le esigenze del tempo. Il neoguelfismo giobertiano ebbe ancor maggior successo dopo l’elezione nel 1846 al Trono di Pietro di una Papa favorevole al progetto, Pio IX, il quale, con le sue riforme, divenne il simbolo vivente (suo malgrado) del Risorgimento italiano in questa sua prima fase.

Dinanzi alle sempre più spinte concessioni politiche che Pio IX faceva a Roma, Ferdinando si mostrava sempre scettico, anche se il progetto giobertiano, come progetto in sé, non lo vedeva contrario di principio: anche Ferdinando amava sinceramente l’Italia. Il fatto era che ormai egli aveva quasi già venti anni di Regno alle spalle, ed aveva imparato, anche in merito a ciò che era accaduto al nonno, a diffidare dei liberali e dei rivoluzionari (e forse in cuor suo diffidava anche delle sincerità delle intenzioni di qualche altro sovrano italiano…). Ma poi iniziò il 12 gennaio 1848 una rivolta autonomista in Sicilia.erdinando, innervosito dal fatto che gli altri facevano le riforme e a lui poi toccavano le grane, volle fare un atto di coraggio e di sfida: lui che fino a quel momento era rimasto estraneo al generale movimento riformista inaugurato da Pio IX, scavalcò tutti gli altri sovrani italiani e concesse la costituzione d’un colpo solo, mettendo fra l’altro in imbarazzo il Papa, il Granduca di Toscana, i Duchi di Parma e Modena e Carlo Alberto a Torino, i quali, dopo questa mossa, furono costretti, uno dopo l’altro, concedere anch’essi la costituzione.

A questo punto era chiaro che l’equilibrio e l’ordine stabiliti a Vienna nel 1815 erano venuti meno; inoltre una rivoluzione era scoppiata anche a Vienna, e Metternich era uscito di scena; approfittando di ciò, i milanesi il 18 marzo erano insorti cacciando gli austriaci e chiedendo a tutti i sovrani italiani di combattere insieme contro gli Asburgo per l’indipendenza italiana. Per altro, dopo varie esitazioni, Carlo Alberto era effettivamente entrato con il suo esercito in Lombardia e marciava contro il “Quadrilatero” austriaco. Insomma, era giunto il momento di mettere in pratica il piano giobertiano.

Pio IX era pronto, ed inviò delle truppe non per attaccare ma a difesa dello Stato Pontificio, ed anche il Granduca di Toscana inviò i suoi uomini. Ferdinando, dinanzi ad una vera ed effettiva unità degli italiani per l’indipendenza non si tirò indietro, ed inviò l’esercito a combattere. è il momento magico della storia d’Italia! Tutti uniti per l’indipendenza, secondo però gli obiettivi del neoguelfismo, vale a dire un’Italia confederale e cattolica, e pertanto monarchica e legittimista. Il problema però è che non tutti la pensavano in tal maniera… Anzitutto i democratici, che ovunque, e specie a Firenze, Roma e Napoli miravano al progetto mazziniano di sovversione repubblicana dell’ordine tradizionale; e poi Carlo Alberto, che in maniera ogni giorno più evidente conduceva la guerra isolatamente ed evidenziando le sue reali intenzioni, che non erano certo quelle neoguelfe, bensì più semplicemente quelle di realizzare l’antico sogno di Casa Savoia, l’annessione della Lombardia e se possibile del Veneto.

A questo punto Ferdinando, fiutato il vento, cambiò nettamente atteggiamento (nel frattempo, anche Pio IX ritirava le sue truppe, sia perché oramai era evidente che a Roma si preparava il colpo di stato mazziniano, sia perché da Vienna giungevano minacce di scisma qualora il Papa non avesse smesso di fare guerra all’Impero cattolico, e Pio IX, per quanto amasse l’Italia, era anzitutto il Pontefice di tutti i cattolici del mondo prima che il sovrano di uno Stato italico): mediante un colpo di forza, prima ritirò la costituzione, onde evitare che il governo gli sfuggisse definitivamente di mano e finisse in quelle mazziniane (come stava accadendo a Roma e Firenze), pericolo effettivo che varie rivoluzioni locali nelle provincie meridionali del Regno stavano chiaramente evidenziando; poi ritirò i suoi soldati dal fronte, visto che farli morire per dare la Lombardia a Carlo Alberto (e non per fare la Confederazione Italiana) non aveva alcun senso; infine riconquistò manu militari la Sicilia, ponendo fine ad ogni disordine e velleità rivoluzionaria e sovversiva, e dimostrandosi uomo di carattere come pochi l’Italia aveva conosciuto. Uomo di carattere ma anche generoso: perdonò i condannati a morte per ribellione dopo i fatti del ’48, e tale generosità fu ripagata da parte rivoluzionaria con l’attentato mortale (miracolosamente fallito) che dovette subire da Agesilao Milano (un ufficiale calabrese) nel 1856: fu l’unica condanna a morte che il Re non volle amnistiare, proprio per l’ingratitudine fanatica dimostrata in tale occasione. Anche in politica estera si dimostrò sempre un sovrano energico con idee chiare, il cui unico obiettivo erano gli interessi del suo popolo, dinanzi ai quali era capace di dire no anche all’Austria e alla Gran Bretagna. Ad esempio, negli Anni Trenta, ancor giovane sovrano, tenne testa al Palmerston per la nota vicenda degli zolfi siciliani. Era successo che nel 1816 il Governo britannico si era fatto concedere da Ferdinando I il monopolio dello sfruttamento dello zolfo siciliano per pochi soldi, senza che il Regno ci guadagnasse sopra. A Ferdinando II ciò non andava giù; inoltre, egli aveva abolito la tassa sul macinato (per non gravare sul popolo), e quindi aveva bisogno di soldi. Così decise di affidare il monopolio a una società francese che pagava il doppio dell’Inghilterra. Parlmerston mandò subito una flotta militare davanti al Golfo di Napoli, minacciando senza ritegno di bombardare la città. Ferdinando II mostrò il suo carattere, tenne duro, preparando flotta ed esercito alla guerra. Il tutto si risolse con l’intervento di Luigi Filippo Re dei Francesi: il Re dovette rimborsare sia gli inglesi che i francesi (perché il monopolio rimase agli inglesi, che però mai dimenticarono l’onta subita) il presunto danno arrecato [Oltre alla vicenda degli zolfi, che fece infuriare non poco il Palmerston, occorre sapere che (tutto il mondo è paese!) una nipote dello statista inglese aveva sposato il fratello del Re Carlo di Borbone, e il Palmerston aveva preteso da Ferdinando che la ammettesse a Corte col titolo di principessa reale. Il problema però era che la moglie inglese non era esattamente donna di ottimi costumi, era cioè una nota avventuriera. Ferdinando non accondiscese alla richiesta, suscitando ulteriormente l’odio del Palmerston, che si riteneva umiliato personalmente per l’affronto ricevuto. Cfr. a riguardo de’ Sivo, Alianello, Acton, ecc.].

Rispose negativamente anche all’offerta di Francesco Giuseppe nel 1851 di una lega degli Stati italiani, né accettò le pressioni prima di Luigi Filippo poi di Napoleone III di cambiare metodo di governo.

Ben diversamente si comportò invece con la Chiesa. Ebbe sempre filiale devozione, ed in particolare modo diede eccellente e generosa ospitalità a Pio IX durante i due anni di esilio da Roma a causa degli eventi del ’48 e della Repubblica Romana; ma non concesse mai nulla di più di quanto prevedesse il Concordato in vigore, ed anzi invitò i gesuiti de “La Civiltà Cattolica” a lasciare il Regno.Gli ultimi anni della sua vita furono in parte contristati dalla consapevolezza che a Torino si stava preparando qualcosa di pericoloso, con l’appoggio della Gran Bretagna di Palmerston e delle forze internazionali protestantiche e massoniche, e ancora nel 1857 dovette subire la tragica spedizione del Pisacane contro il suo Regno. Ma la morte lo colse ancor giovane proprio alla vigilia di quegli eventi che condussero alla caduta del Regno, quando cioè più che mai sarebbero state necessarie la sua energia, la sua lungimiranza e l’esperienza che sempre dimostrò durante il suo importante e fecondo governo.

Un regno di progresso civile e materiale

Ferdinando II fu sicuramente il Re di Napoli più amato dai suoi sudditi, ed è per tal ragione ovviamente che a tutt’oggi risulta essere il sovrano più calunniato della storia, perché la storia fu scritta da coloro che portarono via il Regno a suo figlio, e lo portarono via tramite un’invasione a tradimento di uno Stato pacifico ed alleato, legittimo e benvoluto dai propri sudditi. Pertanto è chiaro che un tale atto poteva essere giustificato solo con l’accusa da parte dei vincitori di indegnità di governo verso la famiglia dei Borbone delle Due Sicilie. Insomma, per fornire una parvenza di giustificazione storica all’assalto piratesco del pacifico, alleato, legittimo e sette volte secolare Regno delle Due Sicilie, occorreva infangare la memoria dei detentori di quel Trono, ed in particolare la memoria del suo migliore e più recente esponente (essendo Francesco II appena salito al Trono e troppo giovane ancora per essere credibilmente calunniato).

Nella successiva voce dedicata a Francesco II e ai fatti storici che condussero alla caduta del Regno, approfondiremo gli eventi specifici della politica cavouriana, della spedizione dei Mille e della eroica resistenza borbonica. Per il momento, analizziamo la politica riformatrice svolta da Ferdinando II, in quanto in tal maniera si potrà ben capire perché fu il sovrano più amato dal suo popolo. I suoi calunniatori, vale a dire coloro che tramarono in maniera diretta o indiretta per la caduta del Regno, presentarono il suo governo come “la negazione di Dio”, e da allora tutti i libri di storia scolastici e non solo continuano a ripetere stancamente le stesse calunnie indottrinate. Noi invece lasciamo la parola ad alcuni fra i più noti storici del Risorgimento antichi e recenti non supinamente allineati a tali menzogne per descrivere la vera personalità e il reale operato del sovrano.

Lo storico Angelantonio Spagnoletti [A. SPAGNOLETTI, Storia del Regno delle Due Sicilie, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 80-90.] descrive la fama che circondava Ferdinando II fra i suoi sudditi. Sicuramente fu il più amato fra i Re Borbone di Napoli; egli sempre si preoccupò di alleviare le sofferenze delle sue popolazioni quando venivano colpite da terremoti, epidemie, andando di persona sul luogo, e spesso era presente in Sicilia per risolvere direttamente gli immancabili problemi con le difficili popolazioni locali (perfino Luigi Blanch riconosce l’attaccamento delle popolazioni al sovrano e Niccolò Tommaseo lo descrive come il migliore dei Principi italiani). Nei suoi viaggi viveva con i sudditi, faceva da testimone ai lori matrimoni e battesimi, lasciava loro denaro, ecc. Insomma, amava presentarsi come il Padre del suo popolo, che per lui era la sua famiglia. Commenta Spagnoletti (p. 88): «La calunnia sembrava accompagnare costantemente la vita e l’operato di Ferdinando II; ciò nonostante quella che gli ambienti filoborbonici costruivano era l’immagine di un sovrano virtuoso e leale, che aveva mantenuto in sé il valore, la clemenza e la religione dei suoi avi, aveva evitato il coinvolgimento del regno nei moti del 1830-’31 e, con quello, pericolose interferenze straniere, aveva difeso l’onore nazionale nella questione degli zolfi e, per questo, aveva dalla sua l’intero popolo napoletano che era quasi “immedesimato” nei pensieri del suo re».

Scrive Carlo Alianello [C. ALIANELLO, La conquista del Sud. Il Risorgimento nell’Italia meridionale (1972), Rusconi, Milano 1998, pp. 121-126.] riguardo le riforme e le innovazioni di Ferdinando II. «Volle strade, volle porti, volle bonifiche, ospizi e banche; poco sopportava una borghesia saccente e rapace, la cosiddetta borghesia dotta, i “galantuomini” [E questa fu la sua grande “colpa”. Fu un Re, ma non un “re borghese”, come andava di moda a quei tempi. Fu un Re al servizio dei bisogni del suo popolo, e non degli interessi di quella classe “intellettualoide” che aveva aperto il Regno all’invasione del nemico francese e aveva di poi amoreggiato con l’usurpatore murattiano.] . Cercò piuttosto di creare una borghesia che mirasse al sodo. Non fu fortunato per la ragione che nel Napoletano altra borghesia non esisteva che quella delle professioni e degli studi, “pennaruli e pagliette”, quelli che avevano cacciato suo nonno da Napoli, legati a fil doppio allo straniero per sole ragioni ideologiche che il Re, come re, non capiva; e l’avida schiera dei proprietari terrieri». Dice F. Durelli [F. DURELLI, Cenno storico di Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie, Stamperia Reale, Napoli 1859.] che «In quattro anni soltanto, dal 1850 al 1854, furono reintegrati nei demani comunali più di 108.950 moggia di terreni usurpati e divisi in sorte ai bisognosi agricoltori»; continua Alianello: «Riporto dall’Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie del 1854, dopo una lunga e particolareggiata lista d’istituti di credito e beneficenza, la seguente nota: “Si ha, oltre i luoghi pii ecc. ecc., pei domini continentali un totale di 761 di stabilimenti diversi di beneficenza, oltre 1131 monti frumentarii, ed oltre de’ monti pecuniari, delle casse agrarie e di prestanza e degli asili infantili” (…) Per sua volontà si badò a costruire strade, che dalle 1505, quante se ne assommavano nel 1828, erano divenute nel 1855 la bellezza di 4587 miglia. E non straduzze da poco..». Erano l’Amalfitana, la Sorrentina, la Frentana, che fu interrotta per l’arrivo dei “liberatori”; l’hanno finita solo cento anni dopo. Poi la costiera adriatica, la Sora-Roma, l’Appulo-sannitica, che collegava Abruzzi e Capitanata, l’Aquilonia, che collegava Tirreno e Adriatico, la Sannita, da Campobasso a Termoli. Continua Durelli: «In breve dal ’52 al ’56, che sono solo quattro anni, furono costruite 76 strade nuove, di conto regio, provinciale e comunale. Moltissimi i ponti, e fra tutti il ponte sul Garigliano, sospeso a catene di ferro, che fu il primo di questa foggia in Italia, e tra i primissimi in Europa. Eppoi le bonifiche, l’inalveazione del fiume Pelino, la colmata dei pantani del lago di Salpi, la bonifica delle paludi campane (…) In 30 anni, la marina a vela raddoppiata, la marina a vapore creata dal nulla, che nel 1855 contava 472 navi, per 108.543 tonnellate, più 6 piroscafi a ruota, 6913 tonnellate di barchi diversi. E le scuole, i collegi nautici, le industrie».

Scrive Marta Petrusewicz, fornendo un quadro del suo regno, «(…) la popolazione in crescita, la tassazione ed il sistema doganale meglio regolati, ed il governo impegnato in un intervento intelligente di costruzione delle ferrovie e strade, manifatture reali e prigioni moderne» [M. PETRUSEWICZ, Come il Meridione divenne una questione, Rubbettino, Catanzaro 1998, p. 37.].

Per capire ancora meglio il personaggio, leggiamo quanto scrive lo zuavo pontificio (parla quindi per esperienza diretta) irlandese P.K. O’Clery, nella sua celebre opera sul Risorgimento [P.K. O’ CLERY, La Rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione, (I ed. 1875, 1892), Ed. Ares, Milano 2000, pp. 95-96.] . Appena salito al Trono, Ferdinando II concesse l’amnistia generale e così si regolava nelle sue azioni: «Per introdurre criteri di economia nelle finanze, Ferdinando ridusse di molto il proprio appannaggio, abolì diversi uffici inutili e alcune delle prerogative reali. Semplificò le procedure nelle Corti di giustizia, sostituì l’impopolare viceré di Sicilia, nominando suo fratello a tale carica e, allorquando viaggiava per il Regno, proibiva alle municipalità di farvi preparativi costosi per la sua venuta, accettando l’ospitalità di qualche residente, o prendendo dimora nella locanda di un villaggio o in un convento francescano. Non c’è da stupirsi che fosse un sovrano popolare». Da ricordare v’è anche che egli aderì nel 1838 agli accordi franco-britannici contro la tratta dei negri e sempre nello stesso anno stabilì pene severissime contro i duelli (sia la detenzione che la decadenza dagli ordini cavallereschi), anche per i padrini. Concesse l’aministia per i detenuti per ragioni politiche in Sicilia e grande autonomia giuridica ed amministativa all’isola; seguì inoltre personalmente la lotta alla feudalità. L’economia fu in continua crescita [“malgrado le oscillazioni, la politica economica borbonica fu di una continuità notevole”. PETRUSEWICZ, op. cit., p. 72.], e grande sviluppo ebbe la marina mercantile [CONIGLIO, op. cit., pp. 340-342.].

Prendiamo ad esempio anche quanto scrive Angela Pellicciari [A. PELLICCIARI, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Ed. Piemme, Casal Monferrato 2000, pp. 181-182.] . Nel Regno delle Due Sicilie, le spese previste sono sistematicamente superiori alle effettive; non si pagano tasse di successione, tasse sugli atti delle società per azioni e su quelli degli istituti di credito; il debito pubblico è minimo, l’imposta fondiaria lievissima, la Sicilia è esente dalla leva militare, dall’imposta sul sale e dal monopolio del tabacco; inoltre Ferdinando, come si trova scritto nella rivista “L’Armonia”, ha «stabilito nei maggiori centri della popolazione monti frumentari per somministrare grano agli agricoltori da seminare e per mantenersi colle loro famiglie, tagliando così in pari tempo le gambe all’usura».Tutto ciò è confermato anche da Giuseppe Paladino nella sua voce dedicata a Ferdinando II nell’Enciclopedia Italiana (Treccani), ove scrive: «Diede impulso a costruzioni di pubblica utilità. La prima ferrovia inaugurata in Italia fu la Napoli-Portici (1839). Ad essa seguì nel regno l’altro tronco Napoli-Capua. Sotto F. II fu ampliata la rete telegrafica a sistema elettrico (…) La marineria mercantile a vapore ricevette grande incremento; nel 1848 aveva il terzo posto per numero e armamento di navi. Una serie di trattati di commercio con l’Inghilterra, con la Francia, con la Sardegna inaugurarono un sistema illuminato di moderato protezionismo (1841-1845). Le finanze erano amministrate in modo mirabile: il contribuente napoletano pagava meno degli altri italiani…»

fonte https://www.ordinecostantiniano.it/sm-ferdinando-ii-re-delle-due-sicilie/

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