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Salento e Risorgimento, i personaggi. Si comincia con Liborio Romano

Posted by on Apr 16, 2018

Salento e Risorgimento, i personaggi. Si comincia con Liborio Romano

Nella sua storia millenaria il Salento ha conosciuto personaggi di elevata cultura : artisti, letterati, pittori, scultori, cantanti, compositori, scienziati, filosofi, matematici … (vedi il Parco Letterario); invero all’inizio del Risorgimento questa terra ha fornito ottimi nemici del sud; un cenno a favore di Sigismondo Castromediano, ma altri personaggi del sud furono fra i più utili alla storia dei Savoia : Liborio Romano (che attuò la prima trattativa stato-camorra della storia), Giuseppe Massari (con la commissione d’inchiesta sul brigantaggio aprì le porte alla Legge Pica), Giuseppe Pisanelli (ministro della giustizia che unificò le leggi piemontesi a quelle del meridione), Nicolò Mignona (fu il tesoriere della spedizione dei Mille di Garibaldi), e tanti altri … come Antonietta de Pace, …  e una trentina di famiglie salentine al servizio di Garibaldi, Cavour e Mazzini.

 

Il Salento annovera un certo numero di massoni meridionali appunto che coordinavano le loggie di vari paesi dell’intero Salento e contro il regno dei Borbone. In seguito alla Costituzione del 1848 (allorchè fu indetta l’elezione del Parlamento per il quale vi parteciparono ben undici deputati salentini quasi tutti aristocratici locali –  G. Leante, G. Pisanelli, L. Scarambone, V. Cepolla, F. Giannotta ed altri); all’apertura del Parlamento (15 maggio), nel Salento si accentuarono i contrasti col re Borbone. L’opposizione all’assolutismo comprendeva i moti cospirativi dei vecchi Liberali, ma anche le reazioni dei Radicali, dei Carbonari e dei Mazziniani della “Giovine Italia”, che nell’insieme divennero un vero movimento popolare e che sfociò in una battaglia alla quale vi parteciparono molti patrioti salentini. Ne conseguì una repressione nei mesi successivi da parte del Regno delle Due Sicilie che eseguì trentasei condanne nel Salento. I mazziniani della “Giovine Italia” erano il gallipolino Epaminonda Valentino che morì in carcere nel 1849 e la cognata Antonietta De Pace, il mazziniano Giuseppe Libertini e i radicali Sigismondo Castromediano e Bonaventura Mazzarella del Circolo Patriottico Provinciale. Il Castromediano fu condannato a trent’anni, l’arciprete di San Pietro Vernotico, D. Nicola Valzani, a ventiquattro anni, e invece il Mazzarella e il Pisanelli fuggirono in esilio per evitare l’arresto.

La LEGGE PICA era la legge che causò nel meridione circa un milione di morti. Certo sorprende che tutt’oggi docenti universitari, politici studenti e molti salentini applaudano alle note del Risorgimento ma ignorino la realtà storica dei BUSTI dei loro conterranei illuminati nelle piazze comunali. 

 

maestro di Doppiezza e Trasformismo che usò anche la camorra per aiutare Garibaldi, liberale e massone Liborio Romano, fu l’ultimo ministro di polizia del Re Francesco II di Borbone nel governo costituzionale del 1860, ma agente di Cavour, e poi primo ministro degli Interni di Garibaldi, dopo il suo ingresso a Napoli.

L’ex ministro borbonico, fu isolato anche nel Parlamento italiano, vista la sua scarsa abilità politica e diplomatica. Fu incapace di architettare anche i suoi stessi gloriosi piani di grandezza;

 

La giovinezza e l’attività anti-borbonica

Figlio primogenito di una nobile e antica famiglia, studiò dapprima a Lecce e poi, giovanissimo, prese la laurea in giurisprudenza a Napoli e ottenne subito la cattedra di Diritto Civile e Commerciale all’Università partenopea.

S’impegnò presto nella politica, frequentando ambienti carbonari e abbracciò quindi gli ideali del Risorgimento italiano.

Nel 1820 prese parte ai moti, per cui venne destituito dall’insegnamento, imprigionato per un breve tempo e poi inviato prima al confino e poi in esilio all’estero.

Nel 1848 tornò a Napoli e partecipò agli avvenimenti che condussero alla concessione della costituzione da parte del re Ferdinando II di Borbone.

Ma il 15 maggio 1848, dopo il sangue versato a Napoli nei moti liberali che avevano risentito di una certa improvvisazione, Romano fu nuovamente imprigionato. Egli chiese quindi al ministro di polizia la commutazione della pena della detenzione in quella dell’esilio. La sua richiesta venne accolta. Romano dovette perciò risiedere in Francia, a (Montpellier e poi a Parigi), dal 4 febbraio 1852 al 25 giugno 1854.

cfr : http://it.wikipedia.org/wiki/Liborio_Romano

Dopo le frequentazioni nelle sette anti-borboniche e liberali, Romano era stato imprigionato e poi esiliato in Francia. Nonostante queste sue idee, e mentre i Mille di Garibaldi avanzavano verso Napoli, il 14 luglio 1860 Liborio Romano venne nominato dal re Francesco II prefetto di Polizia e ministro dell’interno. Quasi a sorpresa e forse per questi motivi, Francesco II decise di nominarlo ministro degli Interni, proprio  per schierare un oppositore dalla propria parte mentre il Regno di Napoli si avviava allo sfacelo. Infatti in quella data Garibaldi era già sbarcato a Marsala l’11 maggio, e conquistava molti territori del regno delle Due Sicilie.

Questa nomina era forse un segnale di riformazione che re Francesco II tentava di dare in extremis e nel tentativo di schierare dalla propria parte quel Liborio Romano, che anni prima nella sua attività forense aveva difeso interessi vicini alla corte britannica contro i Borbone. In quelle vicende il Liborio costrinse il sovrano Borbone alla risoluzione con un compromesso oneroso.

Quindi in questa delicata fase Romano nei mesi successivi il 14 luglio 1860 iniziò a prendere contatti segreti con Camillo Benso conte di Cavour e con Giuseppe Garibaldi per favorire il passaggio del Mezzogiorno dai Borbone ai Savoia.

E fu pertanto Cavour, non Francesco II, a cooptare clientele e gruppi dominanti, e ad inserire personaggi estremi come il Liborio nelle strutture governative del regno delle Due Sicilie. Al Liborio quindi, nelle sue stesse terre natìe, il compito di trasformare la politica da borbonica in savoiarda.

 

Si legge dai documenti che mentre Garibaldi avanzava, Cavour in una lettera dava atto al ministro borbonico «del suo illuminato e forte patriottismo» e della sua «devozione alla causa» nazionale italiana.

 

di Giovanni Greco

 

Nico Perrone, L’inventore del trasformismo. Liborio Romano, strumento di Cavour per la conquista di Napoli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009 ISBN 978-88-498-2496-4

Fu lo stesso Liborio Romano a spingere il re Francesco II di Borbone a lasciare Napoli alla volta di Gaeta senza opporre resistenza, per evitare sommosse e perdite di vite umane. E il giorno dopo, il 7 settembre 1860, andò lui stesso a ricevere Giuseppe Garibaldi, che giungeva a Napoli quasi senza scorta, direttamente in treno, senza che vi fosse alcun tipo di contrasto e accolto da festeggiamenti di piazza [G. Di Fiore, op. cit., p. 405, nota 160].

il 7 settembre 1860, Liborio Romano ha il suo unico momento di gloria, entrando a Napoli, seduto in carrozza alla destra di Garibaldi che entrava trionfalmente nella capitale del Regno delle Due Sicilie. Egli stesso, nelle sue memorie, così dirà per le cronache dell’epoca: «E Garibaldi, spettacolo sublime ed indescrivibile, entrava in Napoli, solo inerme e senza alcun sospetto; tranquillo come se tornasse a casa sua, modesto come se nulla avesse fatto per giungervi! ».

Cavour in segreto inviò clandestinamente al Liborio un carico di fucili, per conquistare Napoli; armi che saranno prese da quei camorristi che il ministro aveva assunto. Infine per conquistare Napoli, il Liborio preferì un’occupazione pacifica e l’ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli (7 settembre 1860) con la camorra in funzione di ordine pubblico. Questa operazione fu poi descritta dallo stesso Romano nelle sue memorie.

Risale anche a questo periodo il suo coinvolgimento con la camorra napoletana, «in virtù della sua organizzazione e del suo potere di controllo territoriale» [P. Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale, Donzelli, Milano 1993, pag. 40.]. Il Romano, infatti, nonostante il suo ruolo, assegnò al capo indiscusso della camorra di allora, tal Salvatore De Crescenzo [G. Di Fiore, “Controstoria dell’Unità d’Italia”, BUR saggi, Milano 2007, pag. 126.] detto “Tore ‘e Crescienzo” e ai suoi affiliati, il compito del mantenimento dell’ordine pubblico nella capitale e di favorire l’ingresso in città di Garibaldi [G. Di Fiore, op. cit., p. 127], invitandoli ad entrare nella “Guardia cittadina”, in cambio dell’amnistia incondizionata, di uno stipendio governativo e un “ruolo” pubblicamente riconosciuto [G. Di Fiore, op. cit., pp. 126, 127, 129, 130, 406]. Eventi che portarono il De Crescenzo ad essere considerato come “il più potente dei camorristi” [Università degli Studi di Napoli, Biblioteca digitale sulla Camorra].

Così scriveva lo storico anti-risorgimentale Giacinto De Sivo (1814-1867),: «La rivoltura del ’60 si dirà de’ Camorristi, perché da questi goduta. […] Il Comitato d’Ordine comandò s’abbattessero i Commissariati di polizia; e die’ anzi prescritte le ore da durare il disordine. Camorristi e baldracche con coltelli, stochi, pistole e fucili correan le vie gridando Italia, Vittorio e Garibaldi […]. Seguitavanli monelli e paltonieri, per buscar qualcosa, gridando: Mora la polizia! Assalgono i Commissariati» [G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Berisio, Napoli 1964, vol. II, pp. 98-101].

Secondo la testimonianza di Giuseppe Buttà, cappellano militare dell’esercito borbonico, «Dopo il Plebiscito, le violenze de’ camorristi e dei garibaldini non ebbero più limiti: la gente onesta e pacifica non era più sicura né delle sue sostanze, né della vita, né dell’ordine […]. I camorristi padroni di ogni cosa viaggiavano gratis sulle ferrovie allora dello Stato, recando la corruzione e lo spavento nei paesi vicini.» [G. Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, G. De Angelis e figlio, Napoli 1882, pp. 327-328].

Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò a Napoli protetto dai camorristi armati: «Ogni qualunque casa dové sventolare bandiera a tre colori: comprava la paura, chi più realista più n’aveva. (….) camorristi maschi e femmine con coltelli luccicanti gridanti a piena gola sforzavano ogni persona a gridar con essi Italia una: né si contentavano d’un viva solo, con gli stili ai volti volevano le repliche: e Una, e Una, e Una ripetevano con gli indici in alto!» [Voll. Berisio Editore, Napoli 1964, libro XXI, pp. 99-100. 2 Ivi, libro XXV, p.199].
Paolo Macry, docente di Storia Contemporanea all’Università Federico II, ne “Unità a Mezzogiorno” sostiene che : «[Liborio Romano] decide di affidarsi ai gruppi violenti della camorra. (…) La conseguenza del patto scandaloso è che Napoli eviterà i temuti saccheggi plebei, ma soprattutto che i poliziotti con la coccarda tricolore e il cuore camorrista verranno orientati in senso liberale e antiborbonico [p. 64]. (…) La città è nelle mani di Michele ‘o Chiazziere, dello Schiavetto, di Tore ‘e Crescenzo e degli altri capi della criminalità. Ma, paradosso dopo paradosso, la nuova polizia non è soltanto camorrista, è anche patriottica, amica dei liberali e dei democratici e nemica dei borbonici» [Paolo Macry, Unità a Mezzogiorno. Come l’ Italia ha messo insieme i pezzi, Il Mulino, Bologna 2012.] [p. 70].

Liborio Romano aiutò la nascita lo sviluppo e l’esistenza della camorra, la usò e arruolò nella polizia inserendola nella pubblica amministrazione. La trasformò da organizzazione criminale ai margini della società (già storicamente perseguita dalla polizia borbonica) in una classe dirigente atta a governare la politica e l’economia dell’ormai decaduto Regno delle due Sicilie.

Giacinto de’ Sivo così descriveva la camorra e gli eventi dal 1847 al 1861 : «Uscita la Costituzione il ministero la prima cosa pose Camorristi in uffizio. Lo stesso dì 27 giugno fece prefetto di polizia D. Liborio Romano (….) tenuto patrono e cima di Cammorristi …» [Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861].

Gilberto Oneto altro storico, afferma che Garibaldi pagò i camorristi napoletani con somme ingenti di denaro ed assegnazione di pensioni : «Nei giorni immediatamente successivi [all’entrata a Napoli, n.d.r.] il generale assegna alla camorra un contribuito di 75 mila ducati (circa 17 milioni di euro) che preleva dalle casse del Regno delle Due Sicilie (…) subito dopo Garibaldi attribuisce una pensione vitalizia di 12 ducati mensili (2.700 euro) a Marianna De Crescenzo (…), Antonietta Pace, Carmela Faucitano, Costanza Leipnecher, e Pasqualina Proto, e cioè l’intero vertice femminile della camorra” (Libero, 24.11.2010).

Rocco Chinnici magistrato italiano e una delle vittime di Cosa Nostra, nella sua relazione sulla mafia tenuta nell’incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 3 luglio 1978 così si era espresso: “Riprendendo il filo del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia”, e più oltre aggiunge: “La mafia … nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia”.»

fonte

http://belsalento.wixsite.com/belsalento/liborio-romano

 

 

 

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