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STORIA DELLA FORMULA LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO

Posted by on Mar 23, 2020

STORIA DELLA FORMULA LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO

Questa formola ormai famosa di libera Chiesa in libero Stato nasceva in Francia il 22 di ottobre dell’anno 1800. Carlo di Montalembert mandavate in Italia da La Roche en Breny, villaggio di duemila cinquecento abitanti, nello spartimento Cóte-d’Or. Il conte di Cavour l’11 di ottobre del 1860 avea detto nella Camera dei deputati: «lo credo che la soluzione della questione Romana debba essere prodotta dalla convinzione che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica, essere la libertà altamente favorevole allo sviluppo del vero sentimento religioso. Io porto ferma opinione, che questa verità trionferà fra poco. Noi l’abbiamo già vista riconoscere anche dai più appassionati sostenitori delle idee cattoliche: noi abbiam veduto un illustre scrittore in un lucido intervallo dimostrare all’Europa con un libro che ha menato gran rumore, che la libertà era stata molto utile al ridestamento dello spirito religioso (1)».

Il conte di Montalembert veniva assicurato che il conte di Cavour parlando dell’illustre scrittore aveva inteso di alludere a lui, epperò gli scriveva una lettera sotto la data citata di La Roche en Breny 22 ottobre 1860 (2). In questa lettera il Montalembert diceva: «Tutte le libertà civili e politiche che costituiscono il reggime normale d’una società incivilita, ben lungi dal nuocere alla Chiesa, aiutano i suoi progressi e la sua gloria. Essa vi trova bensì rivalità, ma anche diritti; lotte, ma anche armi, e quelle che le convengono per eccellenza, la parola, l’associazione, la carità. Ma la libertà non conviene alla Chiesa, che sotto una principale condizione, cioè che essa stessa goda della libertà. Parlo qui in mio nome, senza missione, senz’autorità, appoggiato solamente su di un’esperienza già lunga e singolarmente rischiarata dallo stato della Francia dopo dieci anni. Ma dico senza esitare, la Chiesa libera in seno di uno Stato libero, ecco il mio ideale».

Con queste parole la famosa formola veniva alla luce. Non è il conte di Cavour che l’inventasse come sempre si dice e generalmente si crede, ma egli invece la rubava al conte di Montalembert (1).

(1) Atti uff. della Cam. dei dep. anno 1860, N. 153, pag. 594, col. 2.

(2) Vedi più innanzi la traduzione italiana di questa lettera.

(1) Il conte di Montalembert recitava più tardi due discorsi nel Congresso dei Cattolici che i i-uno a Matines, nel Belgio, dal 18 al 22 di agosto del 1863, e i discorsi avevano per tema la Chiesa libera nello Stato libero. Il Montalembert dichiarava di avere imparato dal Belgio «une formule deja célèbre: l’eglise libre dans l’etat libre, et qui pour nous avoir ete derobée et mise en circulation par un gran coupable, n’en reste pas moins le symbole de nos convictions et de nos esperances». Vedi Correspondant del 25 di agosto 1803.

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Olfatto il 27 di marzo 1861, quando i deputati in Torino dichiaravano Roma capitale d’Italia, il conte di Cavour così favellava: Rimane a persuadere il Pontefice che la Chiesa può essere indipendente perdendo il potere temporale. Ma qui mi pare, che quando noi ci presentiamo al Sommo Pontefice e gli diciamo: Santo Padre, il potere temporale per voi non è più garanzia d’indipendenza, rinunziate ad esso e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesta da tre secoli a tutte le grandi Potenze cattoliche: di questa libertà voi avete cercato strapparne alcune porzioni per mezzo di concordati, con cui voi, o Santo Padre, eravate costretto a concedere in compenso dei privilegi, anzi peggio che dei privilegi, a concedere l’uso delle armi spirituali alle potenze temporali che vi accordavano un po’ di libertà; ebbene quello che voi non avete mai potuto ottenere da quelle potenze che si vantavano di essere i vostri alleati, i vostri figli devoti, noi veniamo ad offrir velo in tutta la sua pienezza; noi siamo pronti a proclamare nell’Italia questo gran principio: Libera Chiesa in libero Stato (Bene) (2)».

È vero, il conte Cavour prometteva libertà alla Chiesa condizionatamente, se il Papa Abbandonasse il potere temporale, e volea stringere con Pio IX un contratto do ut des, uno di que’ contratti che già Satana proponeva nel deserto a nostro Signor Gesù Cristo. Tuttavia bisogna avvertire che il conte di Cavour arrecava il suo sistema, e quello de’ suoi amici come pegno che le sue proposte erano sincere. Continuiamo a trascrivere dalla stessa tornata del 87 di marzo 1861: «Che queste nostre proposte sieno sincere non può essere messo in dubbio. Io non parlo delle persone: tuttavia io potrei ricordare a quelli fra i miei colleghi che faceano parte degli altri parlamenti, io potrei ricordare che fin dall’anno 1850, pochi giorni dopo essere stato assunto a membro del Consiglio della Corona, io francamente proclamava questo principio, quando respingeva la proposta d’incamerare i beni del Clero e di renderlo salariato e dipendente dallo Stato. lo ricorderò a sostegno della sincerità delle nostre proposte, che esse sono conformi a tutto il nostro sistema. Noi crediamo che si debba introdurre il sistema della libertà in tutte le par«i della società religiosa… e civile e quindi come conseguenza necessaria di quest’ordine di cose, noi crediamo necessario all’armonia dell’edilizio che vogliamo innalzare, che il principio di libertà sia applicato ai rapporti della Chiesa e dello Stato. (Bene!) (3)».

Nell’aprile dello stesso anno il conte di Montalembert scriveva una seconda lettera al conte di Cavour (4) e dicevagli: «Annunziate che giunto a Roma voi proclamerete questo grande principio: La Chiesa libera in libero Stato, e così mi fate l’onore inaspettato di adoperare la formola onde mi sono servito scrivendovi, è qualche mese, e con questa compendiate quello che voi promettete al mondo cattolico ed al Papato, invece della loro capitale profanata e del loro patrimonio conquistato».

Atti uff. della Cam. Anno 1861, N. 43, pag. 156, col. 1°

Atti uff. della Cam. loc. cit.

La ristampiamo più innanzi.

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E il conte di Montalembert proseguiva: «Voi ci dite: abbiate confidenza in me. Io vi rispondo: no. Voi vi vantate di ottenere tardi o tosto il concorso dell’opinione dominante presso i fedeli; ed io vi dichiaro che non lo avrete giammai».

A que’ di noi abbiamo pubblicato il seguente articolo sugli Italianissimi che guarentiscono l’indipendenza spirituale del Papa.

Il conte di Cavour avea detto il 25 di marzo 1861: «Noi dobbiamo andare a Roma senza che l’autorità civile estenda il suo potere all’ordine spiritate».

E prometteva al Papa e al Cattolicismo parecchie guarentigie, garanzie potenti nette condizioni stesse delle popolazioni taitiani, e garanzie potentissime «nei principii di libertà iscritti in modo formale net nostro Statuto».

Coerentemente a queste promesse il deputato BonCompagni propose che la Camera dichiarasse Roma per capitale, dopo avere però assicurata la dignità, il decoro e l’indipendenza del Pontefice.

Il deputato Ricciardi propose semplicemente che la Camera affermasse innanzi al mondo questo solenne diritto la sede del Parlamento e del Governo italiano dover essere in Roma».

Il deputato di Greco (badate che nome quando si tratta di dare una guarentigia al mondo cattolico!) il deputato di Greco ha compiuto la proposta del Ricciardi, aggiungendo che la Camera guarentiva la podestà spirituale del Pontefice.

Se un deputato, che si chiama di Greco, insieme con una Camera come la nostra guarentiscono la podestà spirituale del Papa, può il mondo cattolico temere ancora elio il Papa non resti libero?

Oh buon Dio a quai terapici avete riservato! E possiamo noi ridere quando trattati d’un fatto cosi enorme, qual è quello di togliere anche Roma al Papa, sinché egli debba dire fra poco col Divin Maestro: «Le volpi hanno le loro tane, e gli uccelli dall’aria i loro nidi; ma il Vicario di Gesù Cristo non ha dove posare la testa?»

E possiamo dall’altra parte esaminare seriamente una guarentigia offerta al Capo del Cattolicismo ed al mondo cattolico da coloro che inimicano il Papa, che l’offendono in Parlamento e fuori, che deridono la sua parola, che conquistano te sue città?

Tra il serio ed il bernesco, ridendo e piangendo, noi dobbiamo scrivere questo articolo.

E dapprima vuoisi avvertire che i deputati, offerendo una guarentigia del potere spirituale del Papa, indirettamente confessano che sono giusti i timori de’ cattolici sui pericoli che corre il medesimo.

Di poi chi offre la guarentigia, e in che cosa la guarentigia consiste? Offrono la guarentigia coloro che hanno violato il Concordato a Torino, e distratto un Concordato a Napoli; coloro che hanno esiliato Monsignor Frausoni e Monsignor Marongiu, imprigionato il Cardinale Corsi, il Cardinale De-Angelis, il Vescovo di Piacenza a d’Avattino, e processato tanti altri Vescovi; coloro che hanno negato a Pio IX il tributo che gli dovevano in forza di un contratto, e che dopo di aver promesso solennemente d’impedire un’invasione delle Marche e dell’Umbria hanno invaso l’Umbria e le Marche!

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La podestà temporale del Pontefice sarà dunque guarentita da un conte di Cavour, che ha guarentito cosi bene il Re di Napoli dai Garibaldini! Sarà guarentita da un BonCompagni, che si è comportato cosi lealmente col Granduca di Toscana! Sarà guarentita da un Pepoli, che si mostrò a Bologna suddito cosi fedele verso il propria Sovrano! Sarà guarentita da un Liborio Romano, che die sì potenti guarentigie a Francesco II!

Giuseppe Ferrari, che ognuno sa che cosa pensi del Cattolicismo, guarentirà al. mondo cattolico la podestà spirituale del Papa! La guarentirà il signor Macchi, antico scrittore della Nazione, e grande amico di Mazzini! La guarentirà Angioto Brofferio, che i suoi Tempi dimostrano quanto sia pio!

Uno di coloro che debbono guarentire la podestà spirituale del Papa è il deputato Ricciardi, che scrisse le Memorie autografe d’un ribelle (Parigi, 1857), dove professa grande antipatia contro il Cattoticismo (pag. 64), e ingenito abbonimento per quanto putisce di preti (pag. 96}.

Un altro, è il celebre Paternostro, divenuto bey, e famoso per le sue supplicazioni al Re di Napoli, che poi ha trattato così bene in Sicilia!

Un terzo, è Amedeo Melegari, un quarto Gallenga, un quinto Nino Bixio, un sesto Giuseppe Garibaldi, tutti nomi che dicono eloquentemente quanto sarà sicura la podestà spirituale del Papa, guarentita da costoro, e come il mondo cattolico potrà riposarsi tranquillamente su questa guarentigia!

Coloro che vogliono guarentire oggidì la podestà spirituale del Papa, guarentirono nel 1847 e 48 la sua podestà temporale. Camillo Cavour proclamava i suoi diritti a Ferrara, Don-Compagni gridava contro le prepotenze di chi tentava di togliere a Pio IX le sue città, Farini levavasi contro l’indegno calunnia che si volessero togliere le Legazioni al papa; e un nostro ministro dell’interno il 1° agosto del 1848 protestava che, diminuito il potere temporale del Pontefice, si «distruggerebbe la sua indipendenza politica con grave danno della libertà ecclesiastica».

Chi non ricorda come gli amnistiati giurassero sulla croce d’oro di Pio IX di volerlo difendere fino all’ultimo sangue, e dicessero con Filippo De-Boni: «Gli Italiani debbono concedere, se fa di mestieri, la vita per onorare di non domabile difesa la costanza di Pio, le ragioni del suo Principato?»

A che cosa riuscisse la guarentigia accordata da costoro atla podestà temporale del Papa, ognuno sei vede oggidì. E varrà di più la guarentigia che promettono ora al mondo cattolico della spirituale podestà del Romano Pontefice? Non abbiamo qualche ragione di dubitarne?

Ma vien fuori il conte di Cavour, e dice che questa guarentigia i dee essere inscritta in modo formale nel nostro Statuto, dee far parte integrante del patto fondamentale del nuovo regno d’Italia». Ebbene veggiamo come si osservino le guarentigie scritte negli Statuti, e ci serva d’esempio il patto fondamentale dell’antico regno di Sardegna.

Lo statuto portava inscritto che «la religione cattolica apostolica e romana era la sola religione dello Stato», ed abbiam visto come fosse trattata questa religione. Portava che gli altri culti erano semplicemente tollerati e vedemmo sorgere tempii valdesi a Torino ed a Genova, e dominare tra noi la propaganda protestante.

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Portava che tutte le proprietà erano inviolabili senza alcuna eccezione, e fu violata la proprietà della Chiesa, de’ conventi e de’ monasteri. Portava: «la libertà individuate è guarentita» e centinaia di preti vennero arrestati quantunque innocenti. Portava: «II domicilio è inviolabile». E furono fatte visite domiciliari a Vescovi, a preti, a frati, e perfino a rispettabilissime matrone. Portava: «La stampa sarà libera», e sequestri, processi, condanne furono il pane quotidiano dei giornali conservatori. Portava: «E riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente». E i conventi e i monasteri furono conquistati e disperse le monache ed i religiosi.

Da questa rapida rassegna risulta che il mondo cattolico non ha guari ragione di riporre la menoma confidenza in ciò che potesse scriversi nel patto fondamentale del nuovo regno d’Italia. Tutti sanno come il conte di Cavour osservi i patti: tutti sanno come egli approvi ed abbracci misure estralegati, tutti sanno come egli abbia inaugurato un nuovo diritto pubblico, che non ha nulla di comune col diritto antico.

Sicché gli italianissimi pensino ad un altro mezzo, e lascino in disparte la guarentigia che vogliono dare della podestà spirituale del Papa, la quale è ridicola e per le persone che vogliono darla, e pel modo con cui si vuoi dare. Essi non si fidano delle guarentigie che accordano! Principi, e che può dare il Papa stesso, e pretendono che il mondo cattolico riponga confidenza nelle loro proprie assicurazioni?

Questo nostro articolo ci procacciava una lettera d’un deputato, lettera che qui ristampiamo coi commenti pubblicati allora:

II deputato Ricciardi ci ha scritto una lettera, nella quale dichiara che «se Pio IX fosse mai per consentire a rimaner contento alla podestà spirituale, o non si avrebbe nel Parlamento difensore più caldo di me».

Veggiamo l’uomo che ora si offre a caldo difensore del Papa! L’onorevole Ricciardi dice nella sua lettera che noi abbiamo omesso molte citazioni delle sue opere, ed è vero. Ne aggiungeremo perciò alcune in quest’articolo.

«Lode ai Persiani ed ai Peruviani adoratori del ministro del maggior pianeta (il sole). Gli è questo, a mio senno, il solo culto che tenga del ragionevole» (Ricciardi, Memorie d’un ribelle, pag. 201). Il caldo difensore degli adoratori del sole si offre a caldo difensore del Papa!

«Nessun libro mai mi parve più sciocco e più tristo insieme di quel della Bibbia» (Ricciardi, /oc. di. , pag. 362). E chi giudica a questo modo la parola di Dio vuoi essere il caldo difensore del Papa!

Più di tutte m’andava a sangue la dottrina di Baboeuf siccome quella che fondasi sugli eterni dettami della giustizia e della ragione» (Ricciardi, loc. cit., pag, 138). Il panegirista di Baboeuf si offre a caldo difensore del Papa!

Oltre alle Memorie d’un ribelle, il Ricciardi ha scritto una Storta d’Italia dal 1850 ai 1900, nella quale, conforme a’ suoi desiderii, profetizza ciò che dee avvenire, alla maniera de’ profeti considera il futuro come se fosse presente.

In questa storia, a pag. 40, vuoi bensì che la libertà religiosa sia piena, «ma con la condizione che il Papa ed il Papato sieno esclusi per sempre da ogni provincia italiana». Oh che caldo difensore!

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E poi a pagina 56 ci dice che cosa diverrà la Basilica di San Pietro quando il Papa non avrà più caldo difensore del dep. Ricciardi. Leggete:

«L’aspetto di S. Pietro era non poco mutato, e facendoci dal peristilio diremo lo statue di Costantino e Carlomagno (flagelli entrambi della misera Italia) essere state atterrate. Nello entrare il gran tempio non più ti offendeva la vista degli avelli papali, a mano a mano sorgenti, che l’ira del popolo ne aveva rotta la pietra e data ai venti le ceneri. Le cappelle erano state nudate d’ogni arredo chiesastico, e sull’altare maggiore, in cambio della croce sorgeva l’insegna dei nostri padri, alla quale’ erano state aggiunte in sull’alto le seguenti parole in lettere cubitali: In hoc signor si vince. Il pulpito era stato cangiato in tribuna, e tutto il tempio spirava un non so che di severo, contrario affatto a quel tanto di molle, e quasi diremo teatrale, che i i sensi e l’immaginazione alleta nelle chiese cattoliche. Gli ori e gli argenti, nè del solo San Pietro, ma d’ogni tempio di Roma e d’Italia, erano stati convertiti in i moneta, da sovvenire ai bisogni della guerra, e gli altri metalli, quello della statua di S. Pietro fra i primi, in proiettili ed armi. In luogo sì degno, qual era la Basilica Vaticana, purgata d’ogni levitica peste, adunavasi la prima Assemblea Nazionale Italiana» (Storia d’Italia, pag. 56).

Premesse queste poche citazioni, che si potrebbero prolungare, ecco la lettera che il Ricciardi ci scrisse:

Torino, al 28 marzo del 1861.

Reverendissimo Signore,

Ella mi fa l’alto onore di annoverarmi fra gli italianissimi del Parlamento italiano, che hanno l’uffizio di guarentire l’indipendenza spirituale del Papa, e nella sua ironia cita due luoghi delle mie Memorie autografi d’un ribelle, in cui mi dichiaro avverso al Cattolicismo e abborrente da tutto che pute di superstizioni e di preti. E sta bene; ma le dirò che altri luoghi rinvengonsi nel volume da lei citato, in cui io difendo l’assoluta libertà di coscienza e predico con parole ferventi la tolleranza delle altrui opinioni superstiziose. Il perché, se Pio IX fosse mai per consentire a rimanere contento alla potestà spirituale, e’ non si avrebbe nel Parlamento difensore più caldo di me, di me che non per altro gli fui e sono tuttora nemico, che per esser ei stato ed esser tuttora acerbo nemico dell’indipendenza, dell’unità nazionale e della libertà dell’Italia.

Nella fidanza ch’ella sia tanto leale da accogliere questo mio richiamo, la prego di gradire i miei complimenti.

G. RICCIARDI.

Non tardarono i fatti a dar ragione al conte di Montalembert, ed a tutti coloro i quali ridevano della formola libera Chiesa in libero Stato, in quella stessa Camera dove il 27 di marzo 1861 il conte di Cavour l’avea proclamata, il 46 aprile dello stesso anno 1861 il dep. Petruccelli della Gattinà diceva, rispondendo a coloro i quali volevano che Vittorio Emanuele II si dichiarasse Re d’Italia per la grazia di Dio: «se voi intendete il Dio del cardinale Antonelli, il Dio di Pio IX, io vi prego, o signori, di ricordarvi che questo non può essere il Dio di Vittorio Emanuele (1)». E tre anni dopo, nella stessa Camera il deputato Bellazzi, invocando le vendette ministeriali contro i vescovi ed i sacerdoti, avvertiva:

«Il Governo dirà che fu fatto in alcuni casi, dirà per esempio che agì contro cinque vescovi, ventidue parroci, tre vicarii, tre guardiani di cappuccini, quattro arcipreti, due predicatori, due direttori spirituali, venti o trenta semplici preti (2)». Ma questo non bastava al Bellazzi, e’ volea nuovi processi e nuove condanne contro la Casta sacerdotale, contro l’opera tenebrosa dell’Episcopato. E questi discorsi de due deputati, dicono bellamente i fratti della formola libera Chiesa in libero Stato dal 1861 al 1864.

Il Senato del Regno proclamò esso pure la formola libera Chiesa in libero Stato nella tornata del 9 di aprile 1861, in occasione d’un interpellanza dej senatore Vacca sulle cose di Roma. Il Vacca diceva allora «le vere glorie, la vere grandezze del papato» e ricordava «l’esempio di un gran papa, il quale colla potenza inerme dell’idea disarmò un feroce condottiero di orde barbaricbe, Leone I»; ricordava «un altro gran papa che si fece promotore della famosa lega Lombarda, che suggellò la pace di Costanza, Alessandro III»; ricordava «quella solenne figura d’Ildebrando che diede il nome al suo secolo». Ma non voleva che il papa continuasse ad essere re, come era stato appunto, quando quelle grandi cose operava, e supplicava Pio IX cosi: «smettete Santo Padre, la podestà temporale, questo inutile fardello, riconciliatevi coll’Italia». Intanto il Vacca proponeva di i restituire pienezza d’indipendenza al papa e di libertà alla Chiesa (Bene! Sene.) Epperò d’ora innanzi cesseranno.

(1) Atti uff. della Cam. anno 1861, N. 72, pag. 255, col. 1°

(2) Atti uff. della Caro. anno 1864, N° 605, pag. 2344, col. 1°

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gli Exequatur, gli appelli ab abuses, la presentazione e la nomina dei vescovi ed in genere tutti i diritti di regalia, che si traducono in servitù imposte alla Chiesa. Così adunque la Chiesa verrebbe a riconquistare le più ampie libertà, ed il papa la più piena e vera indipendenza (1)». Vedremo quattr’anni dopo questo medesimo Vacca assoggettare all’Exequatur perfino le lettere apostolici» di Pio IX che concedono il Giubileo, far condannare il vescovo di Mondovì dio annunziò il Giubileo senza il permesso del Vacca, e finalmente lo stesso signore, divenuto ministro guardasigilli il 12 novembre 1864 presentare alla Camera dei deputati un progetto di legge per la soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei beni ecclesiastici, affermando «corre oggi una stagione in cui bisogna postergare ogni cosa, ed anche il culto delle dottrine più consentite, anche l’ossequio delle tradizioni più predilette, alle supreme necessità della patria (2)».

Il conte di Cavour nella stessa tornata del 9 aprile 1861 rispondendo ai senatore Vacca tornava a ripetere la formola di Chiesa libera in libero Stato, e riconosceva che i cattolici avevano buone ragioni per temere della sincerità di questa promessa dalla parte dei liberali: «Noi abbiamo visto, così il Cavour, per esempio in Francia nel secolo scorso, quegli uomini illustri, quei benefattori dell’umanità (sic) che fecero trionfare nell’assemblea costituente i principii del l’89, un anno dopo, nel 1790, applicare al clero un decreto improntato dello spirito di dispotismo; abbiamo visto un anno dopo imporre una costituzione civile al clero in opposizione assoluta ai grandi principii della libertà della Chiesa; abbiamo visto usurpare i diritti del sommo pontefice, negare ai papi il diritto d’investitura, e richiedere dai membri del sacerdozio un giuramento contrario alla loro coscienza. Tali fatti, o signori, e molti altri mi spiegano fino ad un certo punto questa esitazione, questo timore della Chiesa (3). » E proprio avvenne in Italia ciò che è avvenuto in Francia, e invece di libertà il cattolicismo s’ebbe la più dura e sacrilega tirannia.

Il senatore di Campello allora proponeva ai senatori di associarsi e ai voti degli eletti della nazione che proclamarono Roma capitale d’Italia, e dichiararono volere libera e indipendente la Chiesa [4)». Ed il senatore Matteucci proponeva quest’ordine del giorno: «Il Senato confidando che le dichiarazioni del governo del re per la piena e leale applicazione del principio della libertà religiosa faranno fede alla Francia ed all’intera società cattolica, che l’unione dell’Italia in Roma sua naturale capitale si compierà, assicurando nel tempo stesso il decoro e l’indipendenza della Chiesa e del pontefice, passa all’ordine del giorno (5)», E questa proposta del Matteucci veniva sancita dal Senato.

Quattordici mesi dopo, il 20 luglio del 1862 si parlava nuovamente della libera Chiesa in libero Stato nella Camera dei deputati e ne parlava Petruccelli della Gattina. Il quale ridevasi della famosa formola ed invocava Garibaldi «questo pontefice del popolo che scaccerà il pontefice di Cristo (Applausi dalla sinistra, e dalle gallerie)» e conchiudcva:

Atti uff. drl Senato, anno 1861. N. 32, pag. 101.

Relazione del guardasigilli Vacca, N» 159, pag. 2.

Atti uff. del Senato, anno 1861, N. 32, pag. 106.

Atti uff. del Senato, anno 1864, N. 33, pag. 107.

Atti uff. del Senato, loc. cit.

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«Noi vediamo che questo cattolicismo è un istrumento di dissidio, di sventura e dobbiamo distruggerlo!! (1)».

Per non dilungarci soverchiamente ci restringeremo a citare qualche sentenza profferita dai deputati nell’aprile del 1863 sulla formola libera Chiesa in libero Stato. Pisanelli ministro allora di grazia e giustizia diceva il 22 aprile 1863 ai deputati: «Dopo lunghe lotte e brevi paci si travide il vero e si cominciò a presentire che la vera concordia tra lo Stato e la Chiesa si sarebbe attuata mercé la loro compiuta separazione. E noi questa dottrina vedemmo inaugurata in questa stessa Camera con una formola precisa, nella quale era scolpita, con una formola che pronunziò il conte di Cavour: Libera Chiesa in libero Stato». Il deputato Nichelini interruppe il ministro soggiungendo che la formola «non dice niente». E Pisanelli proseguiva: t Mentre il conte di Cavour pronunziava quella formola, il conte Nichelini esclama che quella formola non dice niente (Si ride). Non dice ancor nulla perché con una formola non si può vincere d’un tratto la realtà (2). Due anni dopo che era stata proclamata la libera Chiesa in libero Stato sorgeva adunque tra coloro stessi che aveano fatto la proclamazione una vivissima lite intorno a questi due punti: 1° Se libera Chiesa in libero Stato significasse qualche cosa; 2° Nel caso che avesse un significato quale fosse il suo vero senso. Ed ecco alcune delle opinioni manifestate dai ministri e dai deputati.

Pisanelli, ministro di grazia e giustizia (Tornata del 22 aprile 1863). «Coloro, che hanno con pieno ardore abbracciato il concetto della formola Libera Chiesa in libero Stato, ingannando quasi se medesimi, traducono il loro pensiero in realtà, o del loro pensiero almeno fanno un velo sui fatti.

«Il sistema di costoro non sarebbe che il sistema dell’abbandono. Lo Stato ha alcuni diritti, che ha ereditati dal passato; ebbene si spogli di questi diritti, ne faccia gettito, li abbandoni. Signori io credo, che questo sistema, in questo punto non sarebbe senza pericolo. Nessuno più di me desidera il momento, in cui Io Stato sia in grado, senza detrimento alcuno, di rinunciare a tutti i diritti che ha ereditali dal passato. Ma finché dura la guerra che una parte del sacerdozio muove alla libertà, al paese, ed all’Italia, finché questa parte del sacerdozio insidia in tutte le guise, e con tutti i mezzi il nostro avvenire, io credo, che sarebbe altamente risponsabile quel ministro che permettesse, che il Governo fosse spogliato dei diritti che gli danno le leggi, lasciando trionfare le arti, le macchinazioni, i raggiri, che a danno dello Stato, a danno della libertà, a danno dell’Italia potrebbe usare una parte del sacerdozio (Benissimo).

«Io dunque credo che mantenere gli exequatur, gli appelli di abuso, i diritti che ha il potere regio nella provvisione dei benefizii, sia un debito del governo.

«È un debito doloroso del quale nessuno, lo ripeto, più di me desidererebbe che il governo fosse liberato, ma, che ora deve pure adempiere (Benissimo)». (Alti Uff. n° 4198, pag. 4664).

Deputato Sineo (tornata del 22 aprile i863). «Libera Chiesa in libero Stato si è molte volte ripetuto in quest’aula. L’onorevole mio amico Nichelini

Atti uff. della Camera, anno 1862, N° 772 pag. 2994.

Atti uff. della Camera, anno 1863, N°1198, pag. 4061.

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diceva, che con questo non si definiva niente, lo non sono di questo avviso: «Libera Chiesa in libero Stato, secondo il nostro Statuto, è precisamente il libero esercizio della libertà individuale guarentita dallo Statuto; libertà di agire, libertà di pensare, libertà anche di discutere; tuttavolta, che voi non offendete la legge, tuttavolta, che non avete contro di voi il Codice penale siete liberi di agire, di pensare, di parlare, di scrivere. Ebbene, si faccia, e faccia il Governo, che è suo dovere, che questa libertà sia rigorosamente mantenuta, ed allora, perché non ci sarà il libero Stato davanti alla libera Chiesa?

«Ma si dice, e la Chiesa la lascieremo perfettamente libera? Lascieremo, che dei prelati, i quali dispongono d’immense ricchezze, possano osteggiare palesemente le nostre istituzioni? Possano persino insultare ed al Governo, ed e ai cittadini? ma Dio buono! Il Codice penale è fatto per tutti; è fatto pei prelati, come pei semplici cittadini.

E poi quando noi diciamo Libera Chiesa, noi non possiamo concepirla diversamento da quello, cui avvisava l’onorevole guardasigilli, almeno secondo che suonavano le sue parole nell’ultima parte di questo periodo del suo discorso. Libera è la Chiesa sintantochè essa ripudia, come debbe ripudiare, ogni consorzio colla potestà civile». (Atti Uff. n. 1299, pag. 4668). Deputato Cruves (tornata del 23 aprile 1863). «Io sono lieto che l’onorevole deputato Passaglia venga ad illuminare la Camera perché egli riescirà forse a farmi comprendere ciò che io non sono mai riuscito a capire, voglio dire della celebre formola: Libera Chiesa in libero Stato. Signori, io lo confesso, ho udito da molti enunciarsi questa formola, vi ho anche per la mia parte applicato un po’ di studio, ma non ho mai capito che cosa volesse significare. Libera Chiesa in libero Stato esige naturalmente prima di tutto che la Chiesa sia libera, e che la Chiesa sia nello Stato; finché la Chiesa non riformi le sue e discipline in modo che ella adotti quei principii di libertà su cui si fonda lo Stato, io non posso farmi idea di libera Chiesa in libero Stato, imperocchè libera Chiesa la intendo non soltanto rimpetto allo Stato, ma libera Chiesa in e sé. Certo che se per avventura si riformassero le discipline della Chiesa in modo che il basso clero avesse diritto di eleggere egli i suoi prelati, oh! in allora comincerei a capire libera Chiesa in libero Stato, ma finchè la Chiesa è costituita disciplinarmente, qual è, io veggo Chiesa dispotica in libero Stato. Però soggiungo: sarebbe necessario che la Chiesa fosse nello Stato. Ora nessuno potrà ciò sostenermi, quando il capo della Chiesa è fuori dello Stato. Ritenete poi, o signori, le condizioni del nostro paese quali sono; ritenuti i rapporti, e non dirò altro, del nostro Governo colla S. Sede, dello Stato nostro i colla Chiesa, io penso che intanto si farebbe molto meglio ad adottare quest’altra formola: ben vigilata Chiesa in libero Stato (Ilarità e segni d’approvazione». (Alti Uff. n. 1202, pag. 4678).

Deputato Passaglia (tornata del 23 aprile 1863). «Possiamo volgerci a considerare la formola di libera Chiesa in libero Stato.

«Questa formola, signori, grammaticalmente io non l’ho mai adottata, perché grammaticalmente presenta una difficoltà, e può togliersi in fallacissima significazione. Voi mi insegnate, che i Fcbroniani, i Tanucciani e i Regalisti dei secoli decimosettimo e decimottavo proclamarono la formola

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di Chiesa in Stato, ed a confortarla si valsero della sentenza di un grande scrittore cattolico del secolo quarto, di sant’Oliato di Milevi, il quale discorrendo contro i Donatisti, che spregiali i doni, e non curata la benevolenza dell’Imperatore, ingrati e superbi erano usi dire: Che ha a che fare l’imperatore colla Chiesa, fra le altre ragioni oppose loro anche questa: ignorate voi forse, che la Chiesa o nella repubblica, e non la repubblica nella Chiesa? Vedete, ripigliarono i Febroniani, i Tanucciani, i Regalisti, ed altri di simil fatta, vedete? La Chiesa e è nello Stato, e se o nello Stato, che ne conseguita? Senza fallo essere un’attinenza del medesimo, e perciò doversi modificare, e temperare conforme alle sue esigenze.

«Signori, io vi dirò inni quello che privatamente penso, che poco varrebbe, e ma dirovvi qual sia la credenza cattolica, della quale mi stimo interprete non affatto incompetente. La credenza cattolica è questa, la Chiesa non è nello Stato. E perché la Chiesa non è nello Stato? Perché la Chiesa o in se medesima, ed al di là di ogni Stato; perché ha in se medesima tutto ciò che è necessario, e basta renderla una perfettissima società soprannaturale e religiosa; perché nella circonferenza delle cose sacre e divine è autonoma; e perché essendo tutte le politiche società etnograficamente, e geograficamente circoscritte, essa, la Chiesa, abbraccia tutti i popoli, ed è cosmopolitica, e e quindi grammaticalmente parlando è falsa la formola libera Chiesa in libero Stato. Sapete quale sia la formola genuina ed esatta? E’ la seguente: libera e Chiesa e libero Stato. L’egregio dep. Chiaves ci diceva: potremmo ammettere la formola libera Chiesa in libero Stato se la Chiesa potesse esser libera. Ma affinchè lo potesse essere con verrebbe che abbracciasse teoricamente le nostre dottrine giuridicbe, sociali, nazionali ed internazionali, e praticamente non vi si opponesse, non le osteggiasse, ma piuttosto le sostenesse e le sorreggesse. Ma la Chiesa né lo ha fatto, né lo farà essendo despotica. Laonde anzi che dire: Libera Chiesa e libero Stato a suo giudizio dovrebbe dirsi: Chiesa ben vegliata in libero Stato. Signori, io vi rispetto, ma siete troppo piccoli per vigilare sulla Chiesa. La Chiesa è grande quanto il mondo, la Chiesa è santa ed immortale. Sapete chi veglia sulla Chiesa? La Chiesa prima di tutto è guardala e custodita dal suo capo invisibile, Cristo; è guardata e custodita dai legittimi successori di Pietro; è guardata e custodita dal ceto dei pastori e dei dottori, che non hanno per eredità l’amen dell’idiota, ma cattedra ed autentico magistero; ed è pure guardata e custodita, giusta la propria misura, dal secondo grado della gerarchia divinamente istituii (Rumori e risa a sinistra)». (Atti Uff. n.1203, pag. 4080).

Deputalo Michelimi (tornata del 24 aprile 1863). «Come ho detto nell’interruzione che m’é sfuggita allorquando parlava il signor ministro di grazia e giustizia, non approvo la formola Libera Chiesa in libero Stato. Questa formola è elastica; essa dice troppo o dice niente, dice troppo se ammettendo nello Stato la Chiesa qual è attualmente colle sue esagerate pretese le concede ampia libertà; o dice niente se non concede alla Chiesa che tutte le liberti che hanno gli altri cittadini. Allora tanto varrebbe dire: Libero ramaglia in libero Stato» (Bisbiglio). (Atti Uff. n° 4205, pag. 4690)

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Che Babilonia! i deputati gridano Libera Chiesa in libero Stato, o poi non sanno che cosa vogliano significare queste parole.

Chi dice la formola un’arte di governo, chi la proclama una verità, chi un non senso. Questi protesta che non dice nulla; quegli dichiara che dice troppo; l’uno la trova grammaticalmente erronea, l’altro politicamente rovinosa, o intanto la Chiesa che si volea libera è insultala, spogliata, perseguitata, e sarebbe distrutta se il braccio di Dio per conservarla non fosse più polente del braccio de’ rivoluzionarii nell’atterrare e nel distruggere.

fonte https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_02_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#Dilecte

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