Alta Terra di Lavoro

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Troppi Silenzi sul Caso “SGA”, Banco di Napoli

Posted by on Feb 13, 2018

Troppi Silenzi sul Caso “SGA”, Banco di Napoli

L’oro di Napoli. Non quello di Marotta e De Sica, ma quello del Banco di Napoli che, ciclicamente, deve appianare i debiti del Nord. L’ultimo scippo ai danni del Banco si sta consumando ora e potrebbe prevedere l’utilizzo dei proventi della Sga, la bad bank creata all’epoca della privatizzazione dell’istituto di Via Toledo, a vantaggio di Atlante 2, il fondo che deve salvare Monte Paschi. “Una rapina”, come ha detto tranchant Daniele Marrama, presidente della Fondazione Banco di Napoli, in occasione della presentazione di un libro sull’argomento di Mariarosaria Marchesano, pochi giorni fa, presso la sede dell’Unione degli Industriali.

Il ricco Nord salvato dal povero Sud, dunque. Non sarebbe la prima volta.

La storia del Banco è, oramai, storia di prelievi forzosi. Prima Garibaldi incamerò l’oro del Banco di Napoli e di Sicilia per ripianare i debiti del Piemonte. Il gap fra la liquidità del Mezzogiorno e la mole debitoria di Torino era tale che l’economista della Voce.info Luciano Canova ha definito la “spedizione dei Mille” un investimento per le casse sabaude. Poi. La Destra storica continuò il prosciugamento di Via Toledo, al quale era impedito di aprire filiali al Nord; ma il divieto opposto non valeva per la Nazionale che, nell’incassare la carta moneta che raccoglieva al Sud, emessa dal Banco, poteva tranquillamente chiedere allo stesso istituto napoletano il corrispettivo in oro.

Infine, arriviamo all’affaire Sga. A seguito dell’attacco alla Lira del 1992, il Banco di Napoli entra in uno stadio di sofferenza. Va detto, resistendo alla tentazione più agiografica che storica di mondarsi delle proprie responsabilità, anche a causa della fallimentare gestione di Ventriglia, ispirata alle massime cencelliane della I Repubblica. Con la legge Dini, il Tesero entrò nel Banco; prima lo ricapitalizzò, poi ne azzerò il capitale sociale, consentendone la vendita per soli 60 miliari al gruppo Ina-Bnl. Una cifra allora ritenuta congrua, per la settima banca italiana. Una cifra che risultò particolarmente vantaggiosa per la Banca Nazione del Lavoro, anch’essa sull’orlo del fallimento. “It’s (not) the economy, stupid”, come avrebbe detto il collaboratore di Bill Clinton, James Carville. È la politica. Infatti, dopo solo due anni, Ina-Bnl vendono per 6.000 miliardi ciò che avevano acquistato per 60 miliardi. Una plusvalenza oltre ogni logica economica. Veniamo alla Sga: i crediti “incagliati” – che furono la causa della nazionalizzazione e svendita di Via Toledo –, sono stati quasi tutti recuperati.

La bank è bad ma fortunata. Sull’entità e la titolarità dei crediti recuperati si può discutere: 6,4 miliardi di euro, secondo Marchesano, molti di meno, dato che gli utili della Sga hanno beneficiato di una particolare forma di aiuti di Stato, che si azionò a vantaggio del Banco attraverso la legge Sindona del 1974, secondo l’economista Luigi Zingales. Di certo, c’è una cifra che potrebbe essere rivendicata dalla Fondazione Banco di Napoli – per essere spesa in attività sociali sul nostro territorio –, in questo momento del plafond di Atlante 2, pronta per salvare il Monte dei Paschi.

Non a caso, il presidente della Fondazione, Daniele Marrama, si è dichiarato pronto ad azionare l’articolo 2 del decreto “salvabanche”, il numero 497 del 1996, per riscattare questa cifra, la Fondazione, all’epoca azionista del Banco, ha la titolarità del diritto a rivendicare una indennità a ristoro del pregiudizio sofferto a causa delle modalità straordinarie che il governo scelse per privatizzare via Toledo, attraverso l’azzeramento del capitale, cioè del valore che detenevano gli azionisti. L’azzeramento, infatti, non equivalse a corrispondere un valore di mercato, ma fu lo strumento per consentire una rapida privatizzazione che risolvesse il problema degli aiuti di Stato che la Commissione (europea, ndr), già allora, opponeva all’Italia.

La faccenda della Sga, a questo punto, punto può e deve diventare l’occasione per far fare il salto di qualità a un certo meridionalismo pop che si è affermato in questi anni. La Fondazione, infatti, ha avuto il merito di portare avanti una sacrosanta istanza territoriale, con l’appoggio dell’Unione degli Industriali e di alcuni parlamentari. Ma è l’intera classe dirigente meridionale e napoletana, in particolare, a dover far sentire la sua voce. Se questo non avverrà, potremo definitivamente derubricare il meridionalismo che colora il discorso pubblico napoletano in rivendicazionismo elettorale, che fa la voce grossa per un rigore negato, non essendo capace, non solo di incidere nel reale, ma rappresentando esso stesso una distrazione di massa alle concrete istanze del Sud. Mezzogiornismo di “loro” di Napoli, i migliori alleati di quelli che fregano, da 150 anni, l’oro partenopeo.

Utile precisazione di Andrea Rey pubblicata su Facebook il 3 dicembre 2016 “Giusto qualche precisazione. Nell’articolo sarebbe stato meglio specificare che la vendita all’asta del banco di napoli nel ’96 è stata fatta per 61,4 miliardi di LIRE (cioè 32 mln di euro e solo per il 60% del capitale. Anche i successivi 6.000 mld sono di lire ma sono per il 100% del capitale). Il Tesoro, inoltre, prima azzerò il capitale del Banco e poi ricapitalizzò lo stesso per 2.000 mld di lire (prima di procedere all’asta “poco” competitiva). Infine, il dibattito con Zingales riguarda la liquidità accumulata e non i crediti recuperati.”

Risposta di Alessio Postiglione, 3 dicembre 2016 su Facebook: “Grazie Andrea Rey, utilissime e puntuali precisazioni”

Alessio Postiglione

fonte

meridionalisti democratici

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