Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

UBALDO STERLICCHIO RISPONDE AL SIG. DM

Posted by on Set 3, 2017

UBALDO STERLICCHIO RISPONDE AL SIG. DM

Tempo fa il Dr. Ubaldo Sterlicchio ha pubblicato su questo blog un articolo molto importante sulla giustizia penale del Sud prima e dopo l’unità d’Italia e qualche giorno fa un Signore, che si firma DM,  ha lasciato due commenti in fondo all’articolo a cui ho risposto come Pres. Ass. Id. Alta Terra di Lavoro. Anche Ubaldo ha voluto scrivere una risposta che pubblichiamo preceduto dal link dell’articolo oggetto del confronto e dai commenti del Sig. DM. Ometto di riportare le mie risposte perché sono superflue che sono comunque riportate.

Giustizia penale del sud prima e dopo il 1860

 

1) Un cumulo di affermazioni apodittiche e di opinioni personali spacciate per verità oggettive. Sarà pur vero che chi conosce la verità e la chiama bugia è un delinquente, ma è pur certo che chi non conosce la verità e pretende di insegnarla è un imbecille.

2) se lei è meridionale dovrebbe rendersi conto che l’unità d’Italia, pur con tutte le sue storture e imperfezioni, e perfino ingiustizie, ha fatto progredire l’Italia del Sud come non è mai avvenuto durante la monarchia borbonica. Nel Sud non c’erano strade e quasi nessuno andava a scuola. Franceschiello ‘o rre era stato istruito con la lettura delle vite dei santi, i Borbone non sapevano cosa fosse una monarchia moderna, men che meno l’Illuminismo e il Liberalismo, e il Regno di Napoli si ritrovava come la Russia sotto i monarchi più arretrati e reazionari del continente.
Se lei è settentrionale, sappia che l’unità d’Italia ha reso il Nord di questa sventurata penisola una delle aree geografiche più prospere e civili del pianeta: non accadeva più da tre secoli, cioè dalla fine del Rinascimento, ovvero dall’inizio della scelleratissima Controriforma cattolica. Lo squilibrio con il Sud si è verificato perché i capitali del paese sono stati tutti trasferiti e investiti al Nord, lasciando che al Sud restasse solo il fattore lavoro, con il beneplacito delle classi dirigenti meridionali. E l’economia ci insegna che il lavoro senza capitale non è in grado di produrre nessuno sviluppo: questo è cio che è accaduto al Sud.

 

Dibattito su Terra di Lavoro

 

In: http://www.altaterradilavoro.com/la-giustizia-penale-nel-sud-prima-e-dopo-lunita-ditalia/

 

Il Signor DM, more solito dei denigratori del Sud pre-unitario, reitera la solita tiritera risorgimentalista.

Io non intendo insegnare alcunché, ma solamente evidenziare che la storia che si insegna nelle scuole italiane, nel corso di oltre 150 anni, è stata falsificata, manipolata (cfr. Denis Mack Smith, La storia manipolata, Laterza, Bari, 2000) ed infarcita di luoghi comuni, di omissioni, di inesattezze e di moltissime favolette inventate di sana pianta. Peraltro, non poteva mancare la oramai stantia asserzione secondo la quale nel Sud non c’erano strade e quasi nessuno andava a scuola.

Per quanto concerne la prima, si tratta di una mezza verità, dimenticando che anche la viabilità del Nord non era molto dissimile da quella esistente nel restante territorio dell’Italia pre-unitaria, quantunque sia ben comprensibile quanto fosse diverso (peraltro con i limitati strumenti che la tecnologia di quei tempi poteva offrire) stendere un’arteria stradale nella Pianura Padana, dal dover realizzare una via di comunicazione attraverso le montagne degli Appennini. Tuttavia, relativamente al Sud borbonico, questa mezza verità viene rettificata dal fatto che, ancora oggi (siamo nel XXI secolo e non più nell’Ottocento!), le vie terrestri della Calabria e della costa ionica, per non parlare di quelle della Sicilia, sono insufficienti, poco affidabili e costosissime per la comunità. Per questa ragione, da alcuni anni, con la formula delle «autostrade del mare», si è ripreso con successo il trasporto di merci, persone e mezzi stradali con traghetti opportunamente attrezzati, fra Napoli e la Sicilia. I Borbone lo facevano già oltre 150 anni fa, in quanto il Regno era «circondato per due terzi dall’acqua salata e per un terzo dall’acqua santa» – come era solito affermare il re Ferdinando II – e la maggior parte della sua popolazione viveva in prossimità delle coste. Tanto è vero che le Due Sicilie disponevano della prima flotta mercantile (con 11.600 imbarcazioni per trasporto merci, viaggiatori e comunicazioni postali, costituenti l’80% dell’intero naviglio italiano) e della prima flotta militare d’Italia (seconda nel mondo dopo quella inglese), per numero di navi e per tonnellaggio, nonché per capacità tecnologica ed organizzativa.

In merito alle scuole, ricordo che, già nel Settecento, Napoli era la culla della cultura europea nei campi delle lettere, della filosofia, del diritto, delle scienze, della medicina, delle arti figurative e della musica. La prima esperienza italiana di diritto allo studio si ebbe in virtù di un Decreto Regio del 1768 di Ferdinando IV, con il quale veniva sancito l’obbligo, per ogni Comune, di avere almeno un corso gratuito, per «i fanciulli di ambi i sessi», in parallelo con i normali corsi scolastici a pagamento. In particolare, a San Leucio (Caserta), per i ragazzi, l’educazione e l’istruzione elementare erano gratuite ed obbligatorie, potendo essi beneficiare della prima scuola dell’obbligo d’Italia, che iniziava al sesto anno di età e che comprendeva le materie tradizionali, quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, nonché l’economia domestica per le femmine e gli esercizi ginnici per i maschi. Nella prima metà dell’Ottocento (fino all’invasione garibaldino-piemontese), furono istituite e destinate alla Pubblica Istruzione di base le Scuole Primarie (in tutti i Comuni), le Scuole Secondarie (in taluni Comuni principali), nonché le Scuole Private laiche e religiose (basti sapere che, nel 1831, nella sola Napoli esistevano le seguenti scuole private: 392 scuole per leggere e scrivere per maschi; 126 scuole di leggere e scrivere per femmine; 32 istituti letterari; 29 case di educazione; 48 scuole di giurisprudenza; 38 scuole di medicina e chirurgia; 22 scuole di filosofia e belle lettere; 36 scuole di rudimenti grammaticali; 10 scuole di scienze di fisica e matematica; 3 scuole di chimica; 2 scuole di architettura; 14 scuole di lingua francese). C’erano poi le Reali Accademie, i Reali Collegi, i Reali Licei, le Regie Università. Sulla base del Censimento del 1861, mentre nell’ex Regno delle Due Sicilie risultavano iscritti alle Università complessivi 10.528 studenti, nel resto d’Italia se ne contavano in tutto 5.203, con la seguente percentuale: 67% al Sud e 33% nella restante parte della Penisola (cfr. Nicola Zirara, L’invenzione del Mezzogiorno. Una storia finanziaria, Jaca Book, Milano, 2011). Infine, molti italiani non sanno che, subito dopo l’annessione del Regno borbonico allo Stato sabaudo, in tutto il Sud, profondamente sconvolto da una sanguinosissima guerra civile (chiamata, in maniera riduttiva e fuorviante, lotta al «brigantaggio»), le scuole furono di fatto tenute chiuse per circa 15 anni, ragione per la quale l’analfabetismo successivamente diffusosi fra le popolazioni meridionali non è da attribuirsi a carenze del governo borbonico, bensì alla totale responsabilità dei governi dell’Italia unitaria che si succedettero dopo il 1861. Con l’unità d’Italia si ebbe, infatti, l’azzeramento della cultura nel Regno delle Due Sicilie, che iniziò già nel 1860 con l’arrivo di Garibaldi (il quale espulse immediatamente i Gesuiti) e proseguì con l’abolizione delle comunità religiose che curavano l’istruzione di vaste fasce della popolazione. In questo contesto, avendo il Regno d’Italia assegnate le massime priorità al presidio militare del Paese con i Reali Carabinieri (nel 1862 tutto il Meridione era presidiato dalle stazioni dell’Arma) e con le Intendenze di Finanza, oltre a chiudere le scuole religiose attraverso l’abolizione degli ordini ecclesiastici, lasciò anche neglette quelle pubbliche, soprattutto per mancanza di finanziamenti pubblici. In tal modo, nei territori occupati del Sud, l’analfabetismo raggiunse, nel corso di appena tre lustri, addirittura la percentuale del 92% circa.

In conclusione – intelligenti pauca – mi è gradito ricordare le illuminanti le parole del professor Domenico Razzano (cfr. La biografia che Luigi Settembrini scrisse di Ferdinando II, Tipografia dell’Italia Marinara, via Roma 289, Napoli, 1914, riedito da Ripostes, Battipaglia – SA – 2010), uno dei tanti storici onesti, ma puntualmente ignorati dalla storiografia ufficiale, il quale evidenziò con chiarezza che: «Tutta la rivoluzione italiana [leggasi: risorgimento, n.d.r.] fu orientata così: travisare in male quanto era possibile del molto buono esistente nel Mezzogiorno, e ciò che non era possibile assoggettare a denigrazione tacerlo come non esistente; ingigantire il poco cattivo che vi era, presentandolo elevato alla massima potenza: trattare con metodo nettamente inverso il poco buono e il molto cattivo del Piemonte; e quello che non era possibile occultare del molto cattivo del Piemonte tradurlo in libera traduzione a carico del Mezzogiorno…».

L’occasione è gradita per porgere i più distinti saluti a tutti i lettori,

Ubaldo Sterlicchio

 

 

 

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