Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Un antico guerriero, il Pino Loricato del Pollino

Posted by on Dic 6, 2017

Un antico guerriero, il Pino Loricato del Pollino

 Il pino loricato, fossile vivente, coevo dei dinosauri, a cui somiglia, per la corteccia a scaglie, “a lorica”, come le armature dei guerrieri di una volta. É un albero dai tempi lentissimi, come obbedisse a cicli non più nostri (… ) si è rifugiato nei luoghi più impervi e ventosi, tra burrasche, gelo e petraie. E dove nessun’altra essenza sopravviverebbe, il pino loricato domina millenario, scolpito dal tempo e dai fulmini. Quando muore,  perde la corteccia e appare bianco come marmo funerario. Ma resta in piedi, re del silenzio, candido monumento a se stesso.”

(Terroni, Pino Aprile)

Così scrive Pino Aprile di questo bellissimo colosso naturale che continua a resistere nel Parco del Pollino, tra Calabria e Basilicata. Ben due i nomi scientifici dati al Pino Loricato, a causa di un disguido: descritto per la prima volta dal botanico svizzero Konrad Hermann Chris nel 1863 venne definito Pinus heldreichii; poi nel 1864 come  Pinus leucodermis (ovvero Pino dalla pelle bianca per il colore grigio-bianco della corteccia dei rami negli esemplari giovani), dal botanico austriaco Franz Antoine che era all’ oscuro della precedente pubblicazione e lo individuò  nell’area balcanica centro-occidentale.

Non posso però non accennare a Michele Tenore, un botanico napoletano di origini abruzzesi (fondatore e primo direttore dell’Orto botanico di Napoli) che, in un’ estate del 1826, individuò già il Pino loricato, ma lo confuse con una affine e compresente conifera, e a Biagio Longo botanico di Laino Borgo (Cosenza) che nel 1905 lo individuò sul massiccio calcareo del Pollino, precisamente sui versanti del monte Pollino, sulla catena dell’Orsomarso in territorio cosentino ed altresì sul Monte La Spina e nella Serra di Crispo in territorio lucano, riconoscendone appunto la esatta corrispondenza alla varietà che era stata scoperta quarant’anni addietro nell’area balcanica. Prima di allora, soltanto pastori e boscaioli erano a conoscenza di questi grossi pini in cima alle montagne nel meridione. Tant’è che il loro legno pregiato e impregnato di resina veniva impiegato per costruire bauli resistenti alla salsedine per usarli durante la navigazione per raggiungere le Americhe da parte dei nostri emigranti. Mentre altri lo usavano come cero votivo in occasione della festa della Madonna del Pollino. Se il “Leucodermis” viene oggi chiamato Loricato, lo si deve proprio al calabrese Longo  che constatò come le ruvide e fessurate placche poligonali presenti nella spessa corteccia degli esemplari adulti evocano con decisione la “lorica”, tipicamente in uso nelle legioni dell’antica Roma e costituita in origine da una non rigida corazza di cuoio guarnito da scaglie.

Si tratta di una specie pseudo-endemica poiché le sue origini sono legate ai Balcani: durante l’ultima glaciazione, circa 100.000 anni fa, l’abbassamento del livello del mar Adriatico, e conseguentemente il suo restringimento, favorì il passaggio del pino loricato dalla penisola balcanica al promontorio del Gargano, in Puglia. Con il passare degli anni, il pino loricato si diffuse, pian piano, in tutto il meridione. Con il ritirarsi dei ghiacci, i pini loricati sono stati relegati su poche cime rocciose dall’incalzante diffusione del Faggio, albero che cresce meglio e più velocemente rispetto al caro colosso. Poi il Pino loricato ha scelto come sua sede naturale la Basilicata e la Calabria e oggi, nel Parco del Pollino, se ne contano oltre 2000 esemplari, con molte giovani piantine, segno del buono stato di salute di questo elegante e maestoso albero.

Complessivamente può essere definito una specie relitta ossia il residuo di una notevolmente più diffusa presenza in epoche arcaicissime inoltre, per la pressione del più forte ed invadente faggio, nel corso degli ultimi milioni di anni in quest’area il pino loricato ha compiuto anche una migrazione in verticale, che lo ha portato a raggiungere anche quote superiori a 2.100 metri s.m., risultando così l’unico albero che sugli Appennini riesce a vegetare più in alto delle faggete.

Il suo portamento, ovvero lo stile del tronco, risente ovviamente delle estreme condizioni ambientali sue proprie, assolutamente proibitive per altre specie: i cosiddetti esemplari in colonia (Serra di Crispo e Serra delle Ciavole) evidenziano un’altezza maestosa prossima ai 40 metri e un diametro del tronco fino a m. 1,60; gli alberi che vegetano isolati su rocce e costoni impervi mostrano invece forme contorte e tormentate, con cima appiattita e con un orientamento dei rami scolpito “a bandiera” dall’incessante e terribile forza dei venti sulle alte quote. Gli esemplari più vecchi di questa conifera si distinguono, infine, per il tronco bianchissimo e resinoso, ormai privo delle scaglie sulla corteccia. La “resinosità” del legno fa sì che esso marcisca con molta lentezza dopo la morte della pianta, con l’ulteriore e suggestivo effetto di esemplari non più in vita che non crollano al suolo, ma restano eretti per anni, trasformati in veri monumenti arborei.

Il Pino Loricato è il simbolo del Parco Nazionale del Pollino. Il Pino che ispirò il creatore del logo, l’ albero ribattezzato da tutti amorevolmente Zi’ Peppe, purtroppo venne vilmente bruciato. Situato tra Serra delle Ciavole e Serra di Crispo, questo antico albero ormai morto, resiste pietrificato dalla resina, chino su se stesso al tempo e alle condizioni atmosferiche avverse. Ma nel Parco si attesta un altro albero antico, forse il più longevo d’ Europa. Non a caso è stato definito Il Patriarca. Si tratta di un Pino loricato di circa 950 anni situato nel  bosco Pollinello, nel versante calabrese del Pollino: ha un  diametro superiore a 2 metri e svetta maestoso aggrappato alle rocce, a sfidare nei secoli i venti e le tempeste, a dominare, protetto dal Pollino e dal Dolcedorme, la valle del Coscile.

 

 Il pino loricato, fossile vivente, coevo dei dinosauri, a cui somiglia, per la corteccia a scaglie, “a lorica”, come le armature dei guerrieri di una volta. É un albero dai tempi lentissimi, come obbedisse a cicli non più nostri (… ) si è rifugiato nei luoghi più impervi e ventosi, tra burrasche, gelo e petraie. E dove nessun’altra essenza sopravviverebbe, il pino loricato domina millenario, scolpito dal tempo e dai fulmini. Quando muore,  perde la corteccia e appare bianco come marmo funerario. Ma resta in piedi, re del silenzio, candido monumento a se stesso.”

(Terroni, Pino Aprile)

Così scrive Pino Aprile di questo bellissimo colosso naturale che continua a resistere nel Parco del Pollino, tra Calabria e Basilicata. Ben due i nomi scientifici dati al Pino Loricato, a causa di un disguido: descritto per la prima volta dal botanico svizzero Konrad Hermann Chris nel 1863 venne definito Pinus heldreichii; poi nel 1864 come  Pinus leucodermis (ovvero Pino dalla pelle bianca per il colore grigio-bianco della corteccia dei rami negli esemplari giovani), dal botanico austriaco Franz Antoine che era all’ oscuro della precedente pubblicazione e lo individuò  nell’area balcanica centro-occidentale.

Non posso però non accennare a Michele Tenore, un botanico napoletano di origini abruzzesi (fondatore e primo direttore dell’Orto botanico di Napoli) che, in un’ estate del 1826, individuò già il Pino loricato, ma lo confuse con una affine e compresente conifera, e a Biagio Longo botanico di Laino Borgo (Cosenza) che nel 1905 lo individuò sul massiccio calcareo del Pollino, precisamente sui versanti del monte Pollino, sulla catena dell’Orsomarso in territorio cosentino ed altresì sul Monte La Spina e nella Serra di Crispo in territorio lucano, riconoscendone appunto la esatta corrispondenza alla varietà che era stata scoperta quarant’anni addietro nell’area balcanica. Prima di allora, soltanto pastori e boscaioli erano a conoscenza di questi grossi pini in cima alle montagne nel meridione. Tant’è che il loro legno pregiato e impregnato di resina veniva impiegato per costruire bauli resistenti alla salsedine per usarli durante la navigazione per raggiungere le Americhe da parte dei nostri emigranti. Mentre altri lo usavano come cero votivo in occasione della festa della Madonna del Pollino. Se il “Leucodermis” viene oggi chiamato Loricato, lo si deve proprio al calabrese Longo  che constatò come le ruvide e fessurate placche poligonali presenti nella spessa corteccia degli esemplari adulti evocano con decisione la “lorica”, tipicamente in uso nelle legioni dell’antica Roma e costituita in origine da una non rigida corazza di cuoio guarnito da scaglie.

Si tratta di una specie pseudo-endemica poiché le sue origini sono legate ai Balcani: durante l’ultima glaciazione, circa 100.000 anni fa, l’abbassamento del livello del mar Adriatico, e conseguentemente il suo restringimento, favorì il passaggio del pino loricato dalla penisola balcanica al promontorio del Gargano, in Puglia. Con il passare degli anni, il pino loricato si diffuse, pian piano, in tutto il meridione. Con il ritirarsi dei ghiacci, i pini loricati sono stati relegati su poche cime rocciose dall’incalzante diffusione del Faggio, albero che cresce meglio e più velocemente rispetto al caro colosso. Poi il Pino loricato ha scelto come sua sede naturale la Basilicata e la Calabria e oggi, nel Parco del Pollino, se ne contano oltre 2000 esemplari, con molte giovani piantine, segno del buono stato di salute di questo elegante e maestoso albero.

Complessivamente può essere definito una specie relitta ossia il residuo di una notevolmente più diffusa presenza in epoche arcaicissime inoltre, per la pressione del più forte ed invadente faggio, nel corso degli ultimi milioni di anni in quest’area il pino loricato ha compiuto anche una migrazione in verticale, che lo ha portato a raggiungere anche quote superiori a 2.100 metri s.m., risultando così l’unico albero che sugli Appennini riesce a vegetare più in alto delle faggete.

Il suo portamento, ovvero lo stile del tronco, risente ovviamente delle estreme condizioni ambientali sue proprie, assolutamente proibitive per altre specie: i cosiddetti esemplari in colonia (Serra di Crispo e Serra delle Ciavole) evidenziano un’altezza maestosa prossima ai 40 metri e un diametro del tronco fino a m. 1,60; gli alberi che vegetano isolati su rocce e costoni impervi mostrano invece forme contorte e tormentate, con cima appiattita e con un orientamento dei rami scolpito “a bandiera” dall’incessante e terribile forza dei venti sulle alte quote. Gli esemplari più vecchi di questa conifera si distinguono, infine, per il tronco bianchissimo e resinoso, ormai privo delle scaglie sulla corteccia. La “resinosità” del legno fa sì che esso marcisca con molta lentezza dopo la morte della pianta, con l’ulteriore e suggestivo effetto di esemplari non più in vita che non crollano al suolo, ma restano eretti per anni, trasformati in veri monumenti arborei.

Il Pino Loricato è il simbolo del Parco Nazionale del Pollino. Il Pino che ispirò il creatore del logo, l’ albero ribattezzato da tutti amorevolmente Zi’ Peppe, purtroppo venne vilmente bruciato. Situato tra Serra delle Ciavole e Serra di Crispo, questo antico albero ormai morto, resiste pietrificato dalla resina, chino su se stesso al tempo e alle condizioni atmosferiche avverse. Ma nel Parco si attesta un altro albero antico, forse il più longevo d’ Europa. Non a caso è stato definito Il Patriarca. Si tratta di un Pino loricato di circa 950 anni situato nel  bosco Pollinello, nel versante calabrese del Pollino: ha un  diametro superiore a 2 metri e svetta maestoso aggrappato alle rocce, a sfidare nei secoli i venti e le tempeste, a dominare, protetto dal Pollino e dal Dolcedorme, la valle del Coscile.

Daniela Alemanno

 

 

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