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Vandea: il percorso della Rivoluzione

Posted by on Set 24, 2018

Vandea: il percorso della Rivoluzione

Dalla Vandea alla Russia: il percorso della Rivoluzione Il 25 settembre 1993, a Le Lucs sur Boulogne, dove, due secoli prima, una Colonna Infernale aveva massacrato l’intera popolazione di 563 persone, tra cui 109 bambini con meno di 7 anni, 33 con meno di 2 anni e due di appena 15 giorni, è stato inaugurato il suggestivo monumento Mémorial de Vendée.

Il presidente del Consiglio della Vandea, il marchese Philippe de Villiers, volle che la cerimonia avesse per protagonista Aleksandr Solzenicyn, il grande scrittore dissidente russo, figura emblematica della resistenza contro la Rivoluzione e simbolo vivente delle vittime del furore rivoluzionario, per la lunghissima detenzione nei Gulag sovietici.

In quella storica occasione, di fronte a 30.000 commossi spettatori, Solzenicyn pronunciò un discorso che tracciava con semplice lucidità un filo rosso tra le rivoluzioni francese e russa.
Il testo del discorso, pubblicato dal quotidiano Le Monde, è riportato di seguito nella traduzione redazionale e nell’originale francese.

«Signor Presidente del Consiglio generale della Vandea, cari Vandeani,

due terzi di secolo fa, quand’ero bambino leggevo già con ammirazione nei libri il racconto che rievocava l’insorgenza della Vandea, così coraggiosa, così disperata. Ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che in vecchiaia avrei avuto l’onore di inaugurare il monumento in onore degli eroi e delle vittime di quel sollevamento.

Sono passati venti decenni, decenni diversi a seconda dei diversi paesi, e, non solo in Francia ma anche altrove, l’insorgenza vandeana e la sua sanguinosa repressione hanno ricevuto costantemente nuova luce. Infatti gli avvenimenti storici non sono mai compresi pienamente nell’incandescenza delle passioni che li accompagnano, ma a buona distanza, una volta raffreddate dal tempo.

Per molto tempo ci si è rifiutati di ascoltare e di accettare quanto era stato gridato dalla bocca di coloro che morivano, che venivano bruciati vivi, dei contadini di una terra laboriosa, per i quali la Rivoluzione sembrava fosse stata fatta, ma che la stessa Rivoluzione oppresse e umiliò fino al limite estremo.

Ebbene sì, proprio questi contadini si ribellarono contro di essa!
Ogni rivoluzione scatena negli uomini gli istinti della barbarie più elementare, le forze opache dell’invidia, della rapacità e dell’odio e i contemporanei l’avevano compreso troppo bene. Essi pagarono un tributo decisamente pesante alla psicosi generale, quando il fatto di comportarsi da uomini politicamente moderati, o anche soltanto di sembrarlo, veniva già considerato un crimine.

È il XX secolo che ha offuscato notevolmente, agli occhi dell’umanità, l’aureola romantica che circondava la rivoluzione nel XVIII secolo.
Di mezzo secolo in mezzo secolo gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società, che danneggiano il corso naturale della vita, che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori. Nessuna rivoluzione può arricchire un paese, al massimo qualche furbo senza scrupoli; sono causa di innumerevoli morti, di un vasto impo¬verimento, e, nei casi più gravi, di un degrado duraturo della popolazione.

Il termine stesso «rivoluzione» — dal latino revolvo — significa rotolare indietro, ritornare, riprovare, riaccendere. Nel migliore dei casi mettere sottosopra. In breve, una sequenza di definizioni poco invidiabili. Ai giorni nostri, se si attribuisce a qualche rivoluzione la qualifica di «grande», lo si fa con circospezione e molto spesso con molta amarezza.

Ormai comprendiamo sempre meglio che l’effetto sociale che desideriamo tanto ardentemente può essere ottenuto attraverso uno sviluppo evolutivo normale, con un numero infinitamente minore di perdite, senza comportamenti selvaggi generalizzati. Bisogna saper migliorare con pazienza quanto ogni giorno ci offre. Sarebbe davvero vano sperare che la rivoluzione possa rigenerare la natura umana. È ciò che la vostra Rivoluzione, e in modo assolutamente particolare la nostra, la rivoluzione russa, avevano fortemente sperato.

La Rivoluzione francese si è svolta nel nome di uno slogan intrinsecamente contraddittorio, e irrealizzabile: Libertà, uguaglianza, fraternità. Ma, nella vita sociale, libertà e uguaglianza tendono a escludersi reciprocamente, sono antagoniste! La libertà distrugge l’uguaglianza sociale, è proprio questa una delle funzioni della libertà, mentre l’uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere. Quanto alla fraternità, non è della loro famiglia, è un’audace aggiunta allo slogan e non sono delle disposizioni sociali che possono costruire la vera fraternità. Essa è di ordine spirituale.
Per di più, a questo slogan ternario veniva aggiunto con tono minaccioso «o la morte», il che ne distruggeva ogni significato. Mai, a nessun paese, potrei augurare una «grande rivoluzione». Se la Rivoluzione del XVIII secolo non ha causato la rovina della Francia è solo perché ha avuto luogo Termidoro.

La rivoluzione russa non ha conosciuto un Termidoro che abbia saputo arrestarla, e, senza deviare, ha portato il nostro popolo fino in fondo, fino al gorgo, fino all’abisso della perdizione. Mi spiace che non vi siano qui oratori che possano aggiungere quanto l’esperienza ha insegnato loro nelle profondità della Cina, della Cambogia, del Vietnam, a dirci che prezzo hanno dovuto pagare, loro, per la rivoluzione.

L’esperienza della Rivoluzione francese avrebbe dovuto essere sufficiente perché i nostri organizzatori razionalisti della felicità del popolo ne traessero lezioni. Ma no! In Russia tutto si è svolto in un modo ancora peggiore, e in una scala senza confronti.
Molti procedimenti crudeli della Rivo¬luzione francese sono stati docilmente applicati sul corpo della Russia dai comunisti leninisti e dai socialisti internazionalisti. Solo il loro grado di organizzazione e il loro carattere sistematico hanno ampiamente superato quelli dei giacobini.

Non abbiamo avuto un Termidoro, ma — e possiamo esser fieri nella nostra anima e nella nostra coscienza — abbiamo avuto la nostra Vandea. E più d’una. Sono i grandi sollevamenti contadini, del 1920-1921.

Ricorderò soltanto un episodio ben noto: le folle di contadini armate di bastoni e di forche che hanno marciato su Tambov, al suono delle campane delle chiese del circondario, per essere falciate dalle mitragliatrici. L’insorgenza di Tambov è durata undici mesi, benché i comunisti per reprimerla abbiano usato carri armati, treni blindati, aerei, benché abbiano preso in ostaggio le famiglie dei rivoltosi e benché fossero sul punto di usare gas tossici. Abbiamo avuto anche una resistenza feroce al boscevismo da parte dei Cosacchi dell’Ural, del Don, soffocata in torrenti di sangue. Un autentico genocidio.

Inaugurando oggi il Monumento della vostra eroica Vandea, la mia vista si sdoppia: vedo con la mente i monumenti che verranno eretti un giorno, in Russia, testimoni della nostra resistenza russa al dilagare delle orde comuniste. Abbiamo attraversato insieme a voi il XX secolo, un secolo di terrore dall’inizio alla fine, orribile coronamento del progresso tanto sognato nel secolo diciottesimo.
Oggi, penso, ci saranno sempre più Francesi a capire meglio, a valutare meglio, a guardare con fierezza nella loro memoria la resistenza e il sacrificio della Vandea.

Aleksandr Solzenicyn

fonte

http://www.editorialeilgiglio.it/storia-vandea-6-il-percorso-della-rivoluzione/

 

 

 

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