Alta Terra di Lavoro

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1.000.000 di MORTI NAPOLITANI (prima parte)

Posted by on Mag 25, 2017

1.000.000 di MORTI NAPOLITANI (prima parte)

Antonio Gramsci (1920):

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti“.

Garibaldi scrive a Adelaide Cairoli, 1868

Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio“.

Garibaldi il giorno 5 dicembre 1861 a Torino definì i 1.000 garibaldini:

Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto“, sbarcarono in Sicilia, francesi, svizzeri, inglesi, indiani, polacchi, russi e soprattutto ungheresi, tanto che fu costituita una legione ungherese utilizzata per le repressioni più feroci. Al seguito di questa vera e propria feccia umana, sbarcarono altri 22.000 soldati piemontesi appositamente dichiarati “congedati o disertori”.

Garibaldi:

Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il Risorgimento, vi troveranno cose da cloaca”.

Nino Bixio,

Al Sud i nemici non basta ucciderli, bisogna straziarli, bruciarli vivi a fuoco lento, E’ un paese che bisogna distruggere o almeno spopolare, mandarli in Africa a farsi civili”, dal libro “Fuoco del Sud”.

Nino Bixio,

autore dell’eccidio di Bronte, nel 1863 dichiarò in Parlamento: “Un sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia là, signori, e se volete che l’Italia si compia, bisogna farla con la giustizia, e non con l’effusione di sangue“.

Nino Bixio (1860):

la tragedia vera, l’unità, non poteva più essere fermata, doveva anzi essere promossa con il piombo.

On.le Ferrari,liberale, nel novembre 1862 grida in aula:

Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti” (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito il 14 agosto 1861, 1250 morti).

Luigi Settembrini,patriota risorgimentale, combatté i Borbone, nel 1870 scrisse le “Rimembranze”:

La colpa fu di Ferdinando II, il quale, se avesse fatto impiccare me ed i miei amici, avrebbe risparmiato al Mezzogiorno ed alla Sicilia tante incommensurabili sventure. Egli fu clemente e noi facemmo peggio.”

Gaetano Salvemini (1900):

“Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata (…..) è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone …”.

Gaetano Salvemini:

“Contro la duplice oppressione cui li hanno sottoposti in questi cinquant’anni di unità  politica i “galantuomini” locali e l’industrialismo settentrionale, i “cafoni” meridionali hanno reagito sempre, come meglio o come peggio potevano. Subito dopo il 1860 si dettero al brigantaggio: sintomo impressionante del malessere profondo che affaticava il Mezzogiorno, e nello stesso tempo indizio caratteristico del vantaggio che si potrebbe ricavare – quando ne fossero bene utilizzate le forze – da questa popolazione campagnola del Sud, che senza organizzazione, senza capi, abbandonata a se stessa, mezzo secolo fa tenne in scacco per alcuni anni tanta parte dell’esercito italiano”.

Massimo D’Azeglio:

Ma, si diranno, e il suffragio universale? Io non so niente di suffragio, so che al di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve quindi o cambiar principi o cambiar atti e trovar modo di sapere dai napoletani, una buona volta, se ci vogliono si o no. Agli italiani che, rimanendo italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate”.

Massimo D’Azeglio:

“Quando si vede un regno di sei milioni ed un’armata di 100 mila uomini, vinti colla perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire, capisca”.

Civiltà Cattolica:

Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in grande quantità , si stipano ne’ bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testè in quella città  ho dovuto assistere ad uno di que’ spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio”.

Vittorio Emanuele II dichiarò al plenipotenziario inglese August Paget :

Ci sono due modi per governare gli italiani: con le baionette o con la corruzione”.

Col. Pier Eleonoro Negri, 14 agosto 1861 :”Li voglio tutti morti! Sono tutti contadini e nemici dei Savoia, nemici del Piemonte, dei bersaglieri e del mondo, morte ai cafoni, morte a questi terroni figli di puttane, non voglio testimoni, diremo che sono stati i briganti”.

Napoleone Colajanni:

“Quando in Palermo si presentò all’esame di leva un certo Cappello, non si prestò fede al suo reale sordomutismo e lo si voleva costringere a parlare applicandogli bottoni di fuoco sulle carni. Il suo corpo fu reso una vera piaga”.

Napoleone Colajanni:

“Questo ufficiale (piemontese n.d.r.) si presentò di notte, con gli uomini della sua colonna, in una casina, i cui abitatori, temendo dei briganti, non vollero aprire. Allora il prode militare la circondò di fascine, vi applicò il fuoco e fece morire soffocati i disgraziati che legittimamente resistettero ai suoi ordini”.

Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, cap. di Stato maggiore piemontese:“Il 1860 trovò questo popolo vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia; tutti nella loro condizione vivevano contenti del proprio stato… Adesso l’opposto… E poi le tasse più dissanguatrici… Vedrete che, con tre successioni in una famiglia (e possono verificarsi in un solo anno, nella famiglia stessa) dall’agiatezza si balza alla mendicità. Quanto alla pubblica istruzione, sino al 1859, era gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso nessuna cattedra scientifica…Nobili, plebei, ricchi, poveri, clericali, atei, tutti aspirano ad una prossima restaurazione dei Borboni…”.

Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, cap. di Stato maggiore piemontese:

“Spioni dell’antica polizia, uscieri, commessi di magazzino, etc., sono oggi nominati giudici, prefetti, sottoprefetti, amministratori… Un mio amico trovava installato, in qualità di giudice, un individuo che, mediante quattro carlini, gli aveva procurato reiterati convegni con una sgualdrina. L’arbitrio governativo non ha limiti: un onesto uomo può ritrovarsi disonorato, da un momento all’altro, per la bizza del più meschino funzionario… Facendo un calcolo approssimativo, possiamo arrivare alla spaventevole cifra, per il Regno delle Due Sicilie, di 52 mila incarceramenti all’anno, di 9.400 deportati all’anno, mentre sotto l’esecrato governo borbonico il numero dei carcerati non oltrepassò i 10 mila e i deportati non arrivarono neanche a 94…Si fucila a casaccio, senza processo, senza indagini… Il reclutamento è stato definito giustamente una tratta di bianchi: si arrestano, si seviziano le madri, le sorelle di ogni presunto refrattario e su di esse si sfrena ogni libidine…”.

Proto di Maddaloni deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861:

“I nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l’accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto …”.

Pio IX,nell’allocuzione tenuta al concistoro segreto del 30 settembre 1861:

“… Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore, ne può senza fremito rammentarsi molti villaggi del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo e innumerevoli sacerdoti, e religiosi, e cittadini d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi infermi, indegnamente oltraggiati e, senza neppur dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro dei modi uccisi… Queste cose si fanno da coloro che non arrossiscono di asserire con estrema impudenza…voler essi restituire il senso morale all’Italia”.

Quintino Sella, ministro delle finanze Regno d’Italia:

“occorreva confiscare e vendere i beni degli Ordini monastici della Sicilia per rassodare il bilancio dello Stato e colmare il deficit di 625 milioni”.

Sir Elliot, ambasciatore inglese a Napoli, a quel tempo, scrive nei suoi resoconti:“In realtà le condizioni del paese sono le peggiori immaginabili. Tutti i vecchi soprusi continuano, a volte esagerati dai nuovi funzionari, i quali gettano in carcere la gente o la fanno fustigare per il minimo sospetto, per il più lieve indizio di cattiva condotta politica, mentre i veri crimini rimangono affatto impuniti… c’è una spiccata inclinazione ad accaparrarsi le proprietà altrui”.

La conquista militare del Regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia venne accompagnata da molti episodi di soprusi, violenze e ruberie, compiuti talvolta dalle soldataglie sabaude ma molto più spesso dai garibaldini e dal loro stesso comandante. Un esempio tra i molti: conquistata Napoli, Garibaldi fece subito assaggiare il nuovo ordine “democratico”: fece sparare sugli operai di Pietrarsa, perché si opponevano allo smantellamento delle nuove officine metalmeccaniche e siderurgiche fatte costruire dall”arretrata’ amministrazione borbonica.

Oscar De Poli in un articolo pubblicato sul giornale “De Naples a Palerme” 1863 – 1864 scrive:

“il sedicente “democratico” Regno d’Italia iniziò una politica di spoliazione delle risorse nelle zone conquistate, opprimendo le culture locali e soffocando nel sangue le rivolte popolari che nel Meridione assunsero alle dimensioni di guerra civile. … secondo il ministro della guerra di Torino, 10.000 napoletani sono stati fucilati o sono caduti nelle file del brigantaggio; più di 80.000 gemono nelle segrete dei liberatori; 17.000 sono emigrati a Roma, 30.000 nel resto d’Europa la quasi totalità dei soldati hanno rifiutato d’arruolarsi … ecco 250.000 voci che protestano dalla prigione, dall’esilio, dalla tomba… Cosa rispondono gli organi del Piemontesismo a queste cifre? Essi non rispondono affatto”.

Paolo Mencacci,

scrisse nell’introduzione al suo libro “Memorie documentate per la Storia della rivoluzione italiana” del 1879: “Cattolico e monarchico, per convinzione e per affetto, scrivo per dar gloria a Dio e per rendere testimonianza alla verità in mezzo al presente trionfo della menzogna. […] Italiano, arrossisco che l’unità d’Italia sia il frutto di tanti delitti. […] Nei sette anni di assiduo lavoro che v’impiegai spesse volte credetti sognare, tanto sembravanmi incredibili le cose ch’ero costretto a registrare!”

 

Proto di Maddaloni deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861:

“I nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l’accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto …”.

Pio IX,

nell’allocuzione tenuta al concistoro segreto del 30 settembre 1861:

“… Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore, ne può senza fremito rammentarsi molti villaggi del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo e innumerevoli sacerdoti, e religiosi, e cittadini d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi infermi, indegnamente oltraggiati e, senza neppur dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro dei modi uccisi… Queste cose si fanno da coloro che non arrossiscono di asserire con estrema impudenza…voler essi restituire il senso morale all’Italia”.

Quintino Sella,

ministro delle finanze Regno d’Italia:

“occorreva confiscare e vendere i beni degli Ordini monastici della Sicilia per rassodare il bilancio dello Stato e colmare il deficit di 625 milioni”.

Sir Elliot,

ambasciatore inglese a Napoli, a quel tempo, scrive nei suoi resoconti:“In realtà le condizioni del paese sono le peggiori immaginabili. Tutti i vecchi soprusi continuano, a volte esagerati dai nuovi funzionari, i quali gettano in carcere la gente o la fanno fustigare per il minimo sospetto, per il più lieve indizio di cattiva condotta politica, mentre i veri crimini rimangono affatto impuniti… c’è una spiccata inclinazione ad accaparrarsi le proprietà altrui”.

La conquista militare del Regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia venne accompagnata da molti episodi di soprusi, violenze e ruberie, compiuti talvolta dalle soldataglie sabaude ma molto più spesso dai garibaldini e dal loro stesso comandante. Un esempio tra i molti: conquistata Napoli, Garibaldi fece subito assaggiare il nuovo ordine “democratico”: fece sparare sugli operai di Pietrarsa, perché si opponevano allo smantellamento delle nuove officine metalmeccaniche e siderurgiche fatte costruire dall”arretrata’ amministrazione borbonica.

Oscar De Poli

in un articolo pubblicato sul giornale “De Naples a Palerme” 1863 – 1864 scrive:

“il sedicente “democratico” Regno d’Italia iniziò una politica di spoliazione delle risorse nelle zone conquistate, opprimendo le culture locali e soffocando nel sangue le rivolte popolari che nel Meridione assunsero alle dimensioni di guerra civile. … secondo il ministro della guerra di Torino, 10.000 napoletani sono stati fucilati o sono caduti nelle file del brigantaggio; più di 80.000 gemono nelle segrete dei liberatori; 17.000 sono emigrati a Roma, 30.000 nel resto d’Europa la quasi totalità dei soldati hanno rifiutato d’arruolarsi … ecco 250.000 voci che protestano dalla prigione, dall’esilio, dalla tomba… Cosa rispondono gli organi del Piemontesismo a queste cifre? Essi non rispondono affatto”.

Paolo Mencacci,

scrisse nell’introduzione al suo libro “Memorie documentate per la Storia della rivoluzione italiana” del 1879: “Cattolico e monarchico, per convinzione e per affetto, scrivo per dar gloria a Dio e per rendere testimonianza alla verità in mezzo al presente trionfo della menzogna. […] Italiano, arrossisco che l’unità d’Italia sia il frutto di tanti delitti. […] Nei sette anni di assiduo lavoro che v’impiegai spesse volte credetti sognare, tanto sembravanmi incredibili le cose ch’ero costretto a registrare!”

 

CAVOUR: Lo scopo è chiaro; non è suscettibile di discussione. Imporre l’unità alla parte più corrotta e più debole dell’Italia. Sui mezzi non vi è pure gran dubbiezza: la forza morale e se questa non basta la fisica”.

Lettera al Re, del 14 dicembre 1860 “Ora che la fusione delle varie parti della Penisola è compiuta mi lascerei ammazzare dieci volte prima di consentire a che si sciogliesse. Ma anziché lasciare ammazzare me, proverei ad ammazzare gli altri … non si perda tempo a far prigionieri”.

CAVOUR scriveva all’ammiraglio Persano: “Il problema che dobbiamo sciogliere è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d’Europa appaia come atto spontaneo. Ciò accadendo, la Francia e l’Inghilterra sono con noi. Altrimenti non so cosa faranno.” – Torino 9 agosto 1860

“S. E. il conte di Cavour mi avvisa di aver ordinato che fosse messa a mia disposizione una non lieve somma di danaro, perchè me ne servissi a promuovere il pronunciamento che doveva far partire il RE “(da Napoli).

“… la casa De la Rue di Genova aprirà in Napoli, presso il banchiere De Gas, il credito di un milione a mia disposizione.”

“Riferisce il Persano a Cavour: “Ho dovuto eccellenza somministrare altro danaro. Ventimila ducati al Devincenzi, duemila al console Fasciotti … quattromila al Comitato. ”

“Ma si assicura d’altronde che il generale non troverà alcun grave ostacolo durante  lo sbarco, stante il contengno della Marina napoletana.”

“Non si indebolisca costà. Aiuti le mosse del generale Garibaldi colle R. navi che ella ha  al Faro “(in Sicilia).

“Impedisca, a qualunque costo, che la flotta napoletana passi all’Austria”.

Risponde il Persano: “potrei impossessarmene senz’altro al  suo passaggio nel canale di Malta. “Ma addio allora alle apparenze di neutralità!”

Commenta Persano: “Noi continuiamo, colla massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, in parte a tergo delle truppe napoletane che sono a Salerno, ed altre città.”

CAVOUR scriveva all’ammiraglio Persano, 1° giungo 1860: “Pregiatissimo signor Ammiraglio, alcuni ufficiali della Marina napoletana avendo manifestati sentimenti italiani al signor Marchese d’Aste, ho mandato a questo ufficiale, col telegrafo, l’ordine di coltivare questi sentimenti e di continuare le trattative apertesi; facendogli facoltà di assicurare a coloro che promuovessero un pronunciamento della Squadra gradi e promozioni vantaggiose. […] Ove Ella dovesse spendere qualche somma di danaro, potrà farlo dandomene immediato avviso col telegrafo, valendosi della cifra del governatore.” (C.P. Persano – La presa di Ancona – Diario privato politico-militare 1860).

CAVOUR scriveva all’ambasciatore Ruggero Gabaleone:

“Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirsi dei suoi Stati “.

CAVOUR scriveva,

il 14 luglio 1860:La via che segue il generale Garibaldi è piena di pericoli. Il suo modo di governare e le conseguenze che ha prodotte ci screditano al cospetto d’Europa. Se i disordini della Sicilia si ripetessero a Napoli, la  causa italiana correrebbe il rischio di essere perduta al tribunale dell’opinione pubblica, che renderebbe a nostro danno una sentenza, che le grandi potenze si affretterebbero di far eseguire. […] Ella avrà cura di tenersi in frequenti relazioni col comandante Anguissola e cogli altri comandanti dei legni napoletani. Quando questi difettassero di danaro per pagare gli equipaggi, gliene somministri a titolo d’imprestito.”  (C.P. Persano – La presa di Ancona – Diario privato politico-militare 1860)

INDRO MONTANELLI:

La guerra contro il brigantaggio, insorto contro lo Stato unitario, costò più morti di tutti quelli del Risorgimento. Abbiamo sempre vissuto si dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola“.

Indro Montanelli e Marco Nozza – Garibaldi – (ed. Rizzoli Milano 1972, p. 424): “Il Plebiscito diede una schiacciante maggioranza di “sì”. Ma a  cosa avessero detto sì, gli stessi elettori non sapevano che  vagamente. Maxime du Camp, testimone oculare, racconta che la gente si chiedeva: «Cos’è questa Italia unita, che significa?» ”

Bertoletti Cesare

Il Risorgimento? Una grande operazione coloniale Il «piemontese» scopre la cosiddetta «ingiustizia» rappresentata dalla  formazione unitaria del Regno d’Italia: una operazione tutta compiuta a spese e sulla pelle del povero Mezzogiorno. Sembra quasi, considerando il Risorgimento con gli occhi di Bertoletti, ch’esso sia stata una grande operazione coloniale: il Nord dell’Italia sarebbe sceso alla conquista del Sud, non diversamente da come il Regno d’Italia, nel 1896, nel 1911 e nel 1935 partì in campagna per la conquista dell’Etiopia e della Libia. Gli unificatori «piemontesi» dal 1860 in poi non ebbero, verso i napoletani, i calabresi, i siciliani, i pugliesi e via dicendo, mano meno pesante dei colonizzatori dell’Africa. Pure essi muovevano contro un Regno sette volte secolare, modello di civiltà, di fasto e di eleganza; terra natia di sommi geni del pensiero e di artisti in pittura, in musica, in architettura di fama immortale. Il Reame di Napoli non era secondo a nessuno, in Italia, per opere di modernità (applicazione del vapore, arti meccaniche, scienze fisiche, arti sanitarie) e per saggezza amministrativa. (Bertoletti C. –  II Risorgimento visto dall’altra sponda.)

Bertoletti Cesare,

figlio di piemontesi, venuto a Napoli durante la prima guerra mondiale, nella primavera del 1918, scrisse in una lettera all’amico Giovanni Artieri: “Quattro anni fa a Palermo, in uno dei miei soliti viaggi, vidi in una vetrina il libro di Mack Smith “Garibaldi e Cavour nel 1860”; lo comprai e fu una rivelazione. Capii come i miei dubbi circa il vero e il falso della storia risorgimentale stavano trasformandosi in certezze e comprai un sacco di altri libri, mentre molti altri li avevo; e mi misi a leggerli. Mi si chiarirono le idee. Mi convinsi a scrivere una storia comparata … le cui conclusioni non possono essere che queste: ignobili e malevoli calunnie durante più di un secolo a carico dei meridionali e balle sciocche e in malafede cantate in coro a favore dei settentrionali. Caro Artieri io credo di aver compiuto un dovere e tale dovere dovevo compiere proprio perché  sono di famiglia piemontese ed era ora che da un piemontese uscisse la verità per tutto ciò che è meridionale” (II Risorgimento visto dall’altra sponda.)

Fu così che unificarono l’Italia in nome della libertà. E chiamavano “tiranni”  i Borboni ! “Col ferro e col fuoco. Erano questi i mezzi coi quali volevano convincere le popolazioni del Sud che l’unità d’Italia era il modo migliore per dare loro la libertà e prosperità” “A Pontelandolfo, nel Molise, trenta donne che si erano rifugiate intorno alla croce eretta sulla piazza del mercato, nella speranza di trovarvi scampo agli oltraggi e alla morte,  furono tutte uccise a colpi di baionetta. (“La Rivoluzione italiana” –  Patrick Keyes O’Clery)

NOCEDAL

deputato nel 1863 nel parlamento spagnolo sentenzia: “L’Italia campo vastissimo di esecrabili delitti; l’Italia paese classico d’imperiture memorie, dove oggi giacciono prostrati al suolo e conculcati tutti i dritti; l’Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato liberalismo si stanno sbarbicando dalla radice tutti i dritti, manomettendo quanto vi ha di santo e di sacro sulla terra… Italia, Italia! Dove sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza!”.

Procuratore del re,

a Sciacca, nel 1906, alla inaugurazione dell’anno giudiziario:  “Si gridi pure, e gridiamo anche noi con tutte le nostre forze, contro la grave delinquenza che ci affligge. Ma quando si sostiene che ciò dipende dal fatto che la miseria e l’ignoranza sono attaccate alla nostra terra, che noi siamo sospettosi, violenti, ribelli, che in quarant’anni di vita nazionale abbiamo progredito ben poco di fronte alle regioni d’Italia, lasciate ch’io lo affermi: anche in questo non si arriva a denigrarci, ma si legge nel libro della storia l’atto di accusa contro i nostri millenari sfruttatori; non si rileva la causa dei nostri mali, ma si mettono soltanto a nudo i nostri dolori. E cosa dice il fatto che la delinquenza dell’Isola è alta di fronte a quella delle altre regioni dell’Italia centrale e settentrionale, se non che dopo aver perduto i nostri padri e i nostri fratelli sui campi di battaglia per l’indipendenza e l’unità d’Italia, siamo stati poi trascurati, spesso abbandonati, ingannati sempre? Che cosa ci dice tale dislivello, se non che lo Stato, invece di mettere anche noi nelle condizioni di potere progredire dando agio alla nostra industria agraria di sviluppare, aprendo nuovi sbocchi ai nostri prodotti, fornendoci di strade, di ferrovie, di porti, ha, in 40 anni di vita unitaria, danneggiato le piccole proprietà con un fiscalismo crudele, rafforzato con i contratti agrari il latifondo, imposto tributi sproporzionati alle nostre risorse? E che, dopo averci fìnanco contesi i tre milioni spettanti alle nostre Università, ci ha ingiuriato volentieri, mandando fra noi come in un luogo di pena, i funzionari puniti, e quindi senza quella autorità indispensabile per infondere nello spirito pubblico la fede nella giustizia, e ci ha anche tormentati ingerendosi per fini di politica personale, più o meno egoistica, in tutte le amministrazioni affermando, cosciente o incosciente, la prepotenza della mafia?”

Giuseppe Alessi,

primo Presidente della Regione Siciliana, in una conferenza su Mafia e potere politico a Catania nel 1968: “Io ritengo responsabile primario del mondo mafioso lo Stato, quello stesso che in Italia, dai giorni dell’Unità ad oggi, ha dato la dimostrazione legislativa ed amministrativa dello spregio della legge. Se mafia vuol dire extralegalità, rifiuto della legge, sostituzione del fatto imperioso e prepotente alla norma e al rapporto giuridico, se la mafia vuol dire tutto questo, e contemporaneamente si considera la storia della nostra Isola dal plebiscito ad oggi, ci accorgiamo che si tratta di una sequela di sopraffazioni in cui lo Stato è il primo ad affermare l’inutilità della legge, l’offesa alla legge.”

SIDNEY SONNINO,

Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia: “La Sicilia lasciata a se troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari, e ce ne assicurano l’intelligenza e l’energia della sua popolazione, l’immensa ricchezza delle sue risorse. Ma noi italiani delle altre regioni, impediamo che tutto ciò avvenga. Abbiamo legalizzato l’oppressione esistente, ed assicuriamo l’impunità all’oppressore”.

NINO BIXIO,

a sorpresa afferma: “la Sicilia sarebbe rimasta pacifica sotto i Barboni, se la rivoluzione non fosse stata ivi portata dalle altre provincie d’Italia, ossia dal Piemonte”;

fonte

sudindipendente.superweb.ws

 

 

 

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