11 novembre 2018 Michele Pezza ricorda Michele Pezza alias Fra’ Diavolo (III Parte)
Pubblichiamo la relazione di Fernando Riccardi dedicata al Regno di Napoli nel 1799
Napoli
Museo delle Arti Sanitarie
Ospedale Incurabili
“Quell’uom dal fiero aspetto…”
Approfondimento sulla figura di Michele Pezza
meglio noto come Fra Diavolo
Domenica 11 novembre 2018, ore 11.30
Relazione
Fernando Riccardi
Il Regno di Napoli ai tempi di Fra Diavolo
1799
Volendo restituire a papa Pio VI la sovranità che i francesi gli avevano tolto occupando lo stato romano e temendo per la sorte del suo stesso Regno, il re Ferdinando IV di Borbone, alla fine di novembre del 1798, marcia con il suo esercito alla volta di Roma. I giacobini, molto inferiori numericamente, saggiamente si ritirano, consentendo alle truppe borboniche, guidate dal generale austriaco Karl Mack von Liebarich, di occupare Roma senza colpo ferire. Ma quello fu un successo di brevissima durata.
Ai primi di dicembre, infatti, il generale Mack viene sconfitto a nord di Roma dalle truppe di Championnet.
A questo punto vale la pena di spendere due parole sul generale Mack: grande teorico dell’arte militare, non aveva però mai guidato un esercito sul campo di battaglia e la sua inesperienza contribuì non poco a determinare la rotta dell’esercito borbonico che, suddiviso in troppi tronconi, non seppe contrastare validamente l’offensiva di Championnet.
Ancora una volta, dunque, la scelta compiuta dalla monarchia borbonica di affidare il comando dell’esercito alla persona sbagliata (e purtroppo non sarà neanche l’ultima…) ebbe un peso decisivo nelle sorti del conflitto.
Anche in seguito il generale Mack dette ampia dimostrazione della sua insipienza: nell’ottobre del 1805, infatti, a Ulma, al comando dell’armata austriaca forte di 80 mila uomini, subì una indecorosa sconfitta che gli valse il deferimento alla corte marziale e la successiva condanna a morte, poi tramutata nel carcere a vita, anche se finì per scontare soltanto due anni di prigione.
Dopo la sconfitta l’esercito borbonico inizia a ritirarsi disordinatamente ed a sfaldarsi. Il 23 dicembre, constatata la piega poco positiva degli eventi, il re Ferdinando, la regina Maria Carolina e la corte borbonica, si trasferiscono nella più sicura Palermo, imbarcandosi sulla flotta dell’ammiraglio inglese Oratio Nelson. Il tremebondo Francesco Pignatelli viene nominato vicario generale del Regno.
Intanto i giacobini avanzano indisturbati o quasi verso Napoli. Soltanto nei pressi di Capua vengono impegnati in combattimento e costretti ad arrestare la loro marcia.
Ma si tratta soltanto di un episodio sporadico.
Qualche giorno dopo, a Sparanise, il pavido Pignatelli stipula con i francesi un vergognoso armistizio che sancisce, di fatto, la resa: è l’11 gennaio del 1799.
Pignatelli viene subito destituito dalla carica e sostituito da un esecutivo militare guidato, eccolo che ritorna, dal generale Mack. Che riesce nella non facile impresa di fare peggio di Pignatelli. E infatti, mentre quest’ultimo raggiunge i sovrani in Sicilia, Mack pensa bene di consegnarsi ai Francesi in quel di Caserta.
A questo punto la strada per Napoli è spalancata.
L’unico ostacolo restano i “lazzari” che di arrendersi o di scappare non hanno alcuna intenzione e si preparano ad affrontare i giacobini cercando di impedire il loro ingresso nella capitale del Regno.
Intanto il 21 gennaio un gruppo di “patrioti” napoletani, rincuorati dalla vicinanza dei giacobini, inalbera su Castel Sant’Elmo il vessillo della repubblica.
E così Championnet parte all’assalto.
Ci vogliono due giorni di feroci combattimenti per piegare la coraggiosa resistenza dei “lazzari” che si battono da leoni, al Ponte della Maddalena e a Porta Capuana, contro un nemico preponderante e meglio armato, suscitando l’ammirazione dello stesso generale Championnet.
Ma, nonostante l’eroismo dei “lazzari”, che cadono in diecimila di fronte ai giacobini, il 23 gennaio Championnet può entrare in una città dall’aspetto spettrale, con i cadaveri che numerosi sono accatastati ai margini delle strade. Alla carneficina contribuiscono non poco i “patrioti” repubblicani che, mentre infuria il combattimento per le vie di Napoli, bombardano i “lazzari” dall’alto dei castelli.
Il 24 gennaio Championnet forma un governo provvisorio di giacobini e di riformatori napoletani (mai riconosciuto dal direttorio parigino, peraltro), la cui presidenza è affidata al teanese Carlo Lauberg.
Nasce così la “Repubblica Napoletana una ed indivisibile” che, al di là dei proclami e delle buone intenzioni, si regge soprattutto sulle baionette e sui fucili dei francesi e si protrae stancamente fino alla metà di giugno del 1799, quando cade sotto i colpi possenti dell’Armata Reale e Cristiana del cardinale Fabrizio Ruffo.
La cui marcia inarrestabile, partita a metà febbraio dalla Calabria, si conclude con l’ingresso a Napoli il 13 giugno, giorno della festa di Sant’Antonio di Padova.
Ancora una volta c’è una cruenta battaglia nei pressi del Ponte della Maddalena dove i repubblicani tentano una disperata resistenza. Nel corso del combattimento resta ucciso il generale Wirtz, già colonnello dell’esercito borbonico, passato armi e bagagli sul fronte repubblicano. Superato questo scoglio, però, i sanfedisti di Ruffo possono entrare in Napoli, sancendo così la fine dell’esperienza repubblicana che è durata soltanto sei mesi o giù di lì.
Qualche tempo dopo il re Ferdinando torna a Napoli e riprende possesso del suo trono.
La restaurazione borbonica porta, contrariamente ai desiderata del cardinale Ruffo, che per questo finisce per essere esautorato, alla condanna a morte, dopo regolare processo, di 99 patrioti, i cui nomi sono scolpiti nel monumento che si erge a Piazza dei Martiri.
Tra questi 99 ci sono anche due donne: Eleonora Pimentel Fonseca, poetessa e giornalista, che diresse durante il periodo repubblicano il “Monitore Napoletano”, e Luisa Sanfelice, la cui vicenda sembra più rifersirsi ad un feutillon amoroso che ad una vicenda politica vera e propria.
Accanto alla restaurazione borbonica, per molti aspetti inflessibile e financo troppo dura, voluta, anzi imposta, soprattutto dall’ammiraglio Nelson con la connivenza della regina Maria Carolina che, non dimentichiamolo, era sorella di quella Maria Antonietta che era stata decapitata in Francia qualche anno prima, ci sarebbe da parlare anche delle inaudite violenze giacobine che sono state tanto abnormi quanto poco evidenziate da una storiografia fin troppo partigiana.
Ma di questo parleremo in un’altra occasione.
1806
Andiamo invece ora a tratteggiare, sempre molto sinteticamente, la seconda invasione francese del Regno di Napoli.
Abbiamo lasciato il re Borbone assiso di nuovo sul suo trono, dopo la violenta bufera dell’occupazione giacobina e della riconquista da parte del cardinale Ruffo.
Quelli, però, non sono tempi di pace né tanto meno di tranquillità: Napoleone Bonaparte, infatti, vuole diventare a tutti i costi il padrone assoluto del continente europeo. Magari consegnando i vari stati di cui viene in possesso ai membri della sua famiglia.
Al fratello Giuseppe tocca, in questa mera logica spartitoria, portata avanti con cinica determinazione, il Regno di Napoli.
Così Napoleone, imperatore dei francesi, nel dicembre del 1805, tuona minaccioso dal campo di Schonbrunn: “Ho fatto di tutto per salvare il re di Napoli ed egli ha fatto tutto per perdersi… La dinastia di Napoli ha cessato di regnare. La sua esistenza è incompatibile col riposo d’Europa e coll’onore della sua corona… Soldati, marciate, precipitate ne’ flutti… le deboli truppe de’ tiranni… Fate che il mondo vegga come gli spergiuri sono puniti da noi… Soldati, mio fratello vi guiderà. Egli ha l’intera mia fiducia e confidenza: circondatelo colla vostra”.
Napoleone, in parole povere, ha decretato la fine del Regno di Napoli. Ed ha affidato l’incarico al fratello Giuseppe e, soprattutto, al generale Massena, che forte di un’armata di 40 mila uomini, si appresta ad eseguire la sentenza.
Di fronte all’esecito transalpino c’è quello borbonico, guidato dal generale russo Lascy, che ha giurato al re Ferdinando di deporre la sua spada solo dopo aver “rovesciato dal trono l’infame corso”. Un proposito fiero che, però, finisce per essere ben presto spazzato via dall’evolversi degli eventi.
Dopo la battaglia di Austerlitz (2 dicembre 1805), la cosiddetta “battaglia dei tre Imperatori”, dove Napoleone riporta una grande ed esaltante vittoria, i russi decidono di uscire dal conflitto mentre l’Austria si vede costretta a firmare la pace di Presburgo (26 dicembre). Il che ha importanti ripercussioni anche sullo scacchiere dell’Italia meridionale: riunitisi a Teano, infatti, gli alleati del Borbone, e in particolar modo inglesi e russi, decidono di abbandonare il fronte lasciando al solo esecito napoletano il compito impari di contrastare i francesi.
Considerato che le cose volgono al peggio, re Ferdinando pensa bene di fare quello che già aveva fatto nel 1799: lascia Napoli e si trasferisce a Palermo, nominando il figlio Francesco vicario generale del Regno (24 gennaio 1806).
L’esercito borbonico, 16 mila uomini al comando del generale Damas, viene dirottato in Calabria, nei pressi delle gole di Campotenese, dove si spera di resistere al nemico confidando soprattutto sull’asprezza dei luoghi. Così facendo, però, di fatto, si lascia campo libero a Massena che può marciare con le sue truppe indisturbato verso Napoli. E questa volta non ci sono i “lazzari” a frenarne l’incedere… Né tanto meno nel Regno c’è stata quella sollevazione popolare, quella insorgenza di massa, che tanto fastidio aveva dato ai giacobini nel 1799.
Il 14 febbraio del 1806 il generale Massena e Giuseppe Bonaparte fanno il loro trionfale ingresso in città, in una atmosfera di festa, con le campane che suonano a distesa.
Il 30 marzo, con un decreto firmato da Napoleone, Giuseppe Bonaparte diventa ufficialmente re di Napoli, esautorando il Borbone.
Ma se tutti, esercito compreso, si sono arresi all’ineluttabile, soltanto un uomo continua imperterrito la sua battaglia disperata e senza alcuna speranza di successo: quell’uomo è Michele Pezza da Itri, alias Fra Diavolo.
Con l’insediamento di Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli, che nel 1808 viene sostituto da Gioacchino Murat, il cognato di Napoleone, nel meridione d’Italia inizia il periodo che viene chiamato il “decennio francese”.
Soltanto con la sconfitta definitiva di Napoleone e il suo esilio nella sperduta isoletta di Sant’Elena, i Borbone potranno tornare a Napoli dove rimarranno fino al 1860, quando un’altra invasione decreterà la fine, questa volta definitiva, dell’esistenza del Regno di Napoli, nel frattempo diventato Regno delle Due Sicilie.
Ma anche di quest’ultima vicenda parleremo in un’altra occasaione.
Napoli, li 11 novembre 2018
Fernando Riccardi