12 maggio 1799 cosa hanno scritto i francesi
il nostro regista e cameramen Laborino Raimondo Rotondi sensibile da tanto tempo ai tragici fatti del giorno di pentecoste del 1799 di Isola Liri ci permette di pubblicare la storia raccontata ed estratta dal diario di un generale francese che ha un valore particolare perché da lui tradotta personalmente. di seguito il racconto
L’ECCIDIO DI ISOLA DEL LIRI DEL 12 MAGGIO 1799
secondo le “Memoires du Général Baron Thiébault” vol. II pag.529-535
libera traduzione di Raimondo Rotondi
Il giorno successivo 12 (maggio 1799 n.d.t.) tutto lasciava presagire una giornata difficile.
I tre quarti delle truppe, sia con il saccheggio del giorno prima sia con quello della notte, avevano quintuplicato le loro razioni. Nel contempo avevano reso impossibile ogni distribuzione all’ultimo quarto della divisione che, arrivando dopo e trovando tutto già saccheggiato, non aveva niente da mangiare.
In questo modo alcuni non avevano il necessario, mentre altri erano sazi e ubriachi già prima di partire. Passando davanti alle nostre carrozze, gli uni per ubriachezza, gli altri per rabbia, si permettevano commenti ingiuriosi, mostrando un’audacia minacciosa.
Questa disposizione d’animo non era l’unico motivo d’allarme per il generale Olivier.
Sapeva che tutti gli insorti della zona si erano rifugiati a Isola, città definita dal suo nome, perché è a tutti gli effetti in un’isola formata dal Garigliano che, cadendo da un’altezza di cento piedi, vi forma una delle più belle cascate conosciute, con acque turbolente che s’infrangono fra rocce a picco.
Il generale Olivier sapeva che gli insorti avevano tagliato l’unico ponte d’accesso alla città, che era munita di artiglieria e che aveva tutte le case fortificate. Non restava più nessuna comunicazione possibile tra la strada che stavamo seguendo e quella della marina. Isola era l’unico punto dove l’artiglieria, i bagagli, le ambulanze e le carrozze potevano passare.
Come ho già detto, i soldati da due giorni vivevano soltanto di saccheggio.
Fino a sei leghe (circa 24 Km n.d.t.) dietro di noi tutte le abitazioni e tutti i paesi a portata della strada erano stati devastati e incendiati. Gli ufficiali della brigata dichiaravano di non sapere più come fermare quegli orribili eccessi, che prendevano pretesto dalla fame e diventavano sempre più feroci a causa della resistenza degli abitanti.
I commissari di guerra avevano verbalizzato l’impossibilità di garantire qualsiasi servizio. In conclusione la divisione versava nello sbandamento totale, come avviene sempre dopo una sconfitta o un insuccesso. La pioggia intensa, che cadeva ininterrotta da settantadue ore, rendeva la marcia ancora più spiacevole.
In una situazione così critica, rammaricandosi per il fatto che il generale Macdonald non aveva fatto occupare prima Isola da un reggimento, il generale Olivier decise di inviare agli insorti una delegazione, per dire loro che l’esercito francese era in ritirata dal territorio di Napoli e avevano tutto l’interesse a non opporsi al suo transito veloce, visto che stava arrivando anche una seconda divisione. I colpi d’armi da fuoco che accolsero la delegazione impedirono qualsiasi accordo.
L’attacco già predisposto fu così ordinato, e iniziò immediatamente.
Il generale Watrin attaccò con forza e costrinse subito gli insorti ad indietreggiare sulla riva sinistra, fino al ponte del Garigliano. Da quel momento la resistenza divenne più intensa e per raggiungere il ponte avremmo dovuto percorrere un tragitto di centocinquanta tese (circa 300 mt n.d.t.) lungo la riva, a fianco scoperto.
Per fiaccare la resistenza i cannoni spararono senza soste dalle dieci del mattino fino all’una e trenta del pomeriggio. Il cannoneggiamento costrinse gli insorti ad abbandonare, almeno in parte, le prime case di Isola. Fummo così in grado di avventurarci lungo il fiume fino al ponte, dove constatammo che quegli arrabbiati non avevano fatto in tempo a tagliare l’ultima passerella dell’arco principale, che avevano conservato per garantirsi la ritirata.
Il generale Watrin mi chiese se volevo incaricarmi di conquistare la città alla testa di sei compagnie di granatieri. Accettai con entusiasmo, perché lo zelo e il senso dell’onore furono sufficienti per dare a quella proposta la forza di tutti gli ordini del mondo (1).
(1) Io ero capo di stato maggiore della divisione e potevo ricevere ordini solo dal generale che la comandava. Il generale Watrin era soltanto un comandante di brigata.
La passerella era difficile da percorrere per le irregolarità, la lunghezza, l’altezza sopra l’acqua, il soffio della cascata e la rapidità della corrente. Ci sono, però, momenti in cui l’ostacolo scompare. Sotto il fuoco dritto e incrociato, alla testa dei miei uomini, superai quella passerella, che costò la vita a sessanta granatieri.
Penetrai finalmente nella città e ne divenni il padrone.
A città oramai presa il generale Olivier commise l’errore irreparabile di farvi entrare subito le altre truppe.
I soldati, ubriachi o affamati, si sbandarono e nulla poté più fermare i loro frenetici eccessi.
A sera la disgraziata città era ridotta ad un cumulo di fango, rovine e cadaveri.
Da entrato per primo cercai di salvare donne, bambini, vecchi, che da tutte le parti si erano precipitati verso di me. Avevo piazzato una forte guardia a una casa, sulla porta della quale avevo fatto scrivere il mio nome. Lì avevo fatto entrare quasi trecento persone. Vi avevo fatto portare anche un granatiere, che era rimasto ferito mente mi aiutava a superare la passerella. Anche io mi ero alloggiato lì. Più volte avevo disperso gruppi di soldati facinorosi, che si erano radunati davanti alla mia porta e avevano manifestato, ad alta voce, l’intenzione di violentare le donne alle quali avevo dato rifugio.
Quando mi sembrò di aver ristabilito l’ordine andai a cercare Pauline, che arrivò mentre scoppiava l’incendio in due case prossime alla mia. Nel frattempo i disordini erano ripresi dappertutto con rinnovata intensità.
Incapace di sopportare quello spettacolo Pauline mi supplicò di riportarla alla sua carrozza. Aveva anticipato le mie intenzioni, anche se attraversare la città era diventato un azzardo.
Il mio caro amico Clement, allora capo squadrone del 19° Cacciatori, ed io prendemmo sotto braccio Pauline.
Ciascuno degli altri membri della servitù e del seguito, maggiordomi o valletti, fu scortato da almeno due ufficiali. Riuscimmo infine a tornare alle carrozze, attorno alle quali bivaccavano i miei cacciatori. Rientrata Pauline nella sua carrozza, la lasciai con Dath e tornai in quell’orrida città.
Trovai il generale Olivier in preda alla disperazione. Il contrappello non aveva prodotto risultati. Aveva appena fatto suonare l’adunata generale, ma nessun uomo aveva risposto.
Molte ronde d’ufficiali percorrevano le strade senza ottenere nessun risultato.
Alla fine il generale Olivier si mise alla testa di una ronda composta da due generali di brigata, da tutti i colonnelli e da me.
Tutto quello che ottenemmo fu di rischiare di farci ammazzare almeno venti volte per ognuno e di compromettere sempre più l’autorità dei nostri gradi.
Il generale Olivier si riprometteva di farsi ammazzare alla prima occasione e, in risposta a me che deploravo le irreparabili conseguenze dell’errore di avere riempito la città di soldati ubriachi, maledisse la sorte dei capi destinati a comandare truppe abituate da troppo tempo alla guerra civile, che distrugge ogni disciplina e rende avvezzi i soldati ad ogni crimine che questo tipo di guerra comporta.
Scesa la notte tornai da Pauline. Dath, preferendo il peggior letto alla migliore carrozza, tornò a Isola per dormire nella casa che mi ero riservato e che ero riuscito, per miracolo, a salvaguardare. Ricciulli e Scheel si fermarono nella carrozza di quest’ultimo. Nella carrozza di Pauline, Thérese si addormentò sulle ginocchia della governante. Io rimasi seduto sul predellino. In quella situazione, con l’animo stanco e afflitto da tanti urti e orrori, la mente annichilita dal ricordo e dall’immagine di tutto quello che era accaduto e stava accadendo intorno a noi, io e Pauline guardammo la desolazione che avevamo davanti. Quello che restava della città era in fiamme. Sentivamo il frastuono delle case che crollavano e le urla strazianti che, a tratti, ancora laceravano l’aria. Il rombo della cascata si mescolava allo scroscio della pioggia torrenziale e al ruggito del vento fra i rami degli alberi … Cosa c’era di più disperato? Cercai di distrarre Pauline da quell’orrore raccontandole che, quando avevo lasciato il generale Olivier, una trave in fiamme caduta da un tetto mi era passata così vicino che ne avevo sentito il calore su tutta la schiena, attraverso i vestiti. Un granatiere, che fumava tranquillo la pipa seduto sulla soglia di una casa in fiamme, mi aveva detto: “Mio generale quella trave meritava un saluto.”
Fui interrotto dall’arrivo al galoppo di Le Roy e Dath con il mio cocchiere e i miei servitori.
- Ah! – gridò Dath – È terribile, la vostra casa è bruciata. –
- Io – gridò un altro – sono scappato passando dalla finestra –
- Io sfondando una parete. –
- Per miracolo sono riuscito a salvare i tuoi cavalli – aggiunse il mio cocchiere.
- Ma il granatiere che avevo salvato? E tutti gli altri infelici?
- Non chiedeteci niente, generale, l’incendio è scoppiato in tre posti diversi. Soldati ubriachi presidiavano tutte le uscite; abbiamo tutti rischiato di morire; abbiamo salvato soltanto i nostri vestiti e le nostre voci
- Legammo i cavalli dietro le vetture e, come la sera prima, rimediammo un po’ di erba bagnata per dar loro da mangiare. Tutti gli ordini per le truppe erano bruciati e dovevano essere rifatti. La mia vettura servì quindi da ufficio per me e Dath, mentre Le Roy si sistemò sotto di essa per evitare la pioggia, così come il mio altro segretario si mise sotto quello di Pauline. Così sistemati, alla luce di mozziconi di candele, utilizzammo il resto di quella terribile notte per redigere tutti gli ordini per il movimento truppe del giorno successivo. Il mio ordine del giorno avvisava le truppe che lasciavamo il territorio napoletano per entrare in una Repubblica amica, e minacciava le più terribili punizioni per tutti quelli che avessero causato il minimo disordine. La strada da Isola a Veroli, dove la divisione doveva arrivare il 13, segue un percorso estremamente difficile, a causa dei pendii scoscesi e dei numerosi crepacci. Era facile prevedere, nonostante la pioggia fosse cessata già dal mattino, che la terra, inzuppata da quattro giorni di pioggia, avrebbe rappresentato un difficile ostacolo per l’artiglieria, i bagagli e le ambulanze
- L’artiglieria aveva l’ordine di mettersi in marcia al sorgere del giorno, ma il ponte d’Isola, la cui passerella era stata sommariamente riparata per il passaggio dei soldati della divisione, fu percorribile dai grossi carri soltanto alle nove. A quell’ora non si era ancora riusciti a sgombrare la strada dalle macerie, dai pezzi di legno ancora in fiamme e dai cadaveri. Quando infine l’artiglieria fu pronta a mettersi in movimento si dovettero far passare i pezzi e gli affusti uno ad uno, a piccola andatura e con qualche minuto d’intervallo fra l’uno e l’altro. Dopo l’artiglieria fu la volta delle ambulanze che, a causa dei combattimenti del ponte, trasportavano ottanta feriti in più, ed impiegarono molto tempo a passare. Dopo vennero le carrozze del pagatore e, infine, le carrozze, che anche trasportavano feriti. Malgrado l’impegno, furono costrette a soste continue e impiegarono un quarto d’ora per fare cento passi. La paura di passare in carrozza sul ponte, messo a dura prova dal passaggio dell’artiglieria, e lo stato della strada consigliarono a Pauline di attraversare Isola a piedi. Fu un tragitto orribile, durante il quale si camminò tra cadaveri martoriati, sanguinanti o anneriti dalle fiamme. C’erano spazi in cui avevano accatastato enormi cumuli di quei resti umani. La sola chiesa conteneva i cadaveri di circa settecento sfortunati, che avevano cercato invano rifugio ai piedi dell’altare.
THIÉBAULT
Paul Charles Henri François Adrien Dieudonne Thiébault
nato il 14/12/1769 a Berlino, morto il 13/10/1846 a Parigi, fu un generale dell’impero. Si distinse nell’assalto di Napoli nel mese di gennaio 1799. Le sue monumentali memorie rappresentano una fonte preziosa per la storia del Primo Impero, poiché sono piene di dettagli poco conosciuti e giudizi spesso critici sulla storia e sui grandi personaggi dell’impero napoleonico.
WATRIN
François Watrin
nato 29/01/1772 a Beauvais (Oise), morto il 22/11/1802 a Port Au Prince (Santo Domingo) fu un generale della rivoluzione francese. Ebbe una carriera militare eccezionalmente rapida, favorita dall’impegno dimostrato durante gli eccidi di Vandea.
OLIVIER
Jean Baptiste Olivier
nato a Strasburgo il 25/12/1765, morto in servizio il 27/09/1813 a Witterness, nominato generale di divisione nel 1799 dopo i combattimenti contro gli insorti calabresi, e le stragi conseguenti.
Pagine da Thiébault 2