160 anni dall’eccidio di Pietrarsa
Ricorrono i 160 anni dell’eccidio di Pietrarsa, avvenuto nel tardo pomeriggio del 6 agosto 1863, a due anni dai moti risorgimentali che condussero all’unificazione del Paese. Pietrarsa è una località posta nella zona orientale della città di Napoli, incardinata sul limitare del quartiere di San Giovanni a Teduccio e i comuni di Portici e San Giorgio a Cremano. Oggi risiede, a Pietrarsa, il museo nazionale ferroviario.
Ma cos’era, realmente, Pietrarsa? Perché è così importante per la gente del Sud? Cosa accadde quel maledetto 6 agosto? Ciò che Pietrarsa è stato e ciò che rappresenta tutt’oggi, può essere, a pieno titolo, annotato tra le tante pagine dimenticate, frustrate e mistificate della storia del Sud. A ridosso del mare che bagna San Giovanni a Teduccio, Portici e San Giorgio, nasceva uno dei più importanti e produttivi opifici del Regno delle Due Sicilie. Uno stabilimento siderurgico che produceva locomotive, vagoni, rotaie, motori industriali, gru e persino i pannelli per le lavatrici industriali istallate nel ‘Real Albergo dei Poveri’ di Napoli, più comunemente noto con il nome di ‘Serraglio’. Il ‘Real Opificio Borbonico di Pietrarsa’ era il più grande polo siderurgico della penisola italiana. La sua popolazione operaia raggiungeva le 1000 unità per superare i 1050, sotto il re Francesco II; ultimo re duosiciliano. Voluto da Ferdinando II di Borbone per affrancare il Regno di Napoli dalle dipendenze industriali straniere, inglesi in particolare, fin dalla sua apertura contava oltre 700 operai, divisi per settori di lavorazione e specializzati attraverso corsi di formazione dedicati. L’organizzazione della produzione e la capacità di trasformazione, incoraggiò l’imprenditoria russa a ricalcare il modello ‘Pietrarsa’, sulla cui scorta nacquero le ‘Officine di Kronštadt’, a pochi chilometri da San Pietroburgo, permettendo di importare un modello industriale tutto napoletano. Gli operai erano divisi in turni di otto ore e guadagnavano una paga adeguata. Quei lavoratori, per primi in Italia, godevano di una pensione statale con una minima detrazione sullo stipendio. Il declino della vigorosa e sana realtà industriale napoletana, iniziò con l’arrivo dei piemontesi. Fu allora, infatti, che tutte le realtà produttive del regno, furono travolte delle perverse strategie di oppressione produttiva, a favore dell’economia settentrionale. “Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere”, sentenziò quel Carlo Bombrini, in riferimento alle popolazioni del Sud; intento che, a quanto pare, gli riuscì oltre ogni sua più lontana previsione. Uomo di fiducia di Camillo Benso Conte di Cavour, Carlo Bombrini, ricopriva il posto di Governatore della Banca Nazionale; fu lui ad occuparsi dell’alienazione dei beni dalle Due Sicilie, grazie al piano economico finanziario avallato dal governo piemontese. Con l’annessione del regno e l’arrivo dei ‘garibaldesi’, l’impianto industriale di Pietrarsa, passò sotto la direzione di Jacopo Bozza, il cui nome rimarrà, imperituro, legato all’eccidio di Pietrarsa. Ma per dare la dimensione di quanto accadde, in un salto all’indietro nel tempo, ci piace immergerci nelle parole vergate dall’articolista che raccontò l’accaduto nelle colonne de ‘Il Popolo d’Italia’ del 7 agosto 1863: “Il fatto dolorosissimo avvenuto nell’officina di Pietrarsa, nelle vicinanze di Portici, ha prodotto su tutti indistintamente la più funesta e penosa impressione. Coll’animo affranto e commossi rofondamente ne diamo qui appresso i particolari, che possiamo ritenere esatti. Un tal Jacopo Bozza, uomo di dubbia fama, ex impiegato del Borbone, già proprietario e direttore del giornale ‘La Patria’, vendutosi anima e corpo all’attuale governo, aveva avuto in compenso da questo governo moralizzatore la concessione di Pietrarsa. Costui, divenuto direttore di questo ricco opificio, che è il più bello e il più grande d’Italia, avea per lurido spirito d’avarizia accresciuto agli operai un’ora di lavoro al giorno, cioè undici ore da dieci che erano prima; ad altri licenziamento, comunque nel contratto d’appalto c’era l’obbligo di conservare tutti … Gli operai, così detta battimazza, che avevan prima 32 grana di paga al giorno eran stati ridotti a 30 grana; e questi, dopo aver invano reclamato su tale torto, ieri annunziarono al Bozza ch’essi erano decisi piuttosto ad andar via anzichè tollerare la ingiustizia, però domandarongli il certificato di ben servito. Pare che il Bozza non solo abbia negato il certificato, ma abbia risposto con un certo Ordine del giorno ingiurioso a’ poveri operai. Allora ci fu che uno di questi suonò una campana dell’opificio, verso le 3 p. m., ed a tale segnale tutti gli operai, in numero di seicento e più, lasciarono di lavorare ammutinandosi, e raccoltisi insieme gridarono abbasso Bozza ed altre simili parole di sdegno. Il Bozza, impaurito a tale scoppio si die alla fuga; fuggendo precipitosamente, cadde tre volte di seguito per terra; indi si recò personalmente, o mandò un suo fido, com’altri dice, a chiamare i bersaglieri che erano di guarnigione in Portici, perché accorressero a ristabilire l’ordine in Pietrarsa, non sappiamo in che modo narrando l’avvenimento al comandante. E così accorse un maggiore con una compagnia di bersaglieri. Nel frattempo un capitano piemontese, addetto a dirigere i lavori dell’opificio, uomo onesto e amato dagli operai, mantenne questi in quiete, aspettando che arrivasse qualche autorità di Pubblica Sicurezza o la Guardia Nazionale per esporre le loro ragioni. Ma ecco che invece giunsero i bersaglieri con le baionette in canna: gli operai stessi che erano tutti inermi aprirono il cancello, ed i soldati con impeto inqualificabile si slanciarono su di essi sparando i fucili e tirando colpi di baionetta alla cieca, trattandoli da briganti e non da cittadini italiani, qual erano quegli infelici! Il capitano che dirigeva i lavori, e del quale abbiamo accennato più sopra, si fece innanzi con kepi in mano, e gridando a nome del Re fece cessare l’ira della soldatesca. Tralasciamo i commenti su questo orribile fatto. Fu una scena di sangue, che amareggerà l’anima di ogni italiano, che farà meravigliare gli stranieri e gioire i nemici interni. Cinque operai rimasero morti sul terreno, per quanto si asserisce: altri che gettaronsi a mare, cercando di salvarsi a nuoto, ebbero delle fucilate nell’acqua, e due restarono cadaveri. I feriti sono in tutto circa venti: sette feriti gravemente furono trasportati all’Ospedale de’ Pellegrini, altri andarono nelle proprie case.” Una pagina triste e buia che segnò un luttuoso primato; i primi operai caduti sotto i colpi della repressione. Le cronache, da più parti, fanno riferimento ad un nemro di morti che vanno dalle sette alle nove unità ma, allo stato attuale, ci vengono trasmessi i nomi di sole quattro vittime: Luigi Fabbricini;
Aniello Marino; Domenico Del Grosso e Aniello Olivieri. I primi martiri delle lotte operaie. Ecco cosa rappresenta Pietrarsa per il Sud.
Nando Cimino
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