1799 IL “VELO DELL’OBLIO” : ERRORE O COLPA DI FERDINANDO IV?
Di solito, alla fine di un conflitto, sia esso una battaglia di pochi giorni che una vera e propria guerra di più lunga durata, la storia che viene tramandata ai posteri è quella che reca l’ imprimatur del vincitore.
Invece, nel caso della parentesi gennaio-giugno 1799, che interessò il Regno di Napoli la regola fece un’ eccezione, che comportò (e comporta tuttora) una lunga serie di diatribe e di accuse, che, a distanza di duecentoventi anni, non riescono ancora né a sopirsi né a trovare una soluzione.
Avvenne che, sebbene Ferdinando IV avesse riacquistato il Regno ad opera del Ruffo e quindi fosse da considerare a tutti gli effetti il vincitore, diede agio ai vinti di scrivere la storia della loro breve esperienza politica come meglio loro aggradava, permettendogli così di fissare in maniera indelebile quella che sarebbe divenuta “la memoria” del 1799 ; per cui – caso quasi unico nella storia dell’umanità – i traditori della patria vennero elevati al rango di “patrioti” e coloro che erano insorti per difendere la propria patria, i propri beni, , la propria religione, la propria vita vennero considerati nemici della patria e persone non degne di essere ricordate, se non con gli epiteti più offensivi. A riprova di quest’affermazione, la Piazza dei Martiri situata in uno dei quartieri più eleganti della città di Napoli non è dedicata mica ai lazzari, ai sanfedisti o ai realisti, ma ai caduti della Repubblica Napolitana del 1799 (leone morente), ai caduti dei moti carbonari del 1820 (leone ferito dalla spada), ai caduti nei moti del 1848 (leone con lo Statuto del 1848 sotto la zampa), ai caduti dell’epopea garibaldina del 1860 (leone pronto ad attaccare la preda).
Le motivazioni di fondo che indussero Ferdinando IV a volere che su tutta la vicenda del 1799 venisse steso il “velo dell’oblio” possono essere considerate un errore solo a posteriori. All’epoca dei fatti – come avverrà nel Risorgimento con la damnatio memoriae per le popolazioni dell’ex Regno delle Due Sicilie – Ferdinando IV aveva tutte le ragioni per ritenere che, decretando il silenzio assoluto sul triste periodo della Repubblica Napolitana, facendo distruggere finanche i verbali dei processi intentati contro i giacobini, il non parlarne avrebbe favorito pian piano un assopimento degli odi, e i fratelli che pochi giorni prima si erano trovati su posizioni opposte della barricata sarebbero ritornati a convivere pacificamente, come espressamente comandato anche durante i combattimenti sia dallo stesso re che dal suo vicario generale, cardinale Ruffo, che raccomandavano di non usare violenza contro persone notoriamente compromesse a livello politico, purché disarmate e in atteggiamento di dichiarata ed evidente non-ostilità.
L’iniziativa, invece, fu e viene ancora strumentalizzata dagli epigoni dei repubblicani, che la imputano come colpa a Ferdinando, il quale, in questo modo avrebbe voluto eliminare in via definitiva prove compromettenti a suo carico, o, comunque, a carico degli organi della ripristinata monarchia, passando sotto silenzio che, comunque, i repubblicani condannati a morte ebbero un regolare processo e dimenticando, invece, come furono trattati dai repubblicani i fratelli Gerardo e Gennaro Baccker, i fratelli Ferdinando e Giovanni La Rossa e Natale D’Angelo, con un “supplizio crudele perché nelle ultime ore del governo, senza utilità di sicurezza ed esempio”, come ammise lo stesso Colletta dichiaratamente non simpatizzante per i Borbone. [1]
Nelle ore successive furono fucilate anche altre “undici persone della minuta plebe” e ci sarebbe stata una carneficina se ci fosse stato più tempo. [2]
“… Si era decretato di far morire nella notte il mio caro padre, li restanti fratelli con tutti li compagni carcerati ed sterminare ancora tutte e due le nostre intiere desolate famiglie fino alli gatti…”[3] (Parole della sorella dei Baccher, Angela Rosa, al medico napoletano Domenico Cotugno).
Non è un mistero che i Borbone fossero più inclini al perdono che alla vendetta. E di prove ne esistono a iosa. Una per tutte il caso di Guglielmo Pepe.[4] Né sono un mistero le condanne all’ esilio comminate agli esponenti repubblicani e più tardi ai liberali più compromessi al posto della condanna a morte o all’ ergastolo : esilio poi sfruttato dai beneficiati per infangare il nome del benefattore e per continuare a tramare per la sua scomparsa.
Castrese Lucio Schiano
[1] Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli, ed. Napoli, 1970, vol. II, p. 84
[2] Domenico Ambrasi, Don Placido Baccher, Napoli, 1979, p. 37 (l’Ambrasi riporta un’affermazione del Marinelli).
[3] Domenico Cotugno, Lettere e scritti autografi, Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, fondo San Martino, n. 122
[4] Iscritto nella milizia della repubblica, combatté contro i sanfedisti a Portici e a Napoli. Esiliato, riparò in Francia ove entrò nella legione italiana agli ordini di Napoleone. Tornato a Napoli dopo il 1801, congiurò contro i Borbone e fu arrestato per esser poi liberato nel 1806 da Giuseppe Bonaparte. Ristabilitisi sul trono i Borbone, ottenne il comando di una divisione, ma benché spedito per reprimerli, si unì, nel 1820, ai moti carbonari. Dopo il congresso di Lubiana fu sconfitto dagli austriaci a Rieti nel 1821. Nuovo esilio. Ma, nel 1848, Ferdinando II gli affidò il comando dell’esercito spedito nel Veneto contro gli austriaci. Scoppiati a Napoli i moti del 15 maggio, essendo stato invitato dal Re a tornare a Napoli, disobbedì e fu di nuovo sconfitto dagli austriaci. (in Domenico Sacchinelli – Memorie storiche sulla vita del cardinale Fabrizio Ruffo – Edizioni Controcorrente 2004, nota 59 pag. XXXIX dell’Introduzione di Silvio Vitale) ifo
Io invece sono ammirata della grandezza di Ferdinando Il, un Re cosi’ consapevole di quello che e’ e di quello che rappresenta per il suo popolo e di fronte al mondo da non sentire il bisogno ne’ di vendetta e ne’ di punizioni esemplari…e’ ritornato sul trono che gli spetta…. i suoi nemici se ne faranno una ragione e si vergogneranno di se stessi se avranno l’intelligenza di capire… qualcuno mi sembra che lo abbia anche ammesso… pochi per la verita’ e forse anche fra il popolo… la saggezza non e’ da tutti! caterina ossi