1799. La strage francese dei “briganti” di Tolfa
Mi piace diversificare il periodo delle mie rivisitazioni storiche, per cui mettiamo da parte le storie del “deprecato ventennio”. Ho scritto un articolo sulle insorgenze antifrancesi nel Lazio di fine Settecento. Spero che possa interessare i lettori di Ponzaracconta.
F. L.
L’albero della libertà (1) al confine della Repubblica di Magonza, durante le Guerre rivoluzionarie francesi (acquerello di Johann Wolfgang von Goethe, 1793). Sulla scritta si legge: “Passants, cette terre est libre”
Quando alla fine del Settecento le armate della Repubblica francese iniziarono la loro discesa in Italia, portando in punta di baionetta gli ideali di modernità di matrice rivoluzionaria, si accesero nella Penisola molti focolai di insorgenza e resistenza.
Le brutalità praticate da un esercito incline a violenze gratuite e saccheggi, nonché la reazione ai processi di forte centralizzazione statale e dunque di progressiva erosione dei poteri locali, generarono insurrezioni (e conseguenti sanguinose repressioni) tanto nel nord quanto nel sud d’Italia.
I francesi avevano già definito i vandeani, abitanti di una regione periferica della Francia particolarmente refrattaria al dilagare degli effetti della Rivoluzione del 1789, “briganti” (dal termine francese “brigantage”). Fecero lo stesso nel marzo 1799 con gli abitanti di Tolfa (a circa 50 km nord-ovest di Roma) che avevano osato ribellarsi al loro dominio e li trattarono come comuni criminali.
In realtà noi oggi, grazie anche ai tre musei del brigantaggio del Lazio: il Museo del brigantaggio di Itri (LT) [sul sito, leggi qui], il Museo delle Terre di confine di Sonnino (LT) e il Museo del brigantaggio di Cellere (VT), patria del brigante Domenico Tiburzi (1836-1896), il re della Selva del Lamone, vicino al lago di Bolsena (eroe eponimo del mio gruppo di trekking di Civitavecchia – NdA), sappiamo che la Storia d’Italia unita ebbe come protagonisti non solo gli eroi risorgimentali.
Così è scritto nell’opuscolo di presentazione dei tre musei: “Accanto agli eroi del Risorgimento vanno collocati anche coloro i quali vennero definiti “briganti”, uomini e donne estranei al ceto aristocratico o borghese e immersi in mondi locali, di paese, portatori di valori altri rispetto a quelli che la Modernità finì con l’imporre. I tre musei del brigantaggio ci sollecitano a riflettere in merito a quanto la nostra identità di italiani abbia avuto necessità di definirsi in rapporto e contrapposizione ad una alterità rappresentata in questo caso dalla figura del brigante. Suggeriscono altresì che anche i “cattivi” ebbero le loro ragioni, e che questi agirono spinti dalla volontà di difendere il proprio mondo e il proprio modo di vita”.
1. Antefatto: la rivolta di Trastevere e Velletri
Nel 1798-99 a Roma e nel Lazio si accesero contro l’invasore francese giacobino delle insorgenze ovvero delle rivolte. Un generale francese, Antoine Girardon (1758-1806), in una sua lettera, le paragonò a quelle francesi durante la Rivoluzione: “C’est absolument la Vandée” (1).
A Roma iniziò il popolare rione di Trastevere il 25 febbraio 1798.
Al grido di “Viva Maria. Viva il Papa!” cioè Papa Pio VI Braschi (1717-agosto 1799) una folla di popolani, sobillata da preti e borghesi, massacrò soldati francesi, giacobini romani, Guardie Nazionali ed alcuni ebrei. Alla rivolta si unirono i rioni Monti, Borgo e Regola.
I soldati francesi, comandati dal generale André Masséna (1758-1817), riuscirono a fermare i ribelli mentre si preparavano a saccheggiare il Ghetto ebraico e li respinsero a ponte Quattro Capi al di là del Tevere verso Trastevere. Qui si tenne il combattimento che lasciò sul campo, da ambo le parti, centinaia di caduti. Domata la rivolta, i francesi ne fucilarono i capi in piazza del Popolo.
Nel mentre, ai Castelli Romani a sud di Roma, duemila insorti a Velletri sgominavano la guarnigione francese. Decisi ad arrivare a Roma per dare manforte ai trasteverini vennero però intercettati e sconfitti sulla via Appia, presso le Frattocchie, da mille soldati francesi comandati dal generale Joachim Murat (1767-1815). Il futuro re di Napoli compì quindi una rappresaglia devastando e saccheggiando il palazzo pontificio di Castel Gandolfo e i borghi vicini.
2. La rivolta di Civitavecchia, Allumiere e Tolfa
L’importante città portuale di Civitavecchia, abbandonata il 15 dicembre 1798 dal presidio napoletano, venne eretta dai cittadini antifrancesi a città libera. Dopo una infruttuosa trattativa con il comando francese che pretendeva il pieno controllo del porto, si arrivò a dare voce alle armi. Il generale francese Jean Etienne Championnet (1762-1800) il 27 gennaio 1799 minacciò di inviare truppe per spianare la città. Il 31 gennaio infatti arrivò a Civitavecchia la notizia che i Dragoni francesi erano giunti a Palo, sulla via Aurelia, seguiti dal resto dell’esercito. I civitavecchiesi si armarono e si posero a guardia delle mura. Il primo febbraio, i francesi al comando del generale di brigata François Merlin (1771-1839) arrivarono alla Torre del Marangone e in serata inviarono in città un parlamentare con le condizioni per una pace onorevole. Il giorno seguente, non avendo la trattativa sortito alcun effetto, l’ex comandante della piazza di Civitavecchia Claude Déve, in compagnia di un dragone, avanzò a parlamentare fin sotto le mura della città ma all’improvviso ci fu una scarica di fucileria e il dragone rimase ucciso. Iniziò così l’assedio.
3. L’assedio e la guerriglia
I giorni successivi furono caratterizzati da un continuo scambio di cannonate. I colpi dei civitavecchiesi si rivelarono precisi in quanto molti di loro erano cannonieri dell’ex Marina pontificia e attuarono una furiosa resistenza con continue sortite fuori dai bastioni. Tanto che gli abitanti dei vicini paesi collinari di Allumiere e Tolfa, stanchi delle continue ruberie e sopraffazione degli invasori e delle loro richieste di contribuzioni, aderirono all’insorgenza antifrancese.
A Tolfa venne abbattuto l’Albero della Libertà (2) e i cittadini si diedero un governo provvisorio composto dal notaio Giuseppe Mignanti e dal farmacista Carlo Franciosi.
In breve tempo vennero riattivate le vecchie fortificazioni, rinforzate le porte e si accolsero molti esuli fuggiti dai vari paesi del Dipartimento del Cimino distrutti dai francesi. Si arruolò rapidamente un piccolo esercito di circa settecento uomini. Tra essi non mancarono coloro che per sfuggire la giustizia pontificia si erano dati al brigantaggio. Il 4 febbraio un gruppo di insorti si impossessò di un convoglio francese di rifornimenti che da Allumiere scendeva verso Civitavecchia. L’8 febbraio una colonna francese composta da quindici dragoni di scorta veniva assalita e tutti i soldati rimasero uccisi in uno scontro a circa sei km da Civitavecchia. In un’altra azione rimase ucciso il legionario romano Bartolomeo Corsiglia insieme con 40 dragoni francesi. Vennero poi uccisi anche due dragoni di scorta a un piccolo convoglio di grano e farina diretto ai soldati che assediavano Civitavecchia dove, il 15 febbraio, arrivò la notizia della caduta di Napoli. Tra il 26 febbraio e il 3 marzo l’artiglieria francese martellò pesantemente le postazioni civitavecchiesi e finalmente il 6 marzo, considerato che tutto ormai era perduto, la città si arrese e il generale Merlin entrò in Civitavecchia. I civitavecchiesi più compromessi con l’insorgenza fuggirono dalla città e in parte si diedero alla macchia ma i più si misero in mare verso Orbetello da dove continuarono la guerra di corsa contro i francesi.
Con l’occupazione dello Stato Pontificio i francesi presero possesso anche della città di Civitavecchia nel 1798 e del suo porto. Qui nello stesso anno si concentrò e prese imbarco una divisione francese di 6.000 uomini, guidata dal generale Desaix, destinata da Napoleone Bonaparte alla campagna d’Egitto. Grandi quantità di uomini in armi andavano a concentrarsi non solo nei dintorni di Tolone – nell’immagine l’imbarco a Tolone – ma anche a Marsiglia, Ajaccio, Genova e Civitavecchia..
Note
(1) – Le guerre di Vandea furono una serie di conflitti civili scoppiati al tempo della Rivoluzione francese, che videro le popolazioni della Vandea (all’estremità nord-occidentale della Francia, tra Bretagna e Normandia – NdR), ultracattolica e devotissima al re, e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo rivoluzionario, per ristabilire la monarchia assoluta e opporsi alle misure restrittive imposte al culto cattolico. Il modello dei guerriglieri vandeani fu la cristiana e monarchica Giovanna d’Arco (sul sito, per Giovanna d’Arco, leggi qui), eroina d’altri tempi del trono e dell’altare, indomita e santa combattente pro aris et focis della Francia d’ancien régime secondo la visione tradizionale e tradizionalistica (fonte: Wikipedia).
(2) – L’Albero della libertà è stato un simbolo della Rivoluzione francese. Durante la Rivoluzione i repubblicani piantarono il primo albero della libertà nel 1790, a Parigi. Gli alberi della libertà vennero successivamente piantati in ogni municipio di Francia e anche in Svizzera e in Italia. Generalmente gli alberi della libertà erano piantati nella piazza principale della città. Molti di questi alberi furono sradicati una volta passato il periodo rivoluzionario (o, in Italia, quando veniva a cessare il predominio francese). Tuttavia, alcuni sono ancora presenti. Un decreto della Convenzione del 1792 ne regolava l’uso e l’addobbo: l’albero della libertà, che di fatto era un palo, era sormontato dal berretto frigio rosso e adorno di bandiere. Veniva usato per cerimonie civili: giuramento dei magistrati, falò di diplomi nobiliari e anche per festeggiamenti rivoluzionari (fonte: Wikipedia).
“L’Albero della Libertà” è anche il titolo di una serie di ben 16 articoli nel Sito (dal settembre 2016 al novembre 2017) in cui Franco De Luca ha cercato di cimentare i principi libertari della rivoluzione francese con gli accadimenti minimi del microcosmo ponzese, utilizzando il personaggio guida di zi’ ‘Ntunino [digitare la parola – libertà – nel riquadro “Cerca nel sito”: compaiono 118 schermate in ordine temporale, ciascuna di sette articoli: seguire i quadratini a fondo pagina – NdR]
di Fabio Lambertucci
fonte
https://www.ponzaracconta.it/2020/12/16/1799-la-strage-francese-dei-briganti-di-tolfa/