23 luglio 1861, l’eccidio di Somma: i bersaglieri piemontesi fucilano sei sommesi accusati, ingiustamente, di “brigantaggio”
Il testo è “estratto” dal mio libro “I briganti del Vesuvio”, pubblicato venti anni fa. Nel quadro “ Il bagno penale di Portoferraio” Telemaco Signorini ritrasse il brigante Carmine Crocco ( il primo a destra). Nelle mie ricerche sulla camorra vesuviana e nolana nell’Ottocento ho trovato molti, inediti documenti che ci raccontano cosa fecero i sopravvissuti delle “comitive” di Barone e di Pilone dopo la fine del brigantaggio politico.
“Quando nel Vesuviano si seppe che tra il 24 giugno e il 17 luglio 1861 Cipriano Della Gala aveva saccheggiato Migliano, Moschiano e due volte Visciano, anche i membri più influenti della banda sollecitarono Vincenzo Barone a invadere Sant’Anastasia. Il sommese Alfonso Aliperta, membro influente della “comitiva”, propose di chiedere aiuto al Della Gala, che in quei giorni teneva il campo nei pressi di Cancello. Andarono dunque da Cipriano i messi di Barone con la richiesta di aiuto; qualcuno, come Nicola Di Costanzo “il Lupo”, scelse di restare nella “comitiva” dei ” nolani”; gli altri tornarono a riferire di vaghi progetti di alleanza. Ma i soldati piemontesi provvidero a dissolvere questi progetti conducendo, proprio quel 22 luglio in cui Barone avrebbe dovuto invadere Sant’Anastasia, una azione repressiva, la cui ferocia turbò l’opinione pubblica e sconvolse larghi settori della classe politica.
Il 22 luglio, la compagnia di bersaglieri del cap. Federico Bosco, conte di Ruffina, entrò in Somma :aveva il compito di rastrellare briganti e manutengoli; di alcuni il capitano aveva certamente già i nomi, fornitigli dal suo comando e dal Dicastero di Polizia; altri nomi gli furono forniti ,dobbiamo supporre, dagli ufficiali della G.N. Infatti, la notte tra il 22 e il 23, Guardie Nazionali e bersaglieri arrestarono otto sommesi, accusati di essere “compromessi” col brigantaggio. Non si sa cosa sia accaduto nelle ore successive. I comandi militari sostennero che il Bosco aveva convocato un consiglio di guerra, a cui avevano partecipato il sindaco, il Giudice Regio, il comandante della locale stazione dei carabinieri e un ufficiale dei bersaglieri, e che era stato emesso un verdetto unanime: gli arrestati dovevano essere fucilati. Questa tesi, sostenuta dal generale Genova di Revel anche nel procedimento contro il Bosco davanti al Tribunale Militare di Torino, è, almeno in un punto, smentita dai documenti: perché il 24 luglio, poche ore dopo l’eccidio, il Giudice Regio di Somma trasmise al Procuratore Generale della Gran Corte Criminale una dura protesta contro l’ufficiale dei bersaglieri che aveva ordinato la fucilazione degli arrestati senza avvertire gli organi della Giustizia.
Il 23 luglio 1861, alle ore 15, al Largo Mercato di Somma, furono passati per le armi Francesco Mauro, Saverio Scozio, Angelo Granato, Giuseppe Iervolino, Luigi Romano, Vincenzo Fusco. Don Felice Mauro, canonico della Collegiata, e un altro sacerdote furono all’ultimo momento sottratti al plotone d’esecuzione: le ragioni della decisone non ci sono note, ma non è avventato cercarle nei giochi della politica locale, poiché l’eccidio parve soprattutto un regolamento di conti tra fazioni sommesi. Infatti, nessuno dei fucilati apparteneva alle famiglie più “compromesse” con il brigantaggio, quelle che i giudici Fusco e Mezzacapo e gli informatori dei carabinieri denunciarono nel’agosto del ’61. Inoltre, proprio nell’agosto il nuovo Sindaco di Somma Michele Pellegrino dichiarò ufficialmente che Angelo Granato e Giuseppe Iervolino erano stati “sempre veri liberali e attaccati all’unità italiana”, e guardie nazionali di esemplare lealtà. A Somma le autorità militari cercarono di verificare se fosse possibile estendere anche alla provincia di Napoli, sotto gli occhi dei giornalisti stranieri e di importanti parlamentari, la legislazione eccezionale dello stato d’assedio, che i Comandi periferici incominciavano ad applicare a loro arbitrio, nel silenzio del Governo.
Non potendo il Governo mettere mano ai mezzi coercitivi che avrebbe voluto e proclamare ad alta voce lo stato d’assedio senza passare agli occhi degli Esteri per Governo violento e imposto colla baionetta ai napoletani, a mezzo di disposizioni dubbie, ambigue, elastiche, emanate sottovoce e privatamente mise la cosa senza il nome e dando al militare amplissimi poteri lasciò intatte e influenti le autorità civili, cosicché si trovarono ben tosto a fronte due autorità che si urtarono. A scrivere questo non fu un borbonico, ma l’ufficiale piemontese A. Bianco di Saint-Jorioz, impegnato nella repressione del brigantaggio sul confine tra Campania e Lazio. Tra il luglio e agosto furono fucilati un centinaio di contadini a Gioia del Colle, più di 500 ribelli e manutengoli in provincia di Teramo, e Pontelandolfo e Casalduni subirono un atroce martirio. Ma l’aspetto veramente paradossale dell’intera questione fu che l’opposizione democratica sostenne e giustificò, e nei momenti più difficili, pretese la più dura repressione militare del brigantaggio. I massacri di Somma, di Pontelandolfo e di Casalduni furono giudicati atti giusti e necessari, dettati dalle ragioni dell’ordine pubblico e della sicurezza, e Cialdini,che godeva dell’appoggio incondizionato dei democratici, mandò sotto processo il Bosco solo per le pressioni della stampa estera.
Quando, all’inizio di agosto, Giuseppe Ricciardi chiese provvedimenti più rapidi e incisivi contro i responsabili dell’eccidio di Somma la risposta del generale fu freddissima e venata di sarcasmo: Speravo che la risposta da me datale intorno alla faccenda di Somma, bastasse ad appagare ogni delicato suo sentimento in tale proposito. In ogni modo, ella comprenderà, signor Conte, che essendosi stabilita un’inchiesta, può la coscienza pubblica rimanere tranquilla pel corso regolare della giustizia.
La coscienza pubblica, invece, non era tranquilla, poiché temeva che accadesse quello che accadde. Il 30 novembre 1861 il Tribunale militare mandò assolto Bosco di Ruffina, ritenendo provato che egli aveva messo al muro sei complici del brigantaggio.”””
La storia, si sa, tentano di scriverla – e di imporne il racconto – i vincitori. Questa storia del brigantaggio vesuviano voglio riscriverla, anche perché c’è qualcosa di nuovo da dire.