3^ Il terzo lemma carlista: i Fueros (1)

La “Barbajada” è una bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato, caffè e latte, per stimolare, irrobustire e addolcire. La presente rubrica intende rivolgersi al lettore stimolandolo con il caffè delle considerazioni, irrobustendolo con il cacao delle dimostrazioni e, possibilmente, addolcire il tutto, rasserenandolo con lo zucchero dell’ironia o la panna della leggerezza.
Questo è un concetto tipicamente assolutistico che il Carlismo (e la giusta dottrina cattolica) respingono radicalmente: il Monarca (errando si dice spesso: il Sovrano) deve essere sottoposto alla legge e non è mai al di sopra del diritto.
Questo perché? Facciamo un passo indietro.
Nel diritto esiste una fondamentale bipartizione: il diritto naturale e il diritto positivo; da tale bipartizione nascono le due grandi concezioni della filosofia del diritto: il giusnaturalismo e il giuspositivismo.
In poche parole, possiamo dire che il diritto naturale è il diritto che nasce con la creazione dell’uomo; non è il diritto divino (che è quello trasmesso direttamente da Dio), ma è un diritto che appartiene anche a chi non ha avuto il beneficio della Rivelazione, come i Romani e i Greci. È un diritto fatto di principi generali, non di norme particolari, che anche in mancanza di una rivelazione diretta come quella che ci ha dato Cristo, si può giungere a conoscere attraverso la retta ragione, cioè il buon uso della filosofia. Questo diritto è valido anche prima della Sua nascita. Ricordiamo il celebre caso di Antigone, spessissimo citato a tal proposito, in cui si riconosce un diritto non scritto al rispetto dei morti, che viene prevale, in contrasto con una legge positiva.
La legge positiva, invece, è quella effettivamente posta: la legge concreta, il codice, la Costituzione, le norme attuative, i vari regolamenti, etc. costituiscono il diritto positivo. E nella tragedia di Sofocle si trova il contrasto tra il diritto positivo, con l’imposizione del tiranno Creonte di non concedere la sepoltura a Polinice, fratello di Antigone, giudicato nemico della patria; ed il diritto naturale, che invece Antigone pretende di mettere in pratica, dando sepoltura al fratello – anche se la legge lo vieta: infatti Polinice è stato dichiarato “nemico della patria” perché ha scatenato una guerra civile, chiamando in aiuto i famosi Sette contro Tebe – in realtà per riconquistare il trono che gli era stato negato dall’usurpazione del fratello Eteocle – e, una volta sconfitto e ucciso, viene condannato ad una damnatio memoriae che contempla anche la mancata sepoltura, lasciando il suo corpo in pasto ai corvi e alle belve.
Il concetto di rispetto dei morti, quindi, è un concetto che non attende l’arrivo del Cristianesimo, ma è comprensibile da parte di tutti, come lo sono il rispetto della vita o il precetto del unicuique suum tribuere e alterum non laedere, ad esempio, concetti del diritto romano che fanno parte di quello che definiamo diritto naturale.
Dati questi due diritti, diritto naturale e diritto positivo, come accennato la scuola giusfilosofica si divide in due settori: i giusnaturalisti e giuspositivisti.
I primi attualmente sono la minoranza, mentre in passato furono l’assoluta e schiacciante maggioranza), i quali ritengono che il diritto positivo abbia effettiva validità non soltanto se la legge si forma attraverso il corretto iter (cioè dal punto di vista formale), ma si deve anche adeguare, rispettandolo, al diritto naturale (cioè dal punto di vista sostanziale).
Dal canto loro, invece, i giuspositivisti (che dal Cinquecento in poi hanno acquisito sempre più spazio ed attualmente costituiscono la schiacciante maggioranza) affermano che la legge, per quanto aberrante possa essere, sia valida di per sé, cioè che abbia valore purché dal punto di vista formale abbia seguito il corretto iter di approvazione.
Prendiamo, ad esempio, il film The Purge (La notte del giudizio, 2013). Immaginiamo uno Stato, in questo caso gli Stati Uniti d’America, che decide di punire esemplarmente ogni atto di aggressività, ma di far sfogare il desiderio di violenza esistente nella popolazione concedendo, in una notte particolare all’anno, la commissione di qualsiasi atto, quale che sia, compreso l’omicidio, senza prevedere alcuna punizione; il tutto, purché ogni atti, per brutale e gratuito che sia, avvenga entro certe determinate 12 ore. Questa legge, passata secondo tutti i crismi dell’iter burocratico, è quindi valida per i giuspositivisti, mentre per i giusnaturalisti non ha assolutamente alcun valore, perché va chiaramente contro la legge naturale che non permette l’omicidio indiscriminato (ma eventualmente solo e soltanto la pena di morte e comunque solo e soltanto da parte dello Stato).
Sappiamo che attualmente sta imperando la scuola giuspositivista. In passato, fino a quando esistette la Cristianità medioevale, non era così, ma ai nostri giorni si ritiene in pratica che il diritto naturale non esista. Anzi, qualcuno lo confonde con la cosiddetta legge di natura, nel senso di “legge della giungla”. Ciò è sbagliato: il diritto naturale non consiste nella “legge del più forte”, nella “legge della sopravvivenza”: i giusnaturalisti non sono darwinisti. Sono invece quelli che riconoscono principi che prescindono dalla imposizione di una legge qualsiasi, perché quest’ultima deve essere rispettosa dei principi universali.
Va detto che, come dicevo, i giusnaturalisti sono pochi. La maggior parte delle persone (anche dei non giuristi) tende al positivismo – perché ci crede oppure perché non si è mai interessata all’argomento – e di fatto quasi tutti ragionano come giuspositivisti: «La legge è la legge. Bisogna rispettarla, non c’è niente da fare. Eh sì, sono d’accordo, non è corretta, ma… cosa devo fare io?».
Purtroppo, gli esempi di leggi aberranti sono tanti… il caso più eclatante, tra quelle vigenti, riguarda l’aborto, che addirittura in uno Stato (la Repubblica francese) è diventato un “diritto costituzionalmente riconosciuto”, quando si tratta di un omicidio (peraltro, le stesse persone che si scagliano contro la pena di morte – che dovrebbe colpire soltanto colpevoli o presunti tali – o contro la corrida, poi non dicono niente nei confronti dell’omicidio indiscriminato di un essere che è sicuramente innocente al 100%, come un bambino non ancora nato).
La maggior parte delle persone – ripeto – ragiona come i giuspositivisti: ricorderete il caso particolarmente fastidioso, avvenuto durante la chiusura del Covid – lasciando da parte tutte le polemiche sulla brutalità delle imposizioni date a chi non aveva voluto (giustamente a mio parere) vaccinarsi –, di una messa celebrata in un paese della Lombardia su richiesta del sindaco per impetrare al Signore la fine della pandemia, a cui partecipavano lo stesso primo cittadino e una rappresentanza del consiglio comunale, tutti ben distanziati. Ebbene, questa messa fu interrotta da un carabiniere che si presentò, bloccando la funzione ed inscenando una vergognosa prova di forza con intenti, a mio parere, sicuramente anticlericali, se non anticristiani. Fatto sta che quel carabiniere interruppe la celebrazione, senza pensare ad attendere la fine, prendere i nomi dei presenti e poi, eventualmente, stilare una denuncia. Lo fece perché glielo avevano comandato. Ed egli compì questo atto di assoluta prevaricazione, peraltro giustificato da tutti quanti pensano: ha solo applicato la legge che (in quanto “giuspositivisti di fatto”) quasi tutti riteniamo a prescindere che sia giusta (se non infallibile) perché, come ho accennato, da vari secoli a questa parte sta avendo sopravvento il giuspositivismo, cioè la visione del diritto positivo come prevalente e assoluta.
Infatti in questi decenni soltanto c’è stato un unico caso di vittoria del diritto naturale, avvenuta durante i processi di Norimberga (1945-1946) e di Tokio (1946-1948), in cui sono stati addirittura applicate retroattivamente alcune norme penali nuove, con una mentalità assolutamente non giuspositivista, bensì giusnaturalista. Va peraltro considerato che in quel caso prevalse non certo il giusnaturalismo, il rispetto della legge naturale, quanto la volontà di condannare, attraverso una sentenza politica, che nella fattispecie non poteva passare per via giuspositivista: fu quindi “riesumato” il giusnaturalismo solo in quell’occasione, per poi dimenticarlo. Ad ogni modo, al di là dell’uso strumentale e politico, in quel caso è stato ribadito il principio giusnaturalista secondo cui il male non è giustificato neppure da una legge presente o da un ordine superiore, se questi sono aberranti.
Sintetizzando: noi viviamo in un mondo giuspositivista, vi siamo così abituati, che siamo giuspositivisti anche senza rendercene conto. Per cui, di fronte a tutte queste regole aberranti, che cozzano contro il diritto naturale (ripeto, l’aborto è più eclatante di tutte), noi chiniamo la testa e ripetiamo che «la legge è la legge», come diceva Fernandel, e quindi dobbiamo rispettarla a tutti i costi, mentre non dovrebbe essere così, perché dovremmo essere vincolati solo da una legge “giusta”.
Continua…