Il 1799 anno spartiacque tra due ere quella dell’ “Antico Regime” che cercava in tutti modi di non sparire e il nuovo rappresentato dall’illuminismo che nel giacobinismo aveva trovato il suo braccio armato, ma è stato anche l’atto conclusivo del triennio d’oro, ma anche funesto , delle insorgenze italiche iniziate nella Gallia cisalpina e Gallia cispadana e che nel Regno di Napoli aveva visto nascere, vivere e morire l’epopea dell’esercito della Santa Fede guidato dal Cardinale Fabrizio Ruffo, delle Masse guidate da veri eroi e dai Lazzari che hanno scritto uno delle pagine più gloriose e più eroiche del Regno di Napoli e di Napoli che passerà alla storia come“Le Tre Giornate di Napoli”.
A cavallo degli 70 e 80 uscì in america un film che ha fatto la storia del cinema, dei musical e della musica che vedeva come protagonista il gruppo di musica blues “The Blues Brothers” che nella trama era in “missione per conto di Dio” e prendendo in prestito la metafora possiamo ben dire che lo spettacolo “Voci, suoni e canti di Briganti in Terra di Lavoro” è ufficialmente in missione per conto della storia.
Il 3 marzo 2024 presso l’Aula Pacis di Cassino finalmente siamo riusciti ad arrivare all’obbiettivo che ci eravamo prefissati fin dall’inizio, far conoscere la storia “scomoda” a chi ne sapeva poco e a chi non ne sapeva nulla con una rappresentazione in due atti che è durata oltre 2 ore. Il successo di pubblico in sala, tutto esaurito, e quello sul web, lo spettacolo fino ad oggi lo hanno visto più di 1250 persone come di seguito riportiamo.
Avere avuto il consenso di pubblico è stato molto importante soprattutto perchè accompagnato dall’interesse che i molti presenti in sala hanno avuto per sapere se le storie narrate erano vere e se erano documentate, come i tanti che lo hanno visto sul web come testimoniano i tanti commenti lasciati.
Importante è stato certamente la narrazione in lingua laborina, l’utilizzo della musica popolare con strumenti rigorosamente identitari andando oltre “brigante se more” e l’aver curato con meticolosità e precisione il percorso storico artistico che parte da Fra Diavolo per finire alla prima guerra mondiale. Il merito maggiore va, altresì, ai 14 artisti che si sono esibiti, 5 musicanti, 5 attori e 4 ballatrici che hanno dato il meglio di se per far si che le due ore passassero velocemente con il pubblico che mai ha dimostrato segni di insofferenza.
La novità del brigante narratore che accompagna il pubblico nel percorso storico sperimentato a Sora, a Cassino ha avuto la sua brillante conferma, come brillanti sono stati alcuni cambiamenti e l’inserimento di alcuni dettagli impeccabilmente interpretati dagli artisti ed importante è stata l’aggiunta di due ballatrici. Erano presenti, per la prima volta insieme, tutti i nuovi arrivi che hanno alzato il livello artistico e professionale di tutto il gruppo e come spesso accade nel calcio, quando arrivano nuovi elementi di valore tutti nelle prestazioni si allineano a quei livelli, il motivo è sconosciuto vuoi perché c’è uno stimolo in più e si agisce al di sopra delle proprie possibilità, vuoi che i veterani stimolati tirano fuori quello che non sapevano di avere, alla fine la prestazione di tutti è stato di altissimo spessore dove ognuno nel proprio ruolo ha dato il massimo con competenza ed umiltà che ci ha permesso di togliere quelle tossicità inoculate da chi, preso dal virus dell’autoreferenzialità, pensava più alla propria prestazione che a quella del gruppo.
La missione per conto della storia è appena iniziata e cercheremo di alimentarla sempre più perche la formula usata, pur essendo sempre stati convinti della validità e dell’efficacia, dopo il 3 marzo ci da degli obblighi e delle responsabilità da cui non possiamo piu sottrarci come ci impongono i tanti spettatori che continuano a vedere lo spettacolo sul nostro canale come sopra abbiamo riportato.
Ho provato ad immaginare cosa avrebbero pensato Fra’ Diavolo o Michelina Di Cesare se si fossero trovati in platea, confusi tra gli spettatori dell’Aula Pacis, per assistere ad uno spettacolo che parlava di loro. Anzi, ad uno spettacolo in cui parlavano loro. Perché, bisogna chiarirlo subito, “Voci di briganti” non è una messa in scena a cui si possa assistere standosene distaccatamente seduti in poltrona, ma la ri-creazione di un mondo in cui lo spettatore viene improvvisamente e completamente proiettato.
È il mondo dei briganti, di quegli uomini e di quelle donne che probabilmente non erano mai usciti dall’ombra del proprio campanile, ma che quando la violenza e la sopraffazione si fecero più feroci e più prossime, la fame più acuta e tormentosa, e il crimine divenne diritto, non esitarono a trasformare in armi quegli stessi, poveri attrezzi, che fino al giorno prima avevano usati per coltivare i campi. Perché briganti si diventa un giorno, con la pancia e con il cuore, non con la testa. Non c’è bisogno di complesse analisi storiche o sociologiche per capirlo. E da quel giorno, volenti o nolenti, per costrizione o per scelta, briganti lo si resta per tutta la vita, fino al probabile patibolo.
Ma la storia la scrivono i vincitori, e per narrare quella dei vinti c’è bisogno di un’enorme pietas. Perché, se è vero che per scrivere bene bisogna avere qualcosa da dire, come pare abbia consigliato un ottantenne Manzoni ad un giovane aspirante scrittore, è anche vero che per scrivere e interpretare bene i vinti bisogna avere un immenso amore per loro. Che poi siamo noi, perché non saremmo come siamo se loro non ci fossero stati.
Questo amore e questa pietas si toccano con mano, in “Voci dei briganti”. Mi astengo dal farne lodi sperticate (e meritatissime) perché secondo me significherebbe tradire lo spirito e le intenzioni di tutti coloro che lo hanno ideato e realizzato. Essendo amico di qualcuno di loro, so perfettamente che lo scopo che si prefiggono, in questa ed in tutte le altre loro realizzazioni, non è quella di dare spettacolo, ma di rendere giustizia ad un passato ignorato, quando non infangato. E questo non come mera ricostruzione antiquaria, ma come invito a portare nuovi frutti a partire da quelle nobili, ma spesso vilipese, radici.
Ma cercare di ridare voce ai briganti e al loro mondo, in teatro, in una sera di marzo, non significa farsi avvocati di una causa persa, di una causa che è stata legittimamente e sacrosantamente persa? Lo Spirito all’opera nella Storia, se c’è e comunque lo si voglia intendere, non era comunque contro di loro, inesorabilmente? Forse. Dicevano i Latini che non vi è nulla nel diritto che non possa essere facilmente capovolto, figuriamoci nella narrazione e nella interpretazione delle umane vicende. Ma alcune cose sono fuor di dubbio: il coraggio e la buona fede di questi uomini e di queste donne e il fatto di essersi sostanzialmente difesi da chi li invadeva, giuste o sbagliate che fossero le ragioni degli invasori. E ancora: il fatto di essere stati fatti oggetto di brutale violenza, di torture e sevizie, inammissibili da parte di truppe regolari e regolarmente addestrate.
Salendo sul patibolo, Eleonora Pimentel Fonseca citò un verso di Virgilio “Forsan et haec olim meminisse iuvabit”, forse un giorno ci gioverà ricordare tutto questo. Queste sue parole furono realmente profetiche e per una di quelle temerarie capriole di cui la Storia è maestra, e che i dotti chiamano eterogenesi dei fini, è necessario tenerle continuamente a mente. Soprattutto qui, sopratutto ora.
Assistere, anche se tramite video, a questa bella rappresentazione teatrale, è stato molto più soddisfacente che l’ora d’aria per il carcerato in cella di isolamento. Viene proprio da dire: era ora! Tra un monologo e l’altro, i balli e i canti della tradizione popolare meridionale, inseriti nel giusto contesto simbolico che forniva significato all’esistenza quotidiana dei sudditi duosiciliani (basta col termine massonico di “popolo”!), forniscono l’occasione per alcune opportune riflessioni.
Se a distanza di due settimane dalla messa in scena a Sora dello spettacolo“Voci, Canti e suoni di Briganti in Terra di Lavoro”, presso la Casa della Cultura già Convento di San Francesco, andando in giro per le vie del centro dell’antico e aristocratico capoluogo laborino, persone conosciute e sconosciute ti fermano per dirti di essere rimasti senza parole per quello che hanno visto non pensando che fosse cosi bello vuol dire che il consenso avuto a Scurcola Marsicana non era occasionale e che la nuova forma artistica è quella giusta. Come ha confermato Andrea Nerone e la sua gentile consorte Clara presenti a Sora, andando a prendere un caffè nel loro salotto di casa che grazie ai lusinghieri giudizi e apprezzamenti per lo spettacolo, la bevanda nera mi è sembrata dolcissima nonostante la prenda senza zucchero.