Oggi ci ritroviamo nella chiesa della Madonna di loreto al Castello per illustrare la traduzione fatta da Raimondo delle memorie di Paul Thiébault, un generale francese che attraversò le nostre contrade negli ultimi anni del settecento. La storia, come narrazione di fatti e avvenimenti del passato ha un significato preciso: è l’esposizione di una ricerca su singoli episodi e personaggi, quindi di una indagine critica finalizzata a rintracciare la loro verità e le interconnessioni che la rendono unitaria.
Qualsiasi stato sovrano e di qualsiasi natura, s’è sempre preoccupato di tenere sotto il proprio controllo la cultura in tutte le sue forme come la storia, l’arte, il teatro la musica e la letteratura. Anche gli stati che si definiscono democratici hanno il pieno controllo della cultura e non lo fanno con la spada o con il tratto di penna censorio ma in forma più subdola, andando a colpire il sostegno economico delle famiglie, il famoso “tengo famiglia”, se fai certe cose o appartieni a certe parrocchie che ti indicano la giusta via, secondo il loro punto di vista, lavori altrimenti ti devi arrangiare. Una delle espressioni più importanti della cultura dove la soggettività regna sovrana determinante per indirizzare la società nei binari desiderati, pensate ai giorni nostri con la creazione del pensiero unico, del politicamente corretto e della dittatura del relativismo, è la letteratura tenuta sotto stretta sorveglianza dalle istituzioni statali di qualsiasi colore politico esse siano, che quando diventa uno strumento importante per una nuova forma di potere che vuole affermarsi o quanto meno raggiungere un posto al sole produce cose molto importanti, in alcuni casi geniali, ma emarginate o storicizzate velocemente quando il suddetto potere raggiunge i suoi obiettivi. Tutto questo accade anche quando si parla di firme autorevoli e di monumenti della letteratura mondiale che hanno prestato la loro penna nel descrivere l’Italia post-unitaria che tanto deluse molti intellettuali e politici già pochi anni dopo il 1860. Ne parleremo venerdi 5 aprile alle ore 21 in con due autorevoli e appassionati ospiti e per vederla basta cliccare di seguito
di Giovanni Della Peruta. Questo saggio è stato pubblicato sul numero 7 (1999-2000) del Bollettino del Archivio della ragion di Stato. Era il primo, ma importante, contributo scientifico di un giovane studioso sulla ratio status nella Vicereame spagnolo a Napoli.
Michele Eugenio Di Carlo ha la rara capacità, pur quando racconta eventi lontani nel tempo, com’è giusto che faccia chi scrive di storia, di farti capire il presente. Quando si riportano alla luce fatti ed eventi locali, si corre sempre il rischio di indulgere a quella storia événementiel tanto criticata da March Bloch e Lucien Febvre. Di Carlo esorcizza questo rischio, conducendo per mano il lettore a vivere l’epoca che narra, a fargli respirare quell’atmosfera, fino a fargli scorgere il filo che annoda quei fatti remoti all’oggi. Il nocciolo sta nell’abilità con cui Michele maneggia i documenti, utilizzandoli quali descrittori di un humus, d’un modo d’essere e di pensare. Tanto per dire, devo al suo saggio “Contadini e braccianti nel Gargano dei briganti” una più puntuale comprensione di quella stagione drammatica che comportò, in nome dell’unità d’Italia, l’occupazione manu militari del Mezzogiorno.
Il 26 giugno 1860 il Vescovo di Ariano, Monsignor Fra Michele Maria Caputo, invitò in Vescovado i parroci e “le notabilità del paese” per comunicare loro che il giorno precedente Francesco II aveva ripristinato la Costituzione del 1848, e per invitare tutti a considerare con favore “il regimento novello” e ad orientare in tal senso i contadini e il popolo. L’episodio è riferito da Felice Mazza, da Nicola Flammia e dallo stesso vescovo Caputo