Qualsiasi stato sovrano e di qualsiasi natura, s’è sempre preoccupato di tenere sotto il proprio controllo la cultura in tutte le sue forme come la storia, l’arte, il teatro la musica e la letteratura. Anche gli stati che si definiscono democratici hanno il pieno controllo della cultura e non lo fanno con la spada o con il tratto di penna censorio ma in forma più subdola, andando a colpire il sostegno economico delle famiglie, il famoso “tengo famiglia”, se fai certe cose o appartieni a certe parrocchie che ti indicano la giusta via, secondo il loro punto di vista, lavori altrimenti ti devi arrangiare. Una delle espressioni più importanti della cultura dove la soggettività regna sovrana determinante per indirizzare la società nei binari desiderati, pensate ai giorni nostri con la creazione del pensiero unico, del politicamente corretto e della dittatura del relativismo, è la letteratura tenuta sotto stretta sorveglianza dalle istituzioni statali di qualsiasi colore politico esse siano, che quando diventa uno strumento importante per una nuova forma di potere che vuole affermarsi o quanto meno raggiungere un posto al sole produce cose molto importanti, in alcuni casi geniali, ma emarginate o storicizzate velocemente quando il suddetto potere raggiunge i suoi obiettivi. Tutto questo accade anche quando si parla di firme autorevoli e di monumenti della letteratura mondiale che hanno prestato la loro penna nel descrivere l’Italia post-unitaria che tanto deluse molti intellettuali e politici già pochi anni dopo il 1860. Ne parleremo venerdi 5 aprile alle ore 21 in con due autorevoli e appassionati ospiti e per vederla basta cliccare di seguito
Il sacerdote e poligrafo Camillo Tutini (1594-1666) è noto, più che per la sua attività spirituale, per la sua opera di ricerca e, all’interno di questa, più che per gli iniziali studi agiografici su figure della Chiesa campana (San Gianuario – ovvero Gennaro –, San Gaudioso vescovo di Bitinia e l’omonimo vescovo di Salerno, Santa Fortunata e suoi fratelli, San Biagio), è ricordato per il suo attentissimo lavoro storiografico sui Sedili napolitani (Dell’origine e fvndatione de’ Seggi di Napoli, del tempo in che furono instituiti, e della separation de’ Nobili dal Popolo, 1644).
Il Carlismo parola che evoca apparentemente un mondo che non esiste più mentre è vivo e vegeto proiettato verso il futuro, con una sua struttura, con una sua diffusione planetaria e con un suo Re. Ce ne parlerà Gianandrea de Antonellisper la rubrica “Incontro con l’autore” venerdi 2 febbraio alle 21 dove presenterà il suo testo “Carlismo per Napolitani”, per vederlo basta cliccare di seguito
Il Carlismo, nome con cui viene indicato il Tradizionalismo ispanico, si distingue dalle altre concezioni tradizionaliste (in realtà conservatrici) per il rifiuto totale di qualsiasi compromesso o alleanza con il liberalismo; per la presenza concreta di un Re legittimo; e per la concezione della legittimità di esercizio (che comporta la subordinazione del Re al diritto naturale) a fianco di quella di origine. A Napoli è stato da sempre presente un pensiero tradizionalista affine a quello ispanico: le istituzioni del Regno partenopeo si sono infatti sviluppate spontaneamente in modo parallelo a quelle iberiche e nei due secoli di unione personale delle Corone (periodo erroneamente chiamato “viceregno spagnolo” e che più correttamente dovrebbe essere definito come “imperiale ispanico”) l’intero reame visse uno dei suoi momenti più gloriosi. Ai nostri giorni, la parte migliore del tradizionalismo napolitano è confluita nel Carlismo.
Continuiamo a pubblicare gli interventi dei relatori dello storico convegno “1799: Le Tre Giornate di Napoli” su cui abbiamo già detto tutto, ed oggi seguendo l’ordine di intervento è la volta della relazione del Prof. Gianandrea de Antonellis che ci ha parlato di inediti suElonora Fonseca Pimentel che ridimensionano l’alone di virtù che i giacobini napoletani le hanno messo intorno