A Mignano Monte Lungo sulle tracce della brigantessa Michelina Di Cesare
Le rocce affiorano tra la vegetazione fitta, il cielo è terso, le more, tra i rovi, sono mature. Il monte Camino avvolge i resti di antiche abitazioni e protegge gli spiriti che si rincorrono tra grotte, forre e mulattiere.
Caspoli è una frazione montana, la cappella dedicata a Sant’Andrea tramanda una storia sotterrata da un’altra storia, più recente, quella della seconda guerra mondiale.
A Caspoli, tra i sentieri, infissa nelle mura ricostruite delle case, si ritrova la vicenda di una donna vissuta tra il 1841 e il 1868. Per orientarsi nel dedalo di questa storia, iniziamo il percorso dal Museo Historicus.
Lo spazio espositivo raccoglie foto, testimonianze e materiali risalenti alla seconda guerra mondiale e nasce su iniziativa di Angelo Andreoli e Maria Cristina Verdone. Uniti nella vita e nella comune passione per la valorizzazione delle tradizioni locali e della ricerca storica sul campo, hanno dato vita a un centro in continua evoluzione che si arricchisce di volta in volta di tracce del passato e di racconti di reduci e sopravvissuti. All’interno del museo si accede a una stanza in cui si torna indietro nel tempo a un’altra guerra.
La protagonista di questa stanza è lei, la brigantessa.
Potrebbe apparire una figura quasi archetipica, mitologica e irreale e invece la brigantessa è vissuta realmente tra queste montagne e queste case.
Maria Cristina Verdone che in diverse rievocazioni storiche ne ha indossato gli abiti racconta di questa donna giovanissima che ha ispirato romanzi, racconti, canzoni e non smette di essere una creatura dirompente. Maria Cristina, con il suo sguardo fermo e caloroso, ci racconta che la brigantessa nacque in via Casale, dove ancora oggi vivono dei suoi discendenti, da una famiglia povera e che rimase orfana troppo presto. Cosa poteva accadere a una ragazzina povera in un contesto rurale alla metà del 1800? Forse un matrimonio combinato, forse diventare serva di una famiglia abbiente, sicuramente lottare contro la fame e la paura.
La brigantessa di Caspoli ha un coraggio diverso dalle altre donne e si unisce a un uomo che vive nascosto e protetto dalla montagna aggregato a una banda. Ci dirigiamo verso erte salite, tra caseggiati in cui hanno coabitato generazioni. Qui è la lapide che ricorda la nascita del brigante Alessandro Pace, più a valle l’iscrizione della casa del brigante Giacomo Ciccone, più oltre il ricordo del brigante Guerra e ovunque l’eco delle gesta della brigantessa.
Michelina Di Cesare, questo il suo nome, ha ispirato negli ultimi anni tante opere letterarie e musicali. Perché? Perché Michelina, la brigantozza come veniva chiamata fin da ragazzina non solo aveva un temperamento indomabile, ma era bellissima.
Non lo testimoniano i ritratti ma le fotografie. In abiti popolari, con accanto il fucile e le pistole, lo sguardo fiero e battagliero, gli occhi scuri come una tempesta pronta a sfidare qualunque quiete, si offre all’obiettivo alimentando un immaginario di ribellioni e di prodezze.
È ritratta in almeno due immagini, una seduta e una in piedi appoggiata al fucile in una posa che ha qualcosa di eroico. Le fotografie sarebbero state scattate in uno studio romano intorno al 1865. Poi c’è un’altra fotografia che la ritrae. Michelina Di Cesare ha il corpo martoriato, gli occhi chiusi tumefatti dai pugni, il seno denudato.
L’immagine la ritrae morta, il 30 agosto 1868, morta in battaglia. I vincitori ne hanno fatto un trofeo da esporre, anzi un monito per tutti gli altri, ma tra le vette del Monte Camino e le falde del Monte Morrone, tra i sentieri che uniscono le terre e non riconoscono nessuna frontiera, soffia lo spirito di libertà della brigantessa:
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