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A proposito delle radici della democrazia occidentale e pluralista di Giuseppe Gangemi

Posted by on Gen 13, 2025

A proposito delle radici della democrazia occidentale e pluralista di Giuseppe Gangemi

In un recente volume, Le colonne della democrazia, Luca Addante sostiene che, quando si parla di Giacobini, di fatto, ci si riferisce ai protagonisti di quella “pluridecennale rivoluzione italiana, l’epopea nazionale che, in Italia, si sintetizza col nome di Risorgimento, termine diffuso già da quei primi anni. Furono quei Giacobini, oggi pressoché dimenticati, a incarnare la prima generazione risorgimentale, lottando per l’indipendenza e l’unità dell’Italia in una Repubblica democratica e costituzionale, fondata sulla sovranità popolare, garante dei diritti di libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale.

Un sogno che si sarebbe realizzato solo in parte con l’Unità d’Italia dal 1861 e più compiutamente dopo la Resistenza al nazi-fascismo, il referendum monarchia/repubblica e la Costituzione del 1948, mentre vedremo come alcune istanze restino tuttora in attesa di essere attuate. Per promuovere quelle idee che guardavano al futuro, negli anni del Triennio repubblicano (1796-99), i Giacobini furono i primi in Italia a potere sperimentare a viso aperto la pratica delle libertà di espressione e di stampa, di associazione e riunione, di partecipazione politica diretta aperta a chiunque, seguendo l’impetuoso flusso innescato dalla grande Rivoluzione”.

Questa lunga citazione è tratta dall’Introduzione del volume di Addante, la cui ricerca riguarda le attività cospirative e il dibattito sulle costituzioni nelle repubbliche giacobine nella penisola italiana. Ci si aspetterebbe, quindi, una conclusione valida per il solo caso del giacobinismo italiano e per i successivi sviluppi della “democrazia” nel Risorgimento, sotto la monarchia sabauda e nell’Italia repubblicana. Invece, appena una pagina dopo, Addante estende la conclusione all’intero mondo occidentale: i Giacobini “iniziarono ad attuare e teorizzare le pratiche da cui sorge il diritto di associazione garantito dalle Costituzioni occidentali, per la prima volta sancito nella Costituzione francese del 1791”.

Per il momento accantono il problema se sia stata o meno rilevante l’influenza delle costituzioni della penisola italiana nel periodo giacobino sull’evoluzione del sistema costituzionale e della democrazia del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana. Mi soffermerò sull’altro problema: se l’evidenza empirica fornita da Addante sia adeguata a permettergli conclusioni sul diritto di associazione garantito dalle Costituzioni occidentali. La mia risposta a quest’ultimo problema è: decisamente no! Per vari motivi.

Il primo è metodologico: per inferire conclusioni all’evoluzione dell’intera democrazia occidentale, non basta analizzare l’evidenza empirica fornita da Costituzioni a volte discusse solo in associazioni secrete o massoniche e mai approvate da organi legislativi o, se approvate, durate solo pochi mesi. Bisogna analizzare le Costituzioni più influenti in Occidente, come quella americana, e quelle francesi.

Il secondo è ideologico: il diritto di associazione è strettamente legato all’idea di democrazia pluralista, cioè con più partiti in competizione per conquistare il consenso del popolo sovrano. E su questo punto sono molto autorevoli quanti hanno visto una continuità tra i Giacobini e le democrazie monopartitiche, non una tra i Giacobini e le democrazie pluraliste: Karl Marx ha notato una continuità tra i Giacobini della Grande Rivoluzione e i Comunardi della Comune di Parigi; un’ulteriore continuità con la Rivoluzione Sovietica è stata ribadita da Lenin e da Antonio Gramsci. Quest’ultimo vede tra Giacobinismo francese e Risorgimento una sola differenza, non di poco conto: i Giacobini francesi sono stati importanti per la democrazia pluralista francese più che, per il diritto di associazione, per la riforma agraria che ha fidelizzato le masse contadine alla democrazia. Nessuna fidelizzazione di questo genere è stata realizzata dai Giacobini italiani o dai Risorgimentali i quali sono stati più espressione o difensori degli interessi dei proprietari terrieri che dei loro braccianti o mezzadri.

Il terzo è “politico”: Addante sostiene che la libertà di associazione viene affermata nella costituzione francese del 1791 e ribadita e politicizzata nella Costituzione del 1793. Il termine politicizzata gli serve per sostenere una presunta maggiore importanza, relativamente al diritto di associazione, della Costituzione Giacobina. Solo che l’unica differenza che esiste nell’enunciazione di questo diritto è che la Costituzione del 1791 fa riferimento all’adempiendo agli obblighi previsti dalle leggi di polizia, riferimento che è assente nella Costituzione del 1793. La mancanza di questo riferimento non politicizza il diritto e la sua presenza non toglie valore politico al diritto stesso. Anche perché il riferimento al rispetto delle leggi di polizia è, comunque, sempre implicito. Inoltre, la Costituzione è il fulcro essenziale della politica e non c’è diritto costituzionale che non sia politico in una Costituzione e lo sia in un’altra.

Il quarto è empirico: Addante afferma che la Costituzione napoletana del 1799 viene modellata sulla Costituzione del 1793 e non su quella del 1795 ancora vigente in Francia nei primi mesi del 1799. A sostegno, egli cita un testimone che riferisce che il Comitato Legislativo napoletano ha assunto come modello una traduzione dal Francese di 35 articoli (numero degli articoli della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1793) più 124 (numero degli articoli della Costituzione del 1793). L’argomento empirico di Addante, in teoria, è forte, ma passa in secondo piano se si osserva che la Costituzione francese del 1795 apre un pericoloso vulnus nella democrazia perché costituzionalizza la possibilità di togliere la cittadinanza per motivi politici e la Costituzione napoletana del 1799 va ancora più avanti nella stessa direzione: art. 15 Costituzione 1795: “Ogni cittadino che avrà risieduto sette anni consecutivi fuori dal territorio della Repubblica, senza missione o autorizzazione data a nome della Nazione, è reputato straniero”. L’articolo si riferisce chiaramente ai fuoriusciti dalla Francia i quali non intendessero rientrare in patria, alla fine del Terrore; Rapporto del Comitato di Legislazione che precede la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1799: “Ad imitazione delle antiche repubbliche abbiamo richiamato la censura alle sue nobili funzioni di emendare i costumi, correggendo i vizi: perciocché si è stabilito un collegio di censori da crearsi in ogni anno in ciascun cantone coll’incarico d’imporre le pene della privazione del dritto attivo o passivo di cittadino a color che non vivessero democraticamente”.

Con buona pace per le” colonne della democrazia” pluralista. Infatti, questa limitazione è l’inizio di ogni percorso verso la democrazia monopartitica.

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