Alta Terra di Lavoro

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Ad limina Petri-Passeggiate sull’antico confine tra Stato pontificio e Regno di Napoli

Posted by on Ago 23, 2022

Ad limina Petri-Passeggiate sull’antico confine tra Stato pontificio e Regno di Napoli

Nel 1840 viene firmata e ratificata da Papa Gregorio XVI e da Ferdinando II una Convenzione che stabilisce con chiarezza quale sia il confine tra lo Stato pontificio e il Regno di Napoli, risolvendo così una serie di controversie e di incertezze.

Nel 1847 si provvede a collocare lungo il confine una serie di colonnette di pietra di forma cilindrica, numerate da 1 a 649, con i simboli dei due Regni (il giglio dei Borboni e le chiavi di Pietro). La linea di confine collegava il mar Tirreno all’Adriatico; seguiva il fiume Canneto nei pressi di Terracina, la riva del lago di Fondi, il fosso e il muro perimetrale dell’Epitaffio (dogana pontificia), il crinale principale dei monti Ausoni, le colline tra Castro dei Volsci e Pastena, le valli tra Falvaterra e San Giovanni Incarico, i campi fra Arce e Ceprano, il fiume Liri, i colli fra Castelliri e Monte San Giovanni, i monti Ernici e lo spartiacque Lazio-Abruzzo, i monti Simbruini, la piana del Cavaliere, la valle del Turano, i monti Carseolani, la valle del Salto, l’agro e i monti Reatini, i monti della Valnerina, le estreme propaggini dei monti Sibillini e dei monti della Laga, la Valle Castellana, la Val Vibrata e il fiume Tronto fino alla sua foce nell’Adriatico. Gran parte di quei cippi di confine sono visibili ancor oggi.

Questa sezione del sito Camminare nella storia propone una rassegna di dieci itinerari alla scoperta dell’antico confine che separava lo Stato Pontificio dal Regno delle due Sicilie. Il tratto interessato dalle escursioni comprende i monti, i colli, i fiumi e i paesi compresi tra il mar Tirreno e il mar Adriatico.

La prima escursione si svolge nel parco dei monti Aurunci: l’itinerario è breve e la quota non elevata, ma dagli 806 metri del cippo di confine sulla Cima del Monte la vista spazia su tutta la piana di Fondi fino al mare e sui sentieri percorsi dalla “ciociara”, la protagonista del celebre romanzo di Alberto Moravia.

Sulla cima del Monte

Una comoda passeggiata in pineta conduce con poco sforzo a un cippo dell’antico confine e ad un balcone naturale sulla bella piana di Fondi. Siamo al confine tra le province di Latina e Frosinone all’interno del parco naturale dei monti Aurunci che protegge l’unica catena montuosa laziale che si affaccia direttamente sul Mar Tirreno con cime al di sopra dei 1.500 m. Tra questi monti è ambientata una delle opere più note di Alberto Moravia, La ciociara. E qui sono anche girate alcune celebri scene del film, interpretato da Sofia Loren e premiato dall’Oscar, che Vittorio De Sica trasse dal romanzo di Moravia.

Il quadro ambientale

Siamo nel Lazio meridionale. Il confine regionale con la Campania non è lontano. I monti Ausoni e Aurunci si alzano tra il Mar Tirreno, la piana pontina e le valli dei fiumi Sacco, Liri e Garigliano.

La piana di Fondi, un tempo paludosa e malarica, è stata bonificata ed è oggi fertilissima. La città è il capoluogo di un distretto e di un mercato agricoli di prima grandezza, sia pur con i segni della crisi. La piana ospita il grande e frastagliato lago di Fondi e due laghi più piccoli: il lago Lungo e il sovrastante lago di San Puoto. I laghi sono separati dal mare da un cordone di dune costiere e hanno acque salmastre e pescose. Le spiagge che si distendono da Terracina a Sperlonga sono famose e molto apprezzate. La piana è tagliata dalla ferrovia Roma-Napoli e dalla Via Appia (un suggestivo tratto restaurato dell’antica strada romana è percorribile nella vicina gola di Itri). Alle spalle della piana si alzano i monti Ausoni, a nord, e i monti Aurunci a est, protetti da un parco naturale regionale istituito nel 1997. Il Parco include i territori dei dieci comuni di Ausonia, Campodimele, Esperia, Fondi, Formia, Itri, Lenola, Pico, Pontecorvo, Spigno Saturnia.

L’itinerario

Raggiunta Fondi lungo la via Appia, s’imbocca la strada che raggiunge in circa 3 chilometri a nord-ovest l’antico Monastero Olivetano di San Magno. Della storica abbazia, che risalirebbe addirittura al sesto secolo, restano i ruderi della chiesa e del chiostro, le celle dei monaci e la cappellina di Sant’Onorato. L’intero complesso è stato recentemente consolidato e restaurato. Ai piedi dell’abbazia sgorga una copiosa sorgente che è stata canalizzata (se ne può percorrere a piedi la grata protettiva sovrastante) e che alimenta il vicino mulino. La visita al mulino ad acqua, restaurato e perfettamente funzionante, consente di seguire il canale dell’acqua e il meccanismo di alimentazione e di vedere all’opera le due grandi pietre circolari destinate a macinare il grano e il granturco. Nei locali del mulino è aperto un piccolo centro d’informazione del Parco degli Aurunci.

Ripresa l’auto, ci dirigiamo a Lénola lungo una strada tortuosa che lascia la piana e s’incunea tra i colli risalendo la valle. A Lénola meritano una visita il castello baronale, il santuario del Colle e il centro storico. In direzione di Vallecorsa raggiungiamo ora il Passo della Quercia del Monaco, a quota 548 m. Parcheggiata l’auto, si procede a piedi sulla sterrata che sale a sinistra, accompagnata dai segnavia bianco-rossi. La sterrata termina davanti a un abbeveratoio per animali. Qui inizia un sentiero, anch’esso segnato, che, con salita più marcata, raggiunge una pineta, la traversa a svolte e raggiunge l’area sommitale della Cima del Monte (806 m). Ci muoviamo tra massi di calcare, immersi nella vegetazione e districandoci tra i cespugli. Non è difficile scovare il bel cippo di confine con le chiavi di Pietro e il giglio dei Borboni; è riportato anche il numero progressivo (50) e l’anno di posa (1847). Ma l’emozione più forte è l’indimenticabile panorama circolare che dai monti Ausoni scende alla piana di Fondi e al mare.

Si può scendere all’auto sul sentiero dell’andata o anche su un percorso più diretto e sbrigativo. Il dislivello è di 250 metri. Il tempo richiesto da una salita senza fretta è contenuto in circa un’ora; il ritorno – in base al percorso scelto – si compie in 30-45 minuti.

Moravia e “la ciociara”

Durante la seconda guerra mondiale lo scrittore Alberto Moravia dovette rifugiarsi con sua moglie Elsa Morante sulle montagne di Fondi. Il suo nome era in una lista di antifascisti da arrestare e deportare in Germania. La fuga in treno da Roma verso Napoli, dove intendeva raggiungere l’amico Curzio Malaparte, s’interruppe però a Fondi a causa dei danni alla linea rotabile. E fu così obbligato a cercarsi un rifugio sulla montagna, nella casa di un amico contadino, Davide Marrocco. In un ripostiglio addossato alla casa, l’allora trentaseienne Moravia e la Morante “abitarono” dal settembre del 1943 al maggio del 1944, cioè fino all’arrivo delle truppe alleate.

In quei mesi Moravia iniziò a scrivere La ciociara, una delle sue opere più note, che sarà poi terminata e pubblicata nel 1957. La ciociara è la storia delle avventure di due donne, madre e figlia, sfollate da Roma e finite nelle retrovie del fronte di guerra della linea Gustav. Il romanzo intreccia le giornate di Cesira e Rosetta e degli altri contadini con le vicende della guerra: i bombardamenti dei paesi, la penuria alimentare, le retate dei tedeschi, la distruzione delle case e lo sfollamento forzato dei paesi, la borsa nera e il banditismo, l’allagamento della piana per ritardare l’avanzata degli alleati, gli stupri di massa a opera dei marocchini “liberatori”. Il romanzo esplora il cambiamento che la guerra provoca nella psicologia individuale e nei rapporti sociali. Ed è anche una potente descrizione dell’integrazione tra vita quotidiana e un ambiente difficile. Gli escursionisti vi troveranno descritti fedelmente numerosi percorsi che si propongono come altrettante idee di sentieri da percorrere, libro alla mano.

Il sentiero della “ciociara”

Io sapevo dove andavo e una volta fuori dagli aranceti, sulla strada maestra, presi in direzione delle montagne che stanno a nord della pianura di Fondi. C’era un silenzio intirizzito ma anche questo non più notturno, pieno di scricchiolii secchi, di svolazzi e di fruscii: pian piano la campagna si svegliava. Io camminavo avanti a Rosetta e guardavo alle montagne che si alzavano torno torno nel cielo; montagne brulle, pelate, con appena qualche chiazza bruna qua e là, che parevano deserte. Ma io sono montanara e sapevo che una volta su quelle montagne, avremmo trovato campi coltivati, boschi, macchie, capanne, casette, contadini e sfollati. Intanto il sole si era levato, ma appena, dietro l’orlo dei monti; e le cime e il cielo intorno cominciavano a tingersi di rosa. Non c’erano più stelle nel cielo che si era fatto azzurro pallido; quindi il sole brillò ad un tratto, chiaro come l’oro, in fondo agli uliveti, tra i rami grigi; e i suoi raggi si allungarono sulla strada e benché fossero ancora incerti, subito mi parve che la ghiaia sotto i miei piedi non fosse più così fredda. Rallegrata da questo sole, dissi a Rosetta: “Chi lo direbbe che c’è la guerra, in campagna non si penserebbe mai che c’è la guerra”. […]

Dapprima contornammo in piano il piede di una di quelle montagne, quindi, ad una mulattiera che si staccava dalla strada maestra e andava su di sghembo, tutta sassi, polvere e buche, tra due spiedi di rovi, incominciammo a salire e ben presto ci trovammo in una valle stretta e ripida, tra due monti, la quale si andava sempre più restringendo ad imbuto a misura che si alzava e alla fine, come potevamo vedere, non era più che un passo, lassù in cima, sotto il cielo, tra due vette pietrose. […] La mulattiera passò dapprima presso un gruppo di case, all’imboccatura della valle e poi prese a destra, lungo il fianco del monte, tra la macchia. Si levava a zig zag, lenta lenta, quasi piana, con qualche strappo di salita. […] Seguimmo la mulattiera per non so quanto tempo: vagabonda, si arrampicava per un buon tratto sulla montagna a sinistra della valle e poi passava dall’altra parte e prendeva a salire sulla montagna a destra. Adesso potevamo vedere tutta la valle, in salita, fino al cielo: là dove finiva la scalinata gigantesca delle macere, cominciava la fascia scura della macchia; quindi la macchia si diradava e si scorgevano tanti alberi sparsi su un pendio brullo; alfine anche gli alberi cessavano e non si vedeva più che brecciame bianco fino al cielo azzurro. Proprio sotto il crinale c’era come un ciuffo di verdura sporgente; e tra la verdura si intravvedevano certe rupi rosse. Al di là di quel crinale c’erano i monti della Ciociaria tra i quali il Monte delle Fate. […] Vedevamo benissimo tutta la valle di Fondi sparsa di aranceti scuri e di case bianche e poi, dalla parte di Sperlonga, la striscia del mare e sapevamo che in quel mare c’era l’isola di Ponza che, infatti, qualche volta, col tempo chiaro si vedeva e sapevamo pure che a Ponza c’erano gli inglesi ossia la libertà.

(Alberto Moravia, La ciociara)

fonte

http://www.camminarenellastoria.it/index/petri_it_1_cima_Monte.html

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