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Alla Reggia di Capodimonte una serata da re

Posted by on Lug 25, 2016

Alla Reggia di Capodimonte una serata da re

se pubblico spesso notizie culturali provenienti dalla capitale e perché l’estate e calda e tra breve finirà, un altro articolo da napoli su capodimonte…

All’ombra dell’arte contemporanea a Capodimonte

 

Quando vado a Capodimonte, a volte mi viene in mente la “veduta” di Antonio Ioli “Ferdinando IV con dignitari alla Reggia di Capodimonte”. Rappresenta il re che si prepara per la caccia, mentre intorno si irradia la bellissima vista di Napoli. Questa veduta, come le altre vedute della città del Settecento, è stata accusata di essere falsa e di esprimere l’arrogante dominio del Borbone sui suoi sudditi (Spinosa). La si può invece riconoscere precisamente veritiera. La reggia, voluta da re Carlo (1738) per allocarvi le collezioni d’arte ereditate dai Farnese, fu prediletta come sua abitazione dal figlio Ferdinando, che amava circondarsi di amici. Nella veduta, che non ha nulla di goffo né di arrogante, sono rappresentati i dignitari amici in conversazioni serene. Vi sono anche della gente comune e dei frati. Nel Real Bosco, il più bello e vasto (140 ettari circa) giardino barocco d’Europa, che circonda la reggia e che ora il direttore Sylvain Bellanger sta riportando in vita, c’era, all’epoca, una ricchissima selvaggina e una fagianeria, qualche impresa agricola, una real fabbrica di porcellana, un’altra di arazzi e un’altra di armi. Da uno di questi luoghi evidentemente venivano gli spettatori rappresentati, mentre per i frati che gli sono accanto c’era l’eremo dei cappuccini e la chiesetta di san Gennaro. Tutti questi edifici esistono tuttora e sono in via di ristrutturazione e di rifunzionamento. Ora, a Capodimonte, al posto del re, dei frati e dei dignitari ci siamo noi, persone comuni e la Reggia è ridiventata museo. La collezione che i Borbone hanno lasciata a Napoli, uno straordinario tesoro, è stata divisa in due. I reperti degli scavi archeologici sono al museo archeologico. Qui ci sono le opere ereditate dai Borbone, quelle a loro contemporanee, quelle provenienti dai successivi governi, da lasciti di privati e dalle ricchissime chiese di Napoli e dintorni. Le opere più antiche sono del dodicesimo secolo, sono pitture su legno e il legno è consumato, strutto, come struggente sembra il sentimento cristiano degli autori e del tempo loro. La storia è un continuum. Anche quella artistica. Eppure tra le opere archeologiche e queste c’è uno stacco, un salto cronologico. Ma non perché, sarebbe ben strano, a Napoli non si dipingesse. Era il tempo del ducato e la città era ben attrezzata. Infatti i napoletani avevano respinto gli islamici più volte e poi, insieme a gaetani, sorrentini e salernitani, con il comando del napoletano Cesario Console, ne avevano sgominata la flotta nell’849, nella battaglia di Ostia, quando quelli avevano messo in pericolo il Papa. Nel museo di Capodimonte, del Trecento sono le tavole di Roberto di Oderisio e di Simone Martini e di tanti altri, del Quattrocento le opere di Masolino, di Masaccio, di Colantonio, di Botticelli…e così per i secoli seguenti con Francesco Curia, Tiziano, Caravaggio… Il museo è ricchissimo di capolavori. Arrivati al piano superiore, ci si trova di fronte a un cartello con due frecce: a destra si va al Contemporaneo a sinistra al Barocco. Due eccellenze di Capodimonte. Non c’è museo dell’antico che ospiti anche una così ricca collezione di autori contemporanei, come credo non ci sia museo al mondo che ospiti tante opere del più umano e libero barocco che ci sia, quello napoletano, che ha una visione attualissima del mondo. Giovedì 14 luglio, viene inaugurata la riapertura della sezione dei contemporanei. Ci sono molti visitatori. Tra gli autori in mostra Alberto Burri, Anselm Kiefer, Mimmo Palladino, Luigi Mainolfi, William Kentridge, Andy Warhol… Tra i visitatori che amano i contemporanei, c’è Peppe Morra, che si sta guardando le opere di Hermann Nitsch, un suo amico e compagno di strada. Lui era mio vicino di casa ma ora abita nel rione Materdei. Sta ristrutturando un vecchio palazzo, dove ora vive, in un appartamento di 400 metri quadrati, in cui tempo fa ha ospitato anche degli artisti giapponesi e poi degli artisti cinesi venuti nel museo Nitsch a mostrare le opere loro. Oggi, alle diciannove, nel Real Bosco di Capodimonte, c’è il secondo concerto del Luglio musicale. Il Luglio Musicale era stato istituito dal sovrintendente Raffaello Causa, i cui allori Bellenger vuole ripristinare. E, perché sia ben chiaro il suo riferimento, sul programma di sala è scritto: “In onore di quegli anni felici è stato fedelmente riportato il bozzetto del 1959, utilizzato per rappresentare i concerti al Bosco dell’Orchestra Scarlatti: un clarinetto che si diverte a travestirsi da albero, simbolo della feconda armonia che Napoli sa creare tra le diverse arti e che rende ancora oggi il Bosco di Capodimonte un raffinatissimo scenario per i concerti”. Ora l’Orchestra è del Conservatorio di San Pietro a Majella e vi suonano docenti e discenti. I cantanti sono allievi. Preparatissimi. Un soprano con una voce tecnicamente perfetta e meravigliosamente naturale, un altro la cui voce straordinaria si assottiglia fino a diventare uguale a quella di un violino, c’è un tenore che mangia la scena e un basso espressivo e poderoso. Ad apertura del concerto, si è cantato il bellissimo inno de La Marseillaise… quello che una giovane mamma insegnava al suo bambino, che oggi lo ricorda ancora. L’inno sa molto poco del razionale illuminismo cosmopolita. Esprime la passione, la sofferenza di un popolo oppresso, e parla ai Figli della Francia, che amano la loro patria che è la loro madre e la loro origine. E non voglio parlare di Nizza. Nella foto, il Cretto di Burri nella sezione contemporanea del Museo di Capodimonte

Rino Gand

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