Alla scoperta della Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte di Adriana Dragoni
Storia un po’ misteriosa della Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte: quando il mondo virtuale contemporaneo incontra la concreta arte della tradizione
In questi lunghi giorni di una falsa primavera, chiusi nelle nostre case, privi dell’incontro fisico con le persone, le strade urbane e la natura, siamo proni a cellulari, radio, tablet e televisioni, che ci conducono in un mondo virtuale. Anche nell’arte ora tutto è virtuale. Così, pure il teatro, che era fatto di personaggi viventi, reali, diventa incorporeo “teatro da casa”, magari nella versione olofonica, come l’Elettra di Ugo von Hofmannsthal, mandata, attraverso il vuoto, dal Teatro Stabile Mercadante di Napoli. Le opere d’arte figurativa, questi oggetti concreti, che hanno un corpo reale, svaniscono, diventando visioni incorporee. Musei e gallerie, chiusi, le imprigionano e, con l’esortazione del MIBACT, ne mandano la versione digitale. Delle mostre conosciamo l’inaugurazione digitalizzata, non sapendo quando, e se, vi saranno realmente. C’è uno stallo. Il tempo presente è solo un vuoto intervallo temporale. Il futuro è attesa, che il presente rosicchia via via e rimanda sempre più in là.
D’altronde già era forte, anche nell’arte contemporanea, la tendenza all’astrazione. Come per un presentimento, l’arte diventava astratta e concettuale e si chiudeva nel suo darsi a pochi, mentre la sua democratizzazione, con i multipli inventati da quel geniaccio di Andy Warhol, ne alterava il significato.
Ma anche ora vi sono, in controtendenza, coloro che sono immersi nella realtà quotidiana e nella sua necessità, e sono santi o eroi. E così c’è pure, per esempio, l’arte di Robert Rauschenberg, che fa parlare le cose, anche gli scatoli di cartone e una vasca da bagno scrostata. Materia. Realtà. La mostra “Pompei@Madre. Materia Archeologica“, nel museo di arte contemporanea Donnaregina e negli spazi della Pompei antica, testimoniava gli stretti rapporti tra la concretezza naturalistica del passato magnogreco e una certa tendenza di uno sperduto presente a ispirarsi all’antico.
E un richiamo alla concretezza, un riappropriarsi della realtà delle cose, sembra essere anche la recente valorizzazione dell’arte ceramica, quest’arte antichissima che, nata dalla utilitas preistorica dei vasi, poi profeticamente immaginava, sulla superficie avvolgente di questi, figure in uno spazio curvo. Nei millenni, la ceramica ha avuto le sue evoluzioni nella diversità delle forme e delle terre usate. Fino a creare il più bello e raffinato dei suoi materiali: la porcellana. Funzionale al nostro discorso è che la scoperta di questo materiale non fu fatta dalla scienza canonica ma dalla conoscenza della materia acquisita attraverso la sapienza esperienziale degli arcanisti, che desideravano svelare i segreti della natura, tentando varie strade. Essi cercarono anche di trasformare la materia in oro; ma sembra non ci siano riusciti. Mentre la porcellana stessa, considerata preziosissima, fu detta “oro bianco”.
Interessante è la storia della fondazione della Real Fabbrica di Porcellana di Capodimonte, che sorse, prima in Italia, nella Napoli borbonica. L’oro bianco era nato in Cina ma la sua composizione era un segreto. Fin quando non venne scoperto da Johann Friedrich Bottger (1682/1719), il quale lo confidò ad Augusto il Forte, re di Polonia e principe elettore di Sassonia, che poté, così, fondare, nel 1710, a Meissen, la prima fabbrica di porcellana in Europa. Augusto era il nonno di Maria Amalia di Sassonia (1724/1760), che soggiornò nel castello del nonno a Meissen e che, quando sposò, a quattordici anni – e fu un grande amore – Carlo di Borbone (1716/1788), gli portò in dote alcune porcellane del luogo. Il re di Napoli e di Sicilia, perché ne scoprissero il segreto, chiamò a raccolta gli arcanisti del suo Regno. Qui, gli arcanisti erano tanti e ben preparati (annoverato tra questi c’era, nel Settecento, il famoso principe di Sansevero Raimodo di Sangro) e lunghissima è la tradizione della filosofia sensistica napolitana, alla quale si ispiravano.
Gli arcanisti napoletani scoprirono ben presto il segreto della porcellana e, nel 1743, Carlo poté fondare la Manifattura Reale nel Real Bosco di Capodimonte, dove esiste tuttora. Nel laboratorio della Real Fabbrica di Porcellana a Capodimonte ci sono i nuovi forni ma, accanto a questi, si conservano quelli antichi. E vi sono anche i cocci, reperti di incidenti di lavorazione, che, in ciascun frammento, dicono del lavoro e del tocco esperto e delicato dell’artista-artigiano e hanno l’armonia naturalistica del tempo andato.
Il direttore del laboratorio è l’architetto Valter De Bartolomeis che è anche Dirigente Scolastico dell’annesso Istituto di Indirizzo Raro “Caselli-De Sanctis”, dove s’insegna l’arte della ceramica. Il metodo didattico voluto dal Direttore è quello illustrato nel convegno, tenuto nell’aula Magna dell’Istituto nel gennaio 2020, “Le ceramiche di Roberto Mango, continuità di un progetto interrotto”. Questo metodo si basa sulla convinzione che l’opera in ceramica non nasca astrattamente ma dalla conoscenza della materia stessa. E richiede all’artigiano di assumere un ruolo attivo, diventando protagonista del processo creativo. L’artigiano non è un mero esecutore ma collabora con l’artista autore del progetto dell’opera.
Così, nel laboratorio della Real Fabbrica di Porcellana di Capodimonte sono nate le opere di diversi artisti. Come quelle, recentissime, del famoso archistar Santiago Calatrava: le decorazioni murarie dell’interno della chiesetta nel Real Bosco dedicata a San Gennaro, che, il 3 aprile scorso, dopo cinquant’anni, si sarebbe dovuta riaprire al pubblico e al culto. Nella sala del Museo Didattico della Real Fabbrica sono esposti alcuni degli oggetti eseguiti qui: oggetti magnifici con modelli nuovi, oltre quelli tradizionali. Qui l’arte contemporanea esprime l’evoluzione di una tradizione.
Sono oggetti in cui la bellezza del disegno modernamente slanciato è esaltata dal colore delicato e inimitabile della porcellana, al quale, a volte, si aggiunge la brillantezza dell’oro puro. Sono di vario tipo: vasi, presepi, ma anche monili, fibbie, decori di borse e cinture, che sono in mostra per essere ammirati e anche comprati.
Molti sono i programmi per il futuro. A maggio si dovrebbe (?) inaugurare la mostra di Diego Cibelli, un giovane artista, classe 1987. Ma il futuro è nelle mani di Dio. O del diavolo?
Adriana Dragoni