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Alla vigilia delle riforme i moti di piazza sconvolgono il regno

Posted by on Dic 6, 2018

Alla vigilia delle riforme i moti di piazza sconvolgono il regno

di Roberto Maria Selvaggi

L’anno che precede il fatidico 1848 fu denso di avvenimenti per il Regno delle Due Sicilie e, a chi è disposto ad osservare la storia con obbiettività e serenità di giudizio, appare come un anno di preparazione al disegno di riforma istituzionale dello stato che Ferdinando II, a dispetto degli storici di parte, portò avanti fin dalla sua ascesa al trono. Dal 1830 questo Sovrano salito al trono appena diciottenne, ad un’età che divide appena l’adolescenza dalla gioventù, aveva iniziato la modernizzazione ed il cammino riformistico dello stato napoletano. Fra alterne vicende, e contro la sorda ed opprimente opposizione fomentata dalla risorta carboneria internazionale incarnata dall’Inghilterra di Palmerston, il giovane Re seppe traghettare la nazione verso una forma di stato sempre più rappresentativa. Ogni mezzo fu messo in atto dai detrattori dominati da quell’Inghilterra che, toccata nei propri interessi dal nazionalismo del Re, dimenticava troppo facilmente di essere la nazione campione nella repressione dei popoli da Lei sottomessi. Il 1847 si era aperto con grande ottimismo e con ragionevole speranza in un futuro sempre migliore per il Regno. L’economia “tirava”, ed i provvedimenti di quasi un ventennio davano finalmente i loro frutti. Si erano aperte industrie metalmeccaniche e manifatturiere, le ferrovie erano in pieno sviluppo, il commercio prosperava, a Palermo si inaugura una nuova cassa di sconto del Banco delle Due Sicilie con 500000 ducati di capitale. Numerosi Principi e Sovrani visitano Napoli: dal Principe ereditario di Monaco a quello del Baden, da quello di Baviera, che ottiene di erigere una statua alla memoria di Corradino di Svevia nella chiesa del Carmine, al Principe Oscar di Svezia, che rimase sbalordito dall’opificio di Pietrarsa. A lungo rimasero nella memoria collettiva i viaggi trionfali che i Reali effettuarono nel Regno, ricevendo dappertutto accoglienze incredibili, con interi paesi che si stringevano attorno la carrozza reale. Un Paese descritto dai detrattori come un inferno poliziesco, nel quale i sovrani si permettono di sparire dalla Capitale per lungo tempo senza timore di rivolgimenti politici, un Paese dove si è fatto credere ad una sorta di lager pieno zeppo di poliziotti e gendarmi, quando il Re si muoveva scortato solo dalle guardie d’onore provinciali e dal popolo che lo acclamava. Ma tale idilliaca situazione non poteva andar bene ai nemici esterni ed interni. Senza alcuna pressione Ferdinando inizia ad operare alcuni importanti cambiamenti nella compagine governativa: il 30 luglio sostituisce Scipione Sarli con il più liberale Cesare Gallotti alla Prefettura di polizia di Napoli; il 13 agosto abolisce il dazio fiscale sul macino, obbligando i comuni a non eccedere nella loro imposizione sullo stesso; diminuisce quello sul sale e sul vino in Sicilia. Il 1° settembre 1847 una banda di rivoltosi assale la città di Messina al grido di “Viva Pio IX” e “Viva l’indipendenza”. Il giorno successivo lo stesso tentativo accade a Reggi Calabria. Le carceri, piene di detenuti comuni e non certo politici, vengono assalite e gli stessi detenuti sono armati dai rivoltosi. Sempre fermo nei suoi propositi, il Re invia una squadra navale davanti a Reggio, al comando del fratello Conte d’Aquila. Il generale Nunziante comanda i duemila soldati inviati da Napoli, ed in soli 15 giorni l’ordine viene completamente ristabilito sia in Sicilia che in Calabria. Il Re, per nulla scosso da questi avvenimenti, prosegue nella sua determinazione di non farsi mai anticipare dagli avvenimenti, e di proseguire per la strada intrapresa fin dalla sua ascesa al trono. Mentre un tribunale condanna alla pena di morte, dopo regolare processo, i dodici capi della rivolta di Reggio, che vengono tutti graziati dal Re come del resto nei 17 anni precedenti aveva fatto quasi sempre, Ferdinando decretava la nomina di sette nuovi consultori, tutti noti liberali moderati e costituzionalisti: essi erano l’abruzzese Cesidio Bonanni, Emilio Capomazza, Roberto Filangieri, Francesco Gamboa e Rocco Beneventano. Nicola Santangelo, potente ministro dell’Interno fu giubilato, ed il ministero diviso in tre nuovi dicasteri, per rispondere alle mutate richieste dell’amministrazione. All’Interno fu nominato Giuseppe Parisi, intendente di Catania e figlio del generale omonimo fondatore della Nunziatella, ai Lavori Pubblici Pietro d’Urso, presidente della Gran Corte dei Conti, e ad Antonio Spinelli, che sarà nel 1860 l’ultimo presidente del Consiglio del Regno, fu affidata l’agricoltura. Alle finanze fu ritirato Ferdinando Ferri, il famoso amante giacobino della Sanfelice nel 1799, diventato poi borbonico ed assolutista, e venne chiamato a sostituirlo Giustino Fortunato, magistrato ed anche lui antico giacobino. Tutto questo altro non era che il cammino previsto dal Re verso un vero e proprio sistema rappresentativo liberale e moderato, ma dal 22 novembre iniziano le dimostrazioni di piazza. A Napoli e Palermo si sfila per la città chiedendo indipendenza in Sicilia e rivolta a Napoli; giunge così la fine del 1847. Sta per scoccare l’ora delle rivoluzioni in tutta Europa ma, senza dubbio, il più preparato ad affrontare il momento ed a secondarlo fu il Regno delle Due Sicilie che, grazie alla preveggenza del suo Sovrano, si mostrava pronto ai nuovi tempi.

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