Alta Terra di Lavoro

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ALLE ORIGINI DEL BRIGANTAGGIO LEGITTIMISTA (II)

Posted by on Ago 18, 2024

ALLE ORIGINI DEL BRIGANTAGGIO LEGITTIMISTA (II)

Sull’esempio della Francia rivoluzionaria e napoleonica (1789-1815) ogni nazione assurta a Stato ha elaborato una sua retorica. C’è stata la retorica dell’Inghilterra imperiale, quella della Grande Germania, quella dell’Impero del Sol Levante, quella dell’Unione Sovietica, paese guida di tutti i comunisti del mondo.

Oggi è sui teleschermi di ogni famiglia occidentale la retorica della libertà “a stelle e strisce” che, dagli Stati Uniti d’America, s’irradia dovunque trovi ascolto. E c’è anche una retorica dell’Italia unita, la quale un tempo si esprimeva nel culto di Casa Savoia e oggi si esprime nella Resistenza al tedesco invasore, nella Guerra Partigiana, nell’antifascismo, nella Costituzione repubblicana, senza, peraltro, dimenticare il tricolore, la fanfara dei bersaglieri, l’Inno di Mameli, le imprese di Garibaldi, in modo che sia salva la continuità dello Stato unitario passato da Regno a Repubblica, e con tali valori nazionali anche alcune falsificazioni storiche, tipo “l’odiato borbone” o “il brigantaggio”, che al tempo dell’unità trovavano qualche pratica giustificazione nell’esigenza di formare un pensiero nazionale italiano, ma oggi non più.Infatti, nella costruzione della retorica patriottica i paesi stranieri, di regola, mitizzano un primato nei confronti di altre nazionalità, mentre in Italia unita la negazione colpisce all’interno della stessa nazione, e precisamente al Sud, i Napoletani (così al tempo degli ex Stati erano indicati tutti i Meridionali) e i Siciliani.Un esempio, forse il più doloroso, di tale mistificazione è proprio il Brigantaggio napoletano. Il dolore e, con esso, la mortificazione vengono dal fatto che, su cento meridionali che leggono questo opuscolo, almeno uno non sa di avere un antenato morto in quella guerra, e non meno di due (sempre su cento) non sanno di discendere da un combattente schierato con i Briganti. Infatti i nomi dei circa 150 mila morti nella resistenza all’esercito piemontese, sono stati cancellati da ogni memoria storica, allo stesso modo degli italiani trucidati nelle foibe jugoslave. Ma la retorica patriottarda è dovunque e sempre incline a rimozioni del genere.Se prendiamo in considerazione l’area in cui il Regno d’Italia, per reprimere la sollevazione popolare, istituì dei tribunali speciali di guerra in tutte le province del Sud, meno Napoli e Reggio, e la consistenza della truppa impegnata in tale operazione, più di 100 mila uomini, nonché la durata dello scontro che si protrasse dal 1861 al 1874, la guerra del Brigantaggio fu un duro e lungo scontro fra italiani, che richiama alla memoria la lunga guerra che si svolse tra i Romani e gli Italici al tempo dei Gracchi, di Gaio Mario e di Cornelio Silla. Di tale antico conflitto la guerra del Brigantaggio ripeté i caratteri e gli scopi. Diversa – anzi contraria – fu invece la conclusione. Infatti gli Italici ebbero ciò per cui combattevano, mentre, duemila e duecento anni dopo, i Napoletani furono in tutto e per tutto perdenti. Per risolvere i problemi a loro creati dall’incorporazione delle Due Sicilie nello Stato italiano, intrapresero la sconosciuta via dell’emigrazione in America (sette milioni di espatri tra il 1883 e il 1914). Si disse allora: “o briganti o emigranti!”La storia della penisola è lunga e spesso incoerente. Seconda soltanto dopo la Grecia, l’Italia è la più antica formazione sociale d’Europa. Fino agli albori del secolo XIX fu il paese più densamente popolato al mondo e Napoli la città più grande. Nessun paese, neppure la Cina, ha una storia altrettanto ricca e altrettanto prodiga di esempi positivi a favore degli altri popoli. Eppure nella storia degli Italiani c’è una ricorrente e negativa interfaccialità, quasi una vendetta degli dei. Infatti, quando al Sud le cose vanno bene, al Nord vanno male, e viceversa. Nella fase ellenica, mentre il Sud era civile, il resto d’Italia viveva ancora in modo primitivo. All’opposto nella fase romana: mentre il Centronord progredisce rapidamente, il Sud declina altrettanto rapidamente. Nell’Alto Medioevo, un’altra inversione: per il Nord sono i secoli bui; al Sud, invece, il sistema mercantile e gli elementi della cultura classica resistono. In appresso, con la conquista normanna, e soprattutto con quella angioina, le facce si rovesciano ancora una volta: il Sud s’imbarbarisce e il Centronord si avvia verso la fase storica del suo massimo splendore, il Rinascimento.Nella sua Storia del Regno di Napoli, Benedetto Croce rileva che nei secoli compresi tra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e la conquista normanna (1059 d.C.), con cui prende avvio il Regno napoletano, la parte meridionale d’Italia, in qualche modo difesa dalla presenza dell’esercito bizantino (Impero Romano d’Oriente), conserva gli elementi della tecnologia, dello scambio mercantile e del diritto privato, elaborati in età greca e romana, e ancora sopravviventi nel bacino orientale del Mediterraneo. Del tutto splendida appare la Sicilia del tempo, dominata dagli Arabi. I geografi contemporanei parlano di Palermo come della perla del mondo, per l’abbondanza di fontane, per le sue bellezze naturali e lo splendore degli edifici, per la sua civiltà raffinata e la sua ricchezza. Questo mondo ancora vivace – e del tutto progredito in Sicilia – viene bloccato dall’arrivo dei Normanni, i quali vi introducono il sistema feudale elaborato dai Franchi, al tempo vigente nella regione francese di Normandia, da dove essi provengono, e in tutta l’Europa, meno il Sud della Spagna, anch’esso in mano ai califfi arabi, e appunto il Sud italiano.La barbarie non aveva risparmiato invece l’Italia da Roma in su. Durante i secoli dell’Alto Medioevo – quelli di Teodorico, di Carlo Magno, di Ermengarda, dei Longobardi – le splendide e funzionali città fondate ed edificate dai Romani, a eccezione di Ravenna, caddero in rovina e rimasero quasi disabitate; la popolazione delle campagne non raggiungeva un decimo della popolazione esistente nella precedente età romana. Le carestie e le malattie epidemiche falcidiavano ricorrentemente le contrade. Gli italiani del Centronord si erano ridotti a non saper leggere e scrivere, a non avere memoria del passato, a non contare più sulla certezza della legge, a non saper battere un chiodo nella forgia, a ignorare l’arte del muratore, a coltivare i campi proprio come lo si faceva millenni prima, al tempo di Assur e di Osiride.Un secolo o due prima dello scontro tra i Comuni Lombardi e l’imperatore tedesco Federico Barbarosa, l’antica civiltà, tenuta in vita dai Bizantini e dagli Arabi prende a riconquistare le popolazioni regredite di Roma e dell’Italia toscopadana. Dei monaci basiliani vengono chiamati a Roma dai papi per insegnare a leggere e a scrivere ai preti latini (abbazie di Grottaferrata e di Monte Cassino). In virtù di tali apporti culturali e tecnologici, la vita urbana e la manifattura rifioriscono nelle città portuali. Un po’ dovunque rinasce il ceto mercantile e il capitale di rischio. Ricominciano a prosperare i piccoli possidenti e il ceto medio, che erano stati il punto di forza della civiltà greca e romana. Appaiono le prime libertà cittadine, c’è come un ritorno alla polis. Ma mentre Venezia, Genova, Milano, Firenze sanno difendere la propria indipendenza, Palermo, Messina, Napoli, Amalfi, Salerno, Bari non lo sanno fare e vengono irreversibilmente sconfitte dai Normanni. A favore di un Centronord libero e, simmetricamente, contro la libertà del Sud agisce forse la più potente delle forze emerse in Europa dopo la caduta di Roma, sicuramente la più duratura, la Chiesa romana. Al fine di conservare la propria indipendenza, essa impone la divisione della Penisola in due aree politiche: a nord di Roma una frantumazione del paese in signorie regionali e municipi, in modo che da quel lato non partano minacce imperiali; a sud il regno unitario creato dai Normanni non dovrà mai più produrre tentativi come quelli di Federico II e di suo figlio Manfredi. La Spagna si fa garante dell’equilibrio politico italiano per sei secoli e passa. Roma e le province adiacenti, lo Stato di San Pietro, sarebbero state (e storicamente saranno) implicitamente difese dalla non convergenza politica e statuale tra italiani del sud e del nord.Già nel XIII secolo Milano Venezia, Genova, Firenze, Roma sono al centro dell’Europa nascente. Contemporaneamente il Napoletano e la Sicilia inaugurano una secolare marcia a ritroso. L’arrivo in Sicilia e a Napoli dei baroni angioini (francesi) e subito dopo di quelli aragonesi (spagnoli) snatura il volto del Sud, il quale era ricco di manifatture, coniava monete eleganti e apprezzate in tutta l’area mediterranea (una specie di dollaro medievale), contava su una borghesia istruita, commercialmente vivace, aperta ai traffici mediterranei. I fondaci amalfitani sono diffusi dalla vecchia Costantinopoli ad Alessandria d’Egitto, dalle sponde del Libano a Cadige e Lisbona. La flotta amalfitana combatte al largo di Ostia una dura battaglia navale contro i saraceni, li sconfigge e salva Roma da un ulteriore saccheggio. Le Tavole Amalfitane sono il codice della navigazione rispettato da tutti i naviganti e sopravviveranno fino al secolo XVIII, cioè ben oltre l’Atto di Navigazione di Cromwell. Ma i baroni che vengono da altre nazioni non hanno alcun interesse a tenere in vita le classi urbane, ciò che oggi chiamiamo borghesia attiva. Impadronitisi di grandi feudi, del cui governo non debbono dar conto ad alcuno, essi puntano ad avere il massimo possibile di produzione agricola da vendere ai mercanti liguri, toscani e veneti. Nel Sud si sviluppa una triplice sudditanza: verso il re straniero che incassa tributi erariali, verso il barone e i prelati che incassano tributi feudali, verso gli usurai fiorentini e genovesi che prestano danaro a un tasso d’interesse che va dal 35 al 48 per cento.

fonte

https://www.homolaicus.com/storia/moderna/brigantaggio/1.htm

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