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ALL’ESTERO APPREZZANO L’ITALIA MENTRE IN ITALIA…………..

Posted by on Mar 13, 2016

ALL’ESTERO APPREZZANO L’ITALIA MENTRE IN ITALIA…………..

fonte ilnapolista.it intervista a FRANCESCA SINISCALCHI di Francesca Leva

Il New York Times l’ha citata due volte, entrambe accostandola a Elena Ferrante e alla sua quadrilogia “L’amica geniale”. La storia di Lenù e Lila che ha fatto impazzire New York al punto da indurre il celebre quotidiano a inviare una reporter a Napoli sui luoghi del romanzo, in particolare dell’infanzia delle due protagoniste: il Rione Luzzatti, tra Gianturco e la Ferrovia. E una volta a Napoli, l’inviata Anne Mah ha chiamato lei, Francesca Siniscalchi, e da lei si è fatta accompagnare per rivivere il romanzo.Noi la incontriamo a Piazza Bellini, centro storico. Ha lo sguardo vivo, sprizza curiosità. Ed è molto educata. Al punto che attende la fine dell’intervista per confessarci la sua avversione per il calcio («È inconcepibile che ancora oggi ci siano persone che vivano solo per quello») per poi aggiungere: «Ma ho deciso di parlare con voi dopo aver letto l’intervista a Bellenger pur se circondata da tanti articoli dedicati al calcio».

È animata da un sincero amore per Napoli. Ha una storia simile alla protagonista narrante de L’amica geniale e a tanti napoletani. È andata via pensando che qui non si potesse vivere e poi, dopo anni, è tornata. «Con la consapevolezza che Napoli non è né meglio né peggio del resto d’Italia. Che è bistrattata mediaticamente, soprattutto da noi. Mentre all’estero ormai è diverso, come dimostra l’interesse del New York Times, del Guardian. C’è un interesse in Italia a offrire un’immagine oltremodo negativa di Napoli. Per fortuna oggi c’è Internet. Grazie a Internet gli stranieri che vengono qui possono poi scriverne e progressivamente il trend si è invertito».

Dopo la laurea in lingue e letterature straniere, Francesca se n’è andata da Napoli, come molti giovani laureati, come Elena Greco, ha lavorato 8 anni all’Alpitour. «Mi dissi:non voglio tornare più, ho voluto imparare tante lingue, parlo inglese, spagnolo, tedesco, proprio per bypassare tutto quello che era Italia perché qui il lavoro e la professionalità non vengono riconosciuti».

Da dieci anni è tornata alla base («ho lo studio a due passi da qui- dice – in realtà è casa mia perché io lavoro in giro per Napoli, se hai una conoscenza enciclopedica la gente si annoia, questo è un lavoro da strada”) e oggi lavora esclusivamente con stranieri. «Li preferisco, decisamente. Sono preparati culturalmente, arrivano a Napoli dopo aver studiato. Hanno un diverso modo di porsi. Sono sinceramente interessati, desiderano apprendere, sanno cosa vogliono vedere e alla fine ti ringraziano ed escono carichi di meraviglia. Gli italiani, invece, si guardano intorno con sufficienza, poi magari dicono frasi del tipo “però Palermo è più bella”. Sono la prima a sapere che a Napoli esiste la sporcizia, la cacca dei cani che i “signori” non si abbassano a raccogliere, ma il turista straniero sa che troverà anche questo e non gli interessa. Noi italiani siamo quelli che nel giorno dei musei gratis facciamo la fila e ne siamo anche contenti, invece di andare a visitare e conoscere le nostre ricchezze tutti i giorni. Quando accompagno in giro turisti stranieri e abbiamo concordato di stare insieme otto ore, se capita che gli regalo un’ora in più mi ringraziano, con gli italiani potresti restare 12 ore ma alla fine dicono “Che fai, te ne vai?”».

Oggi che è tornata a Napoli, Francesca parla col fervore di chi si rende conto dell’immagine negativa stereotipata che è stata cucita addosso alla città. «Andare fuori mi è servito per capire che volevo tornare e non sarei tornata in nessun’altra città d’Italia, solo a Napoli. Anche il ritorno non è stato semplice. Ho lavorato un anno a Ischia, un anno per il Jolly hotel e poi per un’associazione di congressi medici. A Ischia l’ambiente era chiuso, maschilista, il mobbing. Poi nel 2004 ho vinto il benedetto concorso per l’abilitazione e grazie a un Por per l’emersione dal lavoro nero ho avviato la mia attività. Presto mi sono resa conto che Napoli, a differenza dell’Italia, è una città aperta. Napoli è viva, unica, con immense potenzialità, vivere qui significa vivere contemporaneamente in India, in Spagna, in Francia, in Africa. Ovviamente con le lacune che conosciamo. Mancano le infrastrutture. Anche turisticamente è una città saltata perché si va a Capri, a Pompei, in costiera. Ed è una città che il governo nazionale vorrebbe sempre più escludere. La vicenda del treno veloce per portare i turisti da Roma direttamente fino a Pompei è emblematica. L’obiettivo è organizzare un turismo veloce, mordi e fuggi, che tagli fuori Napoli».

Lei vede un disegno politico in questo?
«Sì. E lo dimostra anche quel che sta accadendo per il Tesoro di San Gennaro. Vogliono espropriare Napoli delle sue ricchezze. È semplice portarsi via i tesori invece di valorizzare quello che c’è sul territorio e per il territorio. Ho dovuto lavorare all’estero per capire come si valorizzano e si sfruttano le risorse e non lasciare che gli altri le sfruttino. Bellenger, nell’intervista che avete pubblicato, ha centrato il problema: “giù le mani da San Gennaro”. Dobbiamo cominciare a ragionare rendendoci conto che Napoli è internazionale, solo bypassando il governo di Roma possiamo recuperare e valorizzare le nostre ricchezze. Abbiamo tutto qui, ma non siamo capaci prendere decisioni e gestire le potenzialità che abbiamo”.

Quanto è cambiata Napoli in questi anni?
«Napoli non è cambiata, è cambiata la percezione che ne hanno gli altri. Le persone di una certa cultura hanno capito che c’è una Napoli che non è quella cartolina, pizza, sole e mandolino, ed è la Napoli che loro cercano. Il caso della giornalista del Nyt è bellissimo per questo, lei viene qui e mi chiede di vedere una certa Napoli, quella che ha studiato. E se questa percezione è cambiata, lo dobbiamo soprattutto a Internet. Per molti anni di Napoli si sapeva solo che era una città difficile e pericolosa, sporca, perché questa era l’immagine che i media divulgavano; poi, finalmente, c’è stata la cosiddetta informazione dal basso: le persone comuni, i turisti, hanno potuto lasciare i propri commenti e far conoscere il loro punto di vista della città. È un dato di fatto che Napoli oggi gode di una discreta stampa all’estero che la ritrae in maniera completamente diversa da come accade nel resto d’Italia».

Non a caso, Elena Ferrante è un caso letterario soprattutto all’estero. In particolar modo a New York e in Inghilterra. «Quando la giornalista del Nyt mi ha contattata, a settembre, stavo leggendo il terzo libro della saga. Una vera coincidenza. Avevo conosciuto la Ferrante con il film di Martone “L’amore molesto” e mi era piaciuto tanto, ma è stata una mia cara amica di Londra a dirmi leggiamo L’amica geniale e così abbiamo cominciato in contemporanea».

Francesca Siniscalchi non ha itinerari standard, li modella sui suoi clienti, li diversifica tenendo conto delle loro esigenze e delle loro curiosità. Anche così è nato il tour dedicato a Elena Ferrante. «Con la giornalista del Nyt siamo partite dal Rione Luzzati, dove le protagoniste sono nate e cresciute, c’è il famoso stradone che poi è via Taddeo da Sessa, il tunnel che in realtà è piccolino e nei loro racconti di bambine sembrava enorme. Poi Piazza Carlo III dove c’è il liceo classico frequentata da Elena, il Rettifilo, Poggioreale, piazza dei Martiri. Tutti luoghi dei libri, che sono ben descritti e facilmente riconoscibili, perché sebbene la Ferrante sia una scrittrice culturalmente elevata, ha una scrittura semplice. Ma tutto parte dal rione, ed è importante sapere fisicamente da dove si parte, raccontare non solo i luoghi ma anche il tipo di vita, la Ferrante è bravissima a raccontare un tipo di famiglia, quel popolino che non ha fiducia nelle istituzioni e nell’istruzione, che non manda a scuola i figli perché è inutile, mentre la scolarizzazione è nel libro proprio il modo per venire fuori da un certo luogo e da un certo tipo di vita, è l’unica alternativa possibile. Mi ha profondamente colpito che la giornalista americana non si sia limitata a conoscere i luoghi ma abbia voluto parlare con i residenti, con coloro che avevano vissuto quel periodo raccontato nel libro per capire e vivere la cultura che si viveva».

Cosa le piace della Napoli della Ferrante?
«È una città che si evolve, come il racconto. Poi ho trovato meraviglioso il rapporto tra Lenù e sua madre. E soprattutto la Napoli della Ferrante è priva di luoghi comuni. Ad esempio non c’è mai il pallone, mai. Pur senza rifuggire la camorra, anzi, è lontanissima dalla Napoli di Gomorra (la serie tv, invece il film è bellissimo) che è solo sensazionalismo e immobilismo. In fondo una Scampia la trovi ovunque, non c’è bisogno di venire qui. Quella della Ferrante è una storia viva, un andare e tornare alla ricerca di qualcosa, come ho fatto io, perché Napoli è un porto di mare. La città non deve cambiare, ma siamo noi a dover crescere e imparare ad apprezzare e a riappropriarci delle nostre ricchezze. Spesso mi chiedo perché un artista italiano debba sempre essere scoperto all’estero. Paolo Sorrentino ad esempio: qui lo stiamo ancora criticando, mentre all’estero vince premi. Non ci godiamo i capolavori e gli artisti che abbiamo. Vale anche per Elena Ferrante: a Manhattan, quando è uscito il quarto volume de L’amica geniale, un’importante libreria ha cominciato la vendita del libro a mezzanotte e c’era la fila fuori per poterlo acquistare la notte stessa».

Perché, secondo lei, abbiamo questa difficoltà?
«Perché viviamo di diffidenza, mentre lo straniero si fida e si affida, ha meno pregiudizi. Un turista italiano pensa che se ti chiede un suggerimento su dove andare a mangiare, tu gli darai il nome di un amico ristoratore o avrai qualche accordo con lui, lo straniero invece riconosce in te solo le competenze, è come se fosse senza preconcetti».

Cosa augura a Napoli?
«La mia gioia per Napoli è che la città abbia un riscatto, ma non perché debba migliorarsi o cambiare. Un riscatto per quella che è, perché sia vista e vissuta per le sue ricchezze e le sue potenzialità. Siamo una città normale e per me questo è un concetto fondamentale».

 

FRANCESCA SINISCALCHI ELENA FERRANTE                      

 

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