ANALISI SOPRA UN ARTICOLO DELLA MINERVA NAPOLITANA
EPISTOLA DELL’AUTORE DE’ PIFFARI DI MONTAGNA
A UN SUO AMICOParma ai 20 di Novembre 1820
CARO AMICO
E pur dunque a Voi saltato positivamente in capo il desiderio di annojarmi, e tormentarmi unitamente? Bel compenso invero! Io vi mando un esemplare dei miei Piffari di Montagna, e Voi mi ricompensate col Quaderno 8. e della Minerva Napoletana dei 2o. Ottobre del 182o. Voi pur sapete quanto io mi sia nemico di gazzette e di tutti quei fogli periodici, che vengono particolarmente scritti da persone prevenute da un partito.
Che anzi vi assicuro non comprendere, come Voi che il buon senso unite allo spirito, possiate perdere in una tal lettura il vostro tempo. Ve la perdonerei forse anche però se si trattasse di sola perdita di tempo. Voi ci perdete del vostro capitale, acquistandoci idee false. Ricordatevi della differenza che fa Erasmo tra l’ignoranza positiva e negativa. Ditemi infatti cosa è meno male il non avere nessuna idea di una cosa, o averne una falsa? Se foste in un imbarazzo qualunque, chi vi farebbe meno male essendovi vicino, colui che si dichiarasse non sapervi consigliare, o quello che con una trionfante eloquenza vi persuadesse a operare in modo da rovinarvi? Ecco il caso in questione, che i Romani un dl decisero condannando al bando tutti i Sofisti venuti dalla Grecia. = Ad ogni modo per compiacervi, come fui docile nel leggermi tutto l’originale corrispondenza dei Carbonari del foglio letterario di Londra; così in grazia vostra mi sono posto in corpo tutto il quaderno, rubando un’ora alla Repubblica Fiorentina di Messer Donato Giannotti che stava meditando.
Mi fermo intanto alla pag. 374., ove trovo ancora da questo Saccente attaccato come dal foglio di Londra, il Principe di Canosa. In questo tratto mi sono avveduto della vostra astuzia. Essendovi riuscito farmi ballare al suon dei Piffari nel riscontro dello Scrittore Inglese, vorreste provarvi ottenere lo stesso colla Minerva Napoletana, che rassomiglia tanto alla Greca, quanto il Leone terrestre al celeste.
Non ostante però che ci sia la più bella differenza tra i due antagonisti che, in epoca diversa, mi avete proposti, nulladimeno dichiarato essendomi ormai di già Paladino del Principe di Canosa, non voglio in grazia vostra ricusare questo nuovo cimento. Scendendo quindi nell’arena romperò ancora contro questo altro gagliardo qualche lancia, come praticai nella passata disfida. Vi dimostrerò dunque che la Minerva Napoletana con i manifesti suoi mendacj non fa che confermare ulteriormente ciò che ho scritto nei Piffari di Montagna, che il Principe di Canosa cioè è un galantuomo calunniato dai furfanti, i quali a suo dispetto vogliono fargli acquistare quella celebrità, di cui è stato sempre nemico. Ed osservate un poco se bene o male io mi apponga.
Principia la Minerva l’articolo contro il mio Cliente dicendo «Non ci fermiamo a parlare della Corte di Lucca degno asilo del Principe di Canosa». Domanderei ora a questa signora Minerva (che gli Scolastici invece di docens chiamerebbero utens) cosa significa in tutti i dialetti Italiani asilo? Se l’asilo non è se non un luogo di rifugio per i malfattori tanto che per i perseguitati, per non essere pronunciata da sconnesso insolente Pulcinella questa parola, bisognerebbe prima che due cose fossero dimostrate. Prima che il Principe di Canosa avesse contro di se una condanna che lo dichiarasse delinquente, e fuoruscito. Seconda che non avendo luogo in diversorio, fosse in Luccavandato a rifugiarsi sotto la protezione di quell’Augusta Sovrana. Siccome però né la prima posizione teoretica è vera; e la seconda di fatto non esiste, avvegnaché il Principe di Canosa non ha fatto mai domicilio in Lucca, ma sempre in Pisa e Livorno.
Dunque la cara Minerva o non sà la lingua Italiana, o pure invece di Minerva, avrebbe dovuto assumere l’epiteto di Mercurio, che invece della Sapienza era il Dio delle menzogne. Che se voglia dirsi che il Principe di Canosa in qualche giorno di gala si reca in quella Città per presentare gli umili suoi omaggi a quell’Augusta Sovrana, ciò è ben diverso dal fare domicilio in quella Città e molto meno l’averla scelta per asilo. Il Principe di Canosa se conoscendo i suoi doveri, rispetta tutti illegittimi Monarchi, rispettar dee maggiormente i Borboni, che tanto sono strettamente collegati in consanguinità col proprio Re e Signore. È proprio dei Filosofi moderni il non riconoscere doveri di subordinazione sociale, e molto meno di Galateo. Il Principe di Canosa però è un Filosofo all’antica, che mai, col variare delle vicende, ha mutato senti1nnentO.
Si lagna la Minerva che S. M. la Regina Duchessa di Lucca non abbia ricevuto il Cavalier Pescara, che si recò sino in Viareggio unicamente per presentarle una lettera particolare della Duchessa di Calabria, e di non avere risposto a S. M. il Re di Napoli ad altra lettera speditale già da tre mesi, e prosiegue dicendo m Così le avrà suggerito quel nostro benemerito Ministro di Polizia che da lei è tenuto in som mo favore. Ma sà la signora Minerva, che S. M. la Regina Duchessa di Lucca ha i suoi Ministri e i suoi Consiglieri di Stato?
Conosc’essa quali uomini esistono in quella sebbene piccola Città? Pure ne dovrebb’essere informata, avvegnaché reduci in Napoli esistono, al presente, taluni che colà fecero lungo domicilio. E sapendo tuttociò, cosa c’entra il Principe di Canosa, che non fu mai in Viareggio, e che non ha altri rapporti con quell’Augusta Principessa se non quello del più devoto umile rispetto? Circondata Sua Maestà da uomini rispettabili e gravissimi aveva bisogno di dirigersi al Principe di Canosa, che sta a Politica di moda, come il glorioso S. Cristoforo stava un dì a calzoni: qui passabat aquas sine bagnare bracas? Ma se la Minerva avesse voluto informarsi delle cose non avrebbe detti tanti spropositi. Il Signor Cavaliere Pescara passando da Viareggio non era che un semplice viaggiatore particolare, giacché la sua (infruttuosa ) missione diplomatica non era per quel Governo. Fu a Viareggio nel giorno che passava il Corriere di Spagna, cioè in un momento in cui S, M. la Duchessa doveva necessariamente essere occupata. Il Signor Cavaliere Pescara non potè trattenersi tanto che il Corriere fosse spedito, lasciò la lettera di cui era incaricato, e s’incaminò verso il Piemonte. Qual maraviglia è in questo naturalissimo avvenimento?
Nessuna: ed esso potrà sorprendere la Minerva, ma niun altro, che non sia simile a lei. Questo è un fatto pubblico, di cui ho potuto essere istruito con somma facilità, e ne sarebbe stato istruito anche il Giornalista se avesse voluto cercarne informazioni. Io me ne sono informato e lo dico, affinché abbiate anche in ciò una prova manifesta della malizia con cui questo Giornalista procura sempre di spargere dell’ombre e dei sospetti sulle operazioni più giuste e naturali dei Sovrani. Dell’altro gran lamento fatto dalla Minerva di non so quale lettera da S. M. il Re di Napoli scritta a S. M. la Duchessa di Lucca e da cui si suppone che non si sia fatta risposta; di questo gran lamento, dissi, io non parlerò perché ciò non può in verun modo essermi noto. Lasciando dunque star questo, torniamo al Signor Cavaliere Pescara.
Supponiamo che egli fosse indirizzato al Governo di Lucca con carattere diplomatico, supponiamo che la sua lettera fosse d’Uffizio (niuna delle quali cose è vera, come ho detto), che doveva fare in questo caso quella Sovrana? Dica la Minerva quale Corte Sovrana abbia ricevuto il Cavalier Pescara o altri Diplomatici Napoletani dopo la rigenerazione? Se dunque la stessa Francia e l’Inghilterra ha ricusato vederli, non è un voler farsi dare del corbello per il capo, anche dai più scimuniti, nel mostrarsi sorpresa della condotta della Corte di Lucca? e non è un voler attaccar brighe, e farsi cantare le calende, quella di enunciare che il Principe di Canosa (che non sa nulla di tuttociò ) sia stato il Consigliere? Ma non giunge con tutta la sua Minerva la Minerva Napoletana a comprendere, che data ancora l’ipotesi, che la Duchessa di Lucca avesse voluto ricevere il Pescara, e tenere una condotta diversa da quella di tutta l’Europa, non l’avrebbe potuto geograficamente eseguire? Che se non sono queste le sconcordanze in genere di politica, e il mancare negli elementi delle cose, ditemi, amico mio, cosa altro ci vuole per essere riconosciuto Iro, sebbene fatto siasi annunziare, e siasi vestito da Achille?
Un’altra parola però sullo stesso periodo della Minerva. Essa dice = Così le avrà consigliato quel nostro benemerito Ministro di Polizia = Che vi pare di quel benemerito? Essa cerca porre tal epiteto per antifrasi contro il Principe di Canosa, supponendo disonorarlo. Voi però (come chi che sia ) si avvedrà, che serve ciò per l’opposto a dimostrare maggiormente, come avete letto nei Piffari di Montagna, che sia egli un Galantuomo, Salutem ex inimicis nostris. Mi dica infatti la Signora Minerva cosa fece mai di tristo il Principe di Canosa nel tempo del suo Ministero? a chi cagionò male? quale persona fu da lui perduta? Qua ci voglion fatti e non vane parole, e ingiurie.
Se voi non vi perderete dietro quegl’insensati, che sostennero, e non provarono giammai, che era esso alla testa di una congiura, e che armati avendo con 2o. mila fucili tutti i Calderari voleva fare strage dei Massoni, dei Carbonari, dei Murattisti, non avrete cosa sentire contro il Principe di Canosa come Ministro di Polizia. Cortese con tutti; pazientissimo con la gente la più miserabile; pronto a dare udienza in tutte le ore, non insensibile con i bisognosi, facile a far piaceri a chi che sia, ecco quello che può dirsi del Principe di Canosa, e ciò che sarà attestato da tutti quei Napoletani che non sono Carbonari. Ma cosa avrebbe mai voluto la Minerva dal Principe di Canosa Ministro di Polizia?
Che si fosse fatto Carbonaro, e che avesse cooperato alla rivoluzione? Ma sia pure felicissimo stato l’esito di questa rivoluzione (che fa il più grande onore alla previdenza del Canosa;) sia divenuta la felicità di quel paese, e un oggetto caro al Principe, e alla Nazione, ditemi in buona fede poteva pretendersi dal mio Cliente, che contro il dato giuramento fatto si fosse Carbonaro? Può reputarsi sotto qualunque aspetto come una bell’azione quella di un Ministro, che sotto la considerazione di qualunque pubblico interesse tradisca il suo Sovrano, e il Governo di cui è membro? Da quando in qua è reputata canonica la teoria, che possa farsi il male per ottenere un bene?
Mi direte, l’hanno fatto Quiroga, Riego in Ispagna, Pepe, Menichini e tanti altri in Napoli. lo però nel momento che non fo il giudice di alcuno, vi dirò in primo luogo che l’autorità di persone particolari non possono senza logico sofisma, influire sul generale; vi dirò che la cosa è ben diversa considerandola in un Ministro di Stato, e finirò per conchiudere, che se una massima tanto fatale non venga repressa, le Società si scioglieranno, o per lo meno saranno sempre fluttuanti tra gli sconvolgimenti che ne’ tempi antichi producevano i Pretoriani, che altro non seguivano se non l’enunciata massima. Se dunque il Principe di Canosa non va a sangue della Minerva per non essersi fatto Carbonaro, ma essersi opposto alla rivoluzione, sarà in compenso lodato dall’onesta gente, e sarà forse questa la causa per cui Sua Maestà la Duchessa di Lucca l’onora di qualche suo favore come sostiene la Minerva. I biasimi di taluni sono spesso un grand’encomio.
Maggiormente mendace si fa conoscere la Minerva quando seguitando a parlare del Principe di Canosa, dice: = fa frequenti viaggi a Milano per prender gli ordini del General Bubna = Voi, amico mio, vivete in Toscana, e siete quasi sempre in Pisa. Informatevi ancora da tutti. Quando mai il Principe di Canosa è andato a Milano? Egli nella passata Quaresima fece una scorsa in Genova, e Milano, è vero, per far conoscere più che vedere al suo figlio quella bella parte d’Italia. Ma quale rapporto poteva quell’epoca avere con questa?
Fuori di quella volta quando mai Canosa si è allontanato da Pisa per soli tre giorni? Il Principe di Canosa inoltre non conosce personalmente il General Bubna, né in Milano lo vidde tampoco e nulla è più dimostrabile quanto ciò. Sa egli come tutti che sia colui uno dei primi guerrieri dell’Europa, ma fuori dell’idea astratta del merito di quel grande Uomo, non ne ha altra qualsivoglia di concreto. Ora ditemi quando si mentisce in cose di fatto, e si mentisce con tanta impudenza fino a questo segno, cosa convien conchiudere? Che ben. dicono i Piffari di Montagna che il Principe di Canosa è un galantuomo calunniato dai furfanti, e dalla più vile canaglia.
Ma quali sono gli ordini che va il Principe di Canosa a prendere a Milano dal General Bubna co’ suoi frequenti viaggi? Fertile di menzogne la cara Minerva vi toglie la curiosità dicendo: si dibatte come può per suscitare tra noi discordie, e rianimare l’estinto Calderarismo. Eccoci alle solite calunnie, non mai dimostrate. Ma se il Calderarismo come vi dimostrano i Piffari di Montagna non fu che una unione d’imbecilli pezzenti, che si disperse al primo urto; se la stessa Minerva l’assicura di già estinto, di quanta imbecillità si deve credere capace il Principe di Canosa nell’essergli saltato in capo di risuscitare un morto a tante centinaja di miglia lontano?
Ma cosa ha fatto per far rivivere quel quatriduano? Cosa ha scoperto la Minerva, i Carbonari, o il Demonio che prenda l’una e gli altri? Tutto è mistero; non si sa nulla, e pure tutto si asserisce, in tuono dogmatico. Ma vi pare in tutto ciò mirarci nulla della buona fede dei Cincinnati e Coriolani, le massime dei quali dicono professare? Dunque? Dunque sempre più hanno ragione i Piffari sebbene suonarono con due mesi di antidata.
Ma perché il Principe di Canosa vuole a dispetto del buon senso far risuscitare l’estinto Calderarismo? La saggia Minerva, vi cava da ogni dubbio dicendo «che il Calderarismo è il solo ausiliario ideale in cui l’Austria e fonda so le sue speranze.»Mirate di grazia se in nessun gabinetto di Storia Naturale possa esservi animale più raro della sedicente Minerva Napoletana! Io non entrerò in una discussione che non è del mio ripartimento, se cioè l’Austria faccia bene, o male. La condotta dei Sovrani la giudica Iddio.
Ma il sostenere che l’Austria abbia per solo ausiliario il Calderarismo, se non è una buffonata che non ha mai ardito dire pulcinella, lo lascio considerare a voi, come ad ogni Uomo cui sia rimasto un centesimo di cerebro. Come! una potenza come l’Austria, che solo in Italia tiene 15o mila soldati e non uomini; che formando uno dei rispettabili membri della Sacra alleanza tiene per suoi alleati le più grandi Potenze dell’Europa; che si muove dietro il buon accordo di tanti potentati ha per solo ausiliario ideale il Calderarismo, e ha bisogno del Principe di Canosa infelicissimo per essere favorita e soccorsa nei suoi disegni? Ma ditemi di grazia, corbellerie simili le avete mai sentite in ponte da nessun cavadenti, o le avete mai lette nell’opere dell’Abate Sperandio, o di Cacasenno? Eppure sono cosa è la Minerva Napoletana; e mirate un poco quale specie di avversarj ha la giustizia di Dio scatenati per tormentare il povero Principe di Canosa.
Che ha per altro fatto a costoro il Canosa, m’interrogherete, e perché tanto l’hanno con esso? Ancora in questo la Minerva vi appaga = Possa il Cielo (essa dice) perdonare a Canosa tutto il male che ha fatto alla sua patria. = Vedete bene dunque da ciò che il principio irritabile non ha origine se non dal santo amore di patria, di cui son caldi quei Marj redivivi. Ma qual male? Se tutto questo consiste nell’avere per sistema abborrito ogni rivoluzione, allora non gli ha fatto né male, né bene, e bramando che le cose fossero sempre rimaste nello stesso modo, lasciando che riformate le avesse chi ne aveva il dritto, non poteva fisicamente e politicamente fare alcun male.
Egli o a ragione, o a torto preferiva lo stato passivo della obbedienza = Civi si administratio reipublicae displicuerit (diceva Grozio ) nil aliud relictum nisi patientia aut emigratio = Perciò egli fuggì da Napoli nell’ingresso dei Francesi, e sempre si ritirò in disparte, quando le cose non andavano a suo genio. Così facendo non si può far male. Non si può dire così dei rivoluzionarj. Essi di fatti congiurando contro la legittima podestà, e strascinando in Napoli i Francesi nel 99 furono causa dell’Anarchia. Se è vero l’assioma che causa causae est causa causati, quanto a Napoli avvenne di male fu cagionato da’ Giacobini.
Essi li richiamarono di nuovo come dice la Storia, e proclamò Napoleone nel 1805. Essi nel 1815. furono causa di chiamare in Napoli l’Armata Austriaca per rimettere sul Trono il Monarca legittimo, che potevano benissimo essi stessi. andare a prendere in Sicilia. Chi dunque ha richiamati sulla Patria tutti i danni, il Principe di Canosa o i suoi nemici? Corrono ormai i cinque anni, che il Principe di Canosa ha abbandonato la sua Patria, e con grave dispendio e dolore di cuore se ne vive, per prudenza, in Toscana, Esso non sa cosa alcuna di ciò che colà passa. Intimatogli in nome del suo Re di prestare il giuramento alla Costituzione, che di libera e spontanea di lui volontà data aveva a’ suoi popoli, ha eseguito il Reale comando.
Il primo giuramento di fedeltà infatti dato al Re, l’obbligava al secondo, conseguenza del primo. I giuramenti posteriori di fatti non possono derogare gli anteriori, come conoscono gli studenti del primo anno, come i giuramenti che hanno in essi un vizio morale non possono divenire mai obbligatori = Ut valeat iuramentum oportet ut obliratio si licita. = Se dunque i suoi avversarj abbiano fatto il bene o il male della sua patria, non lo può decidere, come nessun altro, il quale non legge se non gli scritti di persone addette a partiti. Se dunque avranno ora fatto il bene di Napoli, l’esito lo dimostrerà, e il Principe di Canosa, sebbene non ci abbia cooperato nella menoma parte, sarà nulla dimeno contento nel mirare il bene del suo paese.
La Minerva però buttando la Sapienza sulle ortiche, termina il suo articolo imbrandendo l’asta, e sfavillando braci dal divino sembiante minaccia il Principe di Canosa. Sentiamo in qual modo si esprime la sapientissima figlia dell’Altitonante; e vediamo se mi riesca sorprenderla sul fatto, e farle confessare ciò, che non ha mai voluto di buona voglia dire. Riprincipiamo l’ultimo periodo in parte di sopra confutato «Possa il cielo perdonare a Canosa (che pietà vera di puro Cristianesimo) tutto il male che ha m fatto alla patria, che quanto all’avvenire sarà nostra cura di guarentirla dalle di lui offese.» E in nome di chi parlate Signora dalle di lui?
Se parla il Re; se parla il suo Vicario Generale; se parla il Governo, Canosa si tace, e Suddito rispettoso dopo avere esposte le sue discolpe, aspetterà rassegnato, il Sovrano Decreto, come sempre in ogni altro incontro a dispetto del suo stesso impeto ha praticato, posponendo sempre per sistema la causa propria al rispetto che Iddio, e la Società precetta a ogni cittadino avere verso la Somma Podestà. Fuori di Dio e del Rè sapete però Signora Minerva dalle castagne e fichi secchi, che il Principe di Canosa non teme alcuno, e non rispetta chi non lo tratta come conviensi? Sapete che poco si picca di teorie di moda, e sempre ha saputo conservare il suo rango?
Chi siete voi che in avvenire prenderete la cura di guarentirla dalle di lui? e come la guarentirete? Siete l’organo del Re, del Governo, della Nazione? Mostratemi i titoli del vostro dritto, Giangurgolo o Stentarello trasformato in Pulcinella! Di quali mezzi vi servirete per guarentirla dalle di lui? Siccome le lanci e la spada della giustizia non stanno in vostra mano, servirvi per necessità pensate di quelle del delitto. Saranno questi generosi, e delitti da Cavaliere, o quelli dei pitocchi assassini, de’ quali si servirono i pari vostri contro Kotezbue? Io conosco voi, e l’empio vostro patet exitus. Corbellerete tutti per Bacco, per corbellare però l’Autore dei Piffari di Montagna, che intus vi conosce et in cute; me la rido io.
A tale discorso peraltro la Minerva ricomponendosi pare che mi risponda Nò, non sono io l’organo né del Re, né del Governo, ma sono quello della Nazione. Voi sapete che essendo la nostra Costituzione Democratico-Monarchica come mille volte ho ripetuto, il Re sta lassù perché… in seguito vedrete basta… la Costituzione essendo Democratico… Monarchica la Sovranità si trova presso il popolo, e siccome il Sovrano è il Popolo, così io rappresentandolo ho dritto a fare al tristo Principe di Canosa, nemico della Patria, le riferite minaccie. Ma, Signora Minerva, voi state molto male a logica; avvegnaché per uscire da un bujo entrate nell’altro.
Vi replicherò dunque dicendovi, che nel caso che il Re obbligato avesse il Principe di Canosa a riconoscere la Sovranità non più in lui, ma nel Popolo, allora il Canosa avrebbe verso di voi ancora il dritto di domandarvi, che gli mostriate i titoli come Voi siate il rappresentante del popolo, ed abbiate quindi un giusto titolo per minacciarlo. Oh bella! risponde la Diva che non isdegna i pettegolezzi da trivio. Oh bella! non sapete forse che sono io l’organo dei Carbonari, che questi sono 8oo mila, e che si deve ad essi la nostra rigenerazione? Qua ti aspettava incauta. Dunque i Carbonari hanno fatto la rivoluzione? e siccome i Carbonari comandano, vi credete nel dritto di Carbonariamente e col patet exitus minacciare il Principe di Canosa, il quale non fu mai né citato, né inteso, né giudicato. È dunque vero quello che avete sempre cercato di negare, che una fazione cioè tiranneggiava. Ora sapete cosa vi rispondo io in nome del Principe di Canosa?
Che siccome ciò non costa dagli atti officiali diplomatici, o siete voi una bugiarda, o se pur dite la verità, trovandovi l’organo dei Carbonari vi dichiarate alla testa di una fazione condannata dal vostro stesso Governo. Imperocché siccome tutte le autorità dello Stato hanno giurato difendere, sostenere, e garantire la sola Religione Cattolica, così notoriamente condannati essendo sotto pena di scomunica maggiore i Carbonari, devono essere condannati implicitamente dal Governo, che non può mai sospettarsi non essere di buona fede, e non consentaneo a se medesimo. Ora se invece di 8oo mila colla solita ampollosità del favorito Capitan Spacca fossero Carbonari milioni d’individui, alla testa sempre voi sareste di una fazione, e fazione proscritta.
Se aveste, Signora Minerva Sapientissima, studiato un poco la scolastica, conoscereste la filosofica teoria, che la quantità non influisce mai sulla qualità, né il numero maggiore può mai giungere ad alterare la sostanza della cosa. Dodici ladroni che nelle mani cadono della giustizia, sono impiccati come cento, e mille. Che se i ladroni giungessero a formare un esercito, non perciò il sostanziale della cosa viene a cangiarsi, rimanendo in jure sempre nell’esercito dei ladroni il debito verso la giustizia penale, e il dritto nel Magistrato custode delle leggi di punirli. Questa controversia decisa alla unanimità dai Filosofi, Giureconsulti, e DD. del Naturale Dritto fecero dire al gravissimo Ugone Grozio = Hic exercitus non est, licet maximam praedonum multitudinem colligat = Un esercito perciò di ribelli è fuori del dritto delle Genti a tenore delle teorie conosciute per cui Grozio stesso unito a quanti mai scrissero sul Dritto e Ragion pubblica, dice che plectendus est jure pacis, non jure belli. Da ciò dunque, Signora Minerva, vi avvedrete della risposta che potrebbe darvi il Principe di Canosa.
Tutto egli rassegnato soffrirebbe dal Re, come ne ha dato mille prove, perché l’obbedire al Re gli viene comandato da Dio; siccome però questo Dio stesso per l’organo vero e legittimo del suo Vicario, del Romano Pontefice gli ha fatto sapere che nulla dee avere di comune con Voi che vi trovate scomunicati, così anzi che riconoscervi per suoi Superiori, vi distingue come nemici di Dio, e cacciati fuora del grembo dei fedeli. Quindi è che se non 8oo mila, ma una intera Nazione fosse tutta Carbonara, non meriterebbe il rispetto da chiunque religioso fosse,. e onesto cittadino. Ricordatevi del teorema testé citatovi, che la quantità non influisce sulla qualità.
Non una porzione difatti; ma tutti erano scellerati nella Pentapoli famosa, esclusa la sola famiglia di Lot. Il fuoco desolatore cadde però sopra tutti, né la universalità del peccare, rese agli occhi di Dio meno detestabile il delitto. Non una nazione, ma il Mondo intiero un dì si rese perverso. Non perché tutti erano scellerati, la scelleraggine perdé nulla del lurido suo sembiante. Iddio con un universale diluvio sommerse tutti. Signora Minerva, i principj del giusto e dell’ingiusto (dietro le teorie di Cudwort) dimostrò il Principe di Canosa in un suo opuscolo, che sono inalterabili come i geometrici.
Posta ancora la stoltissima ipotesi che Dio o non esistesse, o degli Uomini cura non si pigliasse, pure questi principj sarebbero ugualmente inconcussi come quello della uguaglianza del quadrato dell’Ipotenusa alla somma di quelli dei Cateti. Sia dunque qualunque il Governo Monarchico, Aristocratico, Democratico, Dispotico, Misto, quando i principj teoretici del giusto sono alterati, la Società non solo non ha dritto ond’essere rispettata, e obbedita da’ suoi Sudditi, ma ipso facto è nulla. Se veramente foste Minerva; se scevra di basse passioni, poteste fare uso della Ragione, vi avvedreste della forza dell’argomento inreluttabile. Nello stato a 13 di furore uterino per altro in cui vi trovate, vi richiamerà alla sentenza dei Maestri dell’arte di stato. = Frustra civile imperium paritur, si civium mores improbi sunt et ad fagitia proni. Civilis enim societas dissolvitur si non virtus sed vitia crassantur =. Ciò fu detto dal celebre vostro stesso D, Giuseppe Toscano.
Che se autorità di uomo più universalmente celebre e reputato ascoltare volete voi per convincervi, sentite quella del legittimo Ugone Grozio, che per il Padre del Naturale Dritto viene in Europa reputato. = Ubi injustus est Rex (dice quell’uomo sommo ed imparziale) = injusti optimates, aut ipse populus, non vitiosam, sed nullam esse rempublicam =. Se tirannico, ingiusto, nullo può diventare il Governo assoluto di un Re, più facilmente lo può divenire un governo popolare, o misto, in cui più facile da un lato è la corruzione, più atroce la tirannide. Cosa vene pare? Potete Voi, organo dei Carbonari proscritti dalla Podestà Spirituale, e Temporale imporne al Principe di Canosa?
Nè state a persuadervi che siate grugno da fargli paura. Rammentatevi del suo coraggio nel rimanere, per tre anni di seguito alla frontiera di Ponza poche miglia lontano da un nemico potentissimo, che aveva sul suo capo posta una taglia di Ducati 25mila. Rammentatevi della sua risposta fatta a Saliceti nella quale in un sol fascio pose e gettò sulle fiamme dell’infamia gli Eroi della prima e seconda rigenerazione, non escluso Bonaparte. Saliceti e la turba de suoi sicarj in vano ne fremette. Voi gli mandaste in cambio tre volte gli assassini. Non permise però Iddio ch’egli vittima rimanesse delle vostre infamie. Tale sicurezza, unita alle forze fisiche del suo corpo, e all’attività della sua mente vigilante, lo resero intrepido allora, come adesso. Se egli non è sicuramente un santo; santa però fu sempre la causa che difese.
Termino in tanto nel dare alla Minerva un consiglio come, nei miei Piffari di Montagna, diedi all’Estensore del foglio letterario di Londra. Signora Minerva, qual’è il vostro impegno, e qual’è il desiderio che nudrite? Se è quello di rendere felice la vostra Patria per quanto può una società umana augurarsi, sappiate che questa non consiste né nella Monarchia, né nella Democrazia; non nella Aristocrazia come tampoco nei governi misti. La forma diversa di essi non influisce un zero; e sotto le diverse forme possono gli uomini essere tanto felici che sciagurati; ed io mi appello alla storia dei Regni tanto che delle Repubbliche le più famose. Solo la religione e la virtù possono rendere felici gli uomini uniti in società, e qualunque siasi forma di governo si rende allora puramente indifferente.
Se dunque il vostro desiderio è quello di rendere felice il vostro paese disseminate i semi della virtù; richiamate gli uomini ai loro doveri; riconciliate fra di loro i nemici; siate giusta invece di essere calunniatrice; ricoprite col manto della carità i difetti dei vostri simili, e fate sparire i partiti. Voi però li fomentate, ed andate ancora a scuotere il giubbone alle fiere che dormono nel sonno della pace e della indifferenza. Cosa ne avverrà da un tale procedere? Io non voglio farvi il Profeta; ma sicuramente né migliori, né più felici renderete i vostri compatriotti. Per me vi prometto che sempre che la combinazione mi porterà sotto lo sguardo qualche sconnessa vostra diatriba contro il Principe di Canosa mio dichiarato Cliente, io vi restituirò sempre pane fresco per focaccia. Sappiate che io ho un inesauribile magazzino di materia tutta per Voi, e la sola fatica, che mi costa il rispondervi, si è quella dello scarto nella folla delle cose e delle idee
Inopem me copia fecit
Signora Minerva, spero che ci siamo intesi. Cessate di estrarre l’umido a coloro che si fanno i fatti loro, e che si astengono per fino di ridere sulle vostre fanfaronate, se non volete che vi sia in contracambio estratto tutto l’umido radicale, e fattane chimica analisi dimostrare le materie vere da cui viene composto. Se voi scrivete per far quattrini e acquistare riputazione demagogica, scrivo io per mio particolare prurito, e per la rabbia che provo nel mirare offesa la giustizia. Vedremo chi sarà il primo ad arrendersi, e chi otterrà dal pubblico disinteressato minor biasimo. Ricordatevi ancora di tutti i possibili che possono avvenire in questo mondo.
Esiste pure tra i vostri uno, che trovandosi il Principe di Canosa al comando delle Isole in Ponza si credè potere impunemente farsi giuoco della sua riputazione in un’arringa criminale. In seguito però, d’essergli accaduta una certa burla, se lo vidde dopo poco in Napoli Ministro di Polizia. Non aspettandosi giammai cosa cotale, ne rimase spaventato, pure si rammenterà che rinvenne nel Principe di il Cristiano, il Cavaliere generoso. Noi abbiamo veduti certi fatti veramente straordinarj. A rivederci adunque cara la mia Minerva Napoletana. Vi do la buona notte col cuore, giacché stanco e seccato penso andarmene a letto.
Mi perdonerete intanto, Amico, se io venendo alle prese colla Signora Minerva, direttomi ad essa, quasi mi 15 era dimenticato di scrivere e rispondere a Voi. Sapendo troppo il mio carattere fervido non diffido d’un benigno vostro compatimento. Eccomi dunque nuovamente a Voi. Nella vostra mi dite che molti. hanno lodato i miei Piffari, ma che mi hanno di due cose incolpato; di poco liberalismo cioè, e di soverchio Pretismo. Un breve cenno sull’una e l’altra accusa e termino d’annojarvi.
Se io mi fossi un Sovrano; se potesse mai passarmi per il capo il divenirlo; se fossi un Ministro di Stato, o mi potesse sembrare facile essere elevato in tale posto, dire si potrebbe che nel difendere la Monarchia, pensassi pure alla causa mia. Ma senza essere un pazzo non posso mai immaginarmi di diventare un Monarca; senza essere affatto scemunito non potrei la seconda cosa augurarmi. Un uomo difatti come me negato per carattere a ogni adulazione, non può per impossibilità politica reggere mai in corte, e fui sempre di ciò persuasissimo. Vi dirò anzi che il mio temperamento mi ha sempre chiamato allo stato privato e studioso, e la mia vita e le vicende di essa velo dimostrano. Dunque se sono per la Monarchia, devo essere intimamente convinto che la forma di tale governo è la più adattata per gli uomini, e di questa epoca in particolare Ma non è stato forse questo il sentimento di tutti i saggi considerando certi uomini, e certe epoche alle nostre similissime.
Non vi dice Strabone che. volendo i Romani far dono della libertà ai popoli della Cappadocia, vinto che fu Antioco, rimasero dai saggi di quella vasta regione persuasi, che i Cappadoci si sarebbero ammazzati fra loro, se dato non avessero ad essi subito un Re, che fu di fatti Ariobarzane? Non vi dice Tacito che gli Armeni dovevano essere piuttosto comandati dai Parti, che reggersi da loro stessi in repubblica? Non avete letto nella vita di Apollonio Tianeo di Filostrato, che i Traci, i Goti, e i popoli della Misia i quali erano ottimi cittadini sotto l’impero d’un Re, diventavano diavoli regolandosi da loro medesimi? Non ci rammenta Dion Cassio, che volendo Augusto ridare ai Romani quella libertà che tolta aveva loro Cesare, buttatosi a’ suoi piedi Mecenate lo sconsigliò da un passo che avrebbe cagionato l’estrema ruina di Roma, che non più virtuosa, non poteva più vivere in altro modo che nella forma Monarchica?
Non accadde lo stesso al riferire d’Erodoto tra gli Egiziani; terminato che fu il regno del Sacerdote di Vulcano? e lo stesso non abbiamo secondo lo stesso Storico avvenuto tra’ Persiani, che erano padroni di scegliere qualunque forma di governo dopo che dai Satrapi fu ucciso l’usurpatore Pseudo-Smerdi? Se i Satrapi consigliare volevano i proprj interessi, scelto avrebbero il Governo degli Ottimati. Discettarono pur essi moltissimo, ma prevalendo le teorie che ai popoli corrotti, non può convenire se non il governo d’un solo, e che i governi devono essere sempre in ragione inversa delle popolazioni, si decisero per la Monarchia sagrificando al bene pubblico le particolari passioni. Non negherò a voi, come a coloro che mi hanno condannato, che vi furono uomini, i quali a traverso di tali teorie hanno voluto operare diversamente, o perché non comprendevano cosa facessero, o pure (come suole per lo più avvenire) per un mascherato interesse particolare.
La storia però non vi dice qual’è stato l’esito di tali tentativi? Ci sono ancora stati Sovrani Filantropi, i quali con poco criterio politico, ma con tutta magnanimità e buona fede hanno voluto a popoli corrotti fare il dono della libertà. Cosa però n’ è avvenuto? Ancora la storia velo dirà. Io non la finirei mai se volessi citarvene gli esempj. Basterà rammentarvi quello di Meandrio che ci reca Erodoto nella Talia. Rimasto Sovrano di Samo dopo la morte di Policrate, si decise rendere Samo libera, come era il rimanente della Grecia continentale. Egli unì il popolo e gli fece il gran dono. Mille applausi, mille adulazioni, e mille lodi sul principio. Siccome però il popolo non era virtuoso non poteva far buon uso della libertà. Principiarono dunque le sedizioni, e chi fra gli altri passò pericolo di essere fatto in brani? Lo stesso Meandrio.
Fortunatamente rimanevano ancora in Samo i soldati di Policrate, i quali fedeli a lui, come lo erano stati al morto Re lo cinsero; e salvatolo dalle mani del Popolo lo condussero nella rocca, ove gli passò il desiderio di rendere (contro le teorie) libero un popolo corrotto, che pose in seguito a dovere. Persuadetevi: talvolta la stessa crudeltà giunge a essere un bene, perché preserva da mali maggiori. Se ciò dunque c’insegna la Politica, e ci fa conoscere la storia, con qual ragione mi attaccate voi e altri d’illiberale? Io non ho se non esposto il mio libero sentimento; né alcun particolare interesse ha potuto muovermi ad estrinsecarlo. Voi anzi che conoscete le vicende della mia vita, sapete benissimo che sono io stato sempre per l’opposto la vittima della prepotenza ministeriale. Se dunque consultare voluto avessi le mie passioni, tutt’altro avrei dovuto scrivere e sostenere. Nel dichiararmi però il Campione del calunniato Principe di Canosa, non mi sono dimenticato di essere quello della verità, e questa è quella ghe difende.
Dite precisamente lo stesso dell’accusa del Sono forse io un Vescovo un Cardinale? Posso forse divenirlo?Ho rapporti di sorte alcuna colla Corte di Roma? intrighi coi preti o co’ frati per credermi uno scrittore prevenuto o comprato? Dunque ho scritto ciò che mi detta il cuore dopo uno studio ed esperienza di tanti anni. Per attaccare per altro me di fanatico, fa mestieri attaccare prima tutti i saggi e i politici dell’antichità.
Che se pur io un Cattolico Romano non fossi (quale mi vanto essere) pure ragionandola da politico sostenuto avrei la stessa dottrina come quella che sola può condurci alla tranquillità civile. Imperciocché siccome hanno tutti i politici creduto necessario, che sparsi nel popolo esistano personaggi, che lo muovano a seconda delle politiche mire, e dei voleri del governo, ed acciò questi possano ottenere un tale intento è necessario, che questi godono l’intiera sua fiducia, così ho sempre io declamato in favore dell’Aristocrazia, e degli Ecclesiastici.
Per ottimo difatti che sia un Monarca, e ottimi egualmente i suoi Ministri, non è possibile che questi acquistino la fiducia del popolo, ed essendo pochi, nel caso ancora che giungessero ad acquistarla, non basteranno mai per l’intento. Ci è dunque bisogno per necessità di mezzo conservativo, che esista una classe numerosa, la quale credendosi indipendente dagl’interessi del governo, riscaldi per essi l’animo del pubblico.
Ecco la causa politica della protezione dei Principi più rispettabili e dei governi più saggi dell’antichità, per l’Aristocrazia e per il Clero, da cui riceverono immensi servigi. Carlo Magno non era né un santo, né tampoco un buon cristiano. Il suo divorzio colla virtuosa figlia del Re Desiderio ce lo dimostra. Perché dunque fu il protettore della Chiesa? Per i particolari suoi interessi politici. Quando Carlo Magno con tutte le sue forze non potè giungere a domare lo spirito rivoluzionario dei Sassoni, come si cavò fuori da quel gravissimo imbarazzo?
Col mezzo della Chiesa. Mandò in Sassonia undici vescovi ad evangelizzare, e i Sassoni, buttando le armi, diventarono sudditi fedeli, nel momento stesso che diventarono Cattolici. I Sovrani si finsero tante volte increduli per accreditare la Religione. Credete voi che quel Re di Roma non fosse d’accordo coll’Augure, che col rasojo tagliò la cote come ci reca Tito Livio? Egli fingeva di essere incredulo onde vinto dall’Augure, accreditare maggiormente potesse la religione tanto necessaria a un popolo feroce.
Ma di tali esempi tanto antichi, che moderni, tanto nel vecchio quanto nel nuovo mondo quanti mai potrei rammentarvene per confermare il politico mio assunto? Nè mi stiate a dire con taluni che sono ora tempi diversi, che gli uomini sono illuminati, né più credono, come gli antichi, a certe frottole. Questo è precisamente il discorso di coloro, che il mondo non conoscono, né la politica. I tempi sono sempre gli stessi, il popolo è lo stesso, e se non lo fosse, bastano dieci anni d’impero d’un saggio per farlo diventare come si vuole. Oh bella! ‘ un popolo illuminato che si è mille volte fatto corbellare da Cagliostro, di cui si è preso gioco Mesmer,
MLavater, e tanti bricconi che si finsero, per ingannarlo, democratici, non si farà persuadere da dotti uomini, i quali cercheranno di fare loro risuscitare nello spirito le massime di una religione piena di sapienza, di unione, di verità, com’è la cristiana? Lasciate che i Missionari girino, fate che i giubilei siano frequenti, mostrate al popolo pubbliche penitenze, ed abjure e vedrete se ciò farà un effetto migliore e più rapido di mille desolanti pulizie. Cosa hanno nei tempi andati saputo fare i preti!
Tutto il male consiste nel non voler lasciar fare ai Preti il loro mestiere (parlando politicamente) nel porre intoppi nell’esercizio del loro ministero, nel mescolarsi in esso le persone che non ne hanno la missione, e che fanno sospettare quel concerto, e quella influenza che guasta tutto. Ricordatevi che il Paganismo terminò di esistere quando il mondo si avvidde che gli oracoli Filippizzavano. Costantino volle talvolta mescolarsi negli affari di Chiesa.
Egli lo fece per tutt’altro oggetto che per ambizione. Egli non voleva se non il bene di quella Chiesa di cui era l’Imperator primogenito. La messe però non era sua e calpestava, e guastava in vece di seminare. Confessò egli stesso che aveva fatto più male che bene. Amico mio bisogna che ciascuno faccia il suo mestiere, anche politicamente parlando, Trattando poi la questione da Cristiano, la cosa non ammette controversia, e scemunitaggini si sono dette sempre in contrario confutate mille volte e in cento modi. Havvi tra queste quella di aver paura dei preti. Amico mio io non ho mai veduto che nessun Vescovo abbia alla morte condannato un Re mentre coloro che hanno gridato all’arme contro i preti, e li hanno posti in sospetto, hanno poi decapitato i Re. In somma, Amico mio, terminiamola. Se entro di fatti in materia non la terminerò più. Non volendo perciò abusarmi ulteriormente della vostra gentilezza passo devotamente a ripetermi.
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