Anticipazione/ sul periodico Gurù l’intervista sul brigantaggio postunitario
CASSINO – E’ in uscita “Gurù”, periodico dell’Alta Terra di Lavoro. Per i lettori del nostro blog lanciamo una succulenta anteprima pubblicando l’intervista che Giorgio Giovinazzi ha realizzato all’amico Fernando Riccardi, giornalista e storico autore del libro “Brigantaggio postunitario. Una storia tutta da scrivere”. Tema dell’intervista è proprio il brigantaggio, fenomeno analizzato nel dettaglio tra motivazioni, personaggi e fatti salienti di uno dei periodi più tormentati del nostro Sud. Gli anni dell’occupazione militare, seguiti alla conquista delle Due Sicilie, gli eccidi, i massacri, le violenze che precedettero le ingiurie, le infamie, il sottosviluppo e l’emigrazione. Ringraziamo gli amici di Gurù per l’anticipazione e vi auguriamo buona lettura.
Inquadriamo storicamente e sociologicamente il problema
“Il brigantaggio, con riferimento a quello del periodo postunitario, infiammò tutto il meridione d’Italia, con la sola esclusione della Sicilia, dopo la venuta dei garibaldini prima e dei piemontesi dopo nel sud della Penisola. Tra recrudescenze ed assopimenti andò avanti per dieci lunghi anni, dal 1860 al 1870, ad anche di più. A dimostrazione che non si trattò di un fenomeno puramente delinquenziale come per tanto tempo ci hanno fatto credere. Alla fine di una lotta durissima e senza esclusione di colpi su entrambi i fronti, una vera e propria guerra civile aspra e sanguinosa, con italiani che combattevano e uccidevano altri italiani, nel sud d’Italia sono rimaste ferite profonde e lacerazioni insanabili che hanno alimentato in maniera fin troppo evidente il fenomeno dell’emigrazione, un altro dramma tipicamente meridionale. Se oggi ancora si parla di una ‘questione meridionale’ ben lungi dall’essere risolta le cause vanno fatte risalire anche e soprattutto a quel terribile decennio quando le popolazioni del sud vennero oltraggiate, derise, vilipese, calpestate e trattate alla stregua di incivili tribù aborigene dell’Africa nera”.
Le motivazioni che portarono la gente del meridione a parteggiare per i briganti
“Nel decennio postunitario si verificò un qualcosa che mai si era visto nella lunga e tribolata storia del meridione. La gente, la gente normale, stanca di subire sulla propria pelle angherie e vessazioni, si ribellò violentemente ad uno stato di cose ingiusto ed iniquo, molto più di quello che avevano sopportato in precedenza. I nuovi padroni scesi dal nord si dimostrarono subito prepotenti, dispotici, arroganti. Venivano nel sud ad imporre leggi, usi, costumi che non appartenevano al meridione. E li imposero con la forza delle armi, a suon di fucilazioni e deportazioni. D’altro canto i meridionali erano ‘affricani’ e come tali andavano trattati. Fu per questo che scoppiò virulenta e selvaggia la rivolta. ‘Fummo calpestati e ci ribellammo’ così scrisse Carmine Crocco, il più famoso dei briganti postunitari, nel suo diario. Un intero popolo prese le armi, salì in montagna e si oppose all’invasore piemontese. A quel tempo, come ebbe a scrivere Franco Molfese, le genti del meridione non avevano molto da scegliere: potevano vivere in ginocchio oppure morire in piedi. In molti, in quel drammatico decennio, scelsero consapevolmente di morire in piedi, di morire da briganti”.
Gli errori e le ipocrisie della storiografia tradizionale
“Non si è trattato di errore ma di una impostazione fortemente voluta. La vulgata storiografica dominante per tanto tempo ha tenuto nascosta o minimizzato la verità sul brigantaggio. E lo ha fatto scientemente. Non si voleva, infatti, intaccare in nessun modo la luminosa parabola che portò nella seconda metà del XIX secolo all’unità d’Italia. Né si voleva correre il rischio di far passare in secondo piano l’azione ‘eroica’ dei vari Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II di Savoia, i cosiddetti ‘padri della patria’. Sulle loro mirabolanti imprese non dovevano addensarsi ombre o macchie di sorta. Per questo non si doveva parlare della guerra civile che infiammò il meridione dopo l’unità e che venne debellata solo dopo dieci lunghi anni. E se proprio non si poteva fare a meno di parlarne, allora la vicenda andava sminuita, ridimensionata e, soprattutto, ridotta ad una mera estrinsecazione delinquenziale, senza alcuna connotazione di natura sociale e politica. Per fortuna le cose sono cambiate e oggi si tende ad analizzare questo fenomeno con più attenzione e meno pregiudizio. Grazie anche agli studi faticosi di chi ha speso la sua vita, primo fra tutti Franco Molfese, alla ricerca di una verità storica che non poteva tardare più di tanto a venire fuori. I ringhiosi molossi dell’ortodossia risorgimentale sono stati costretti a battere in ritirata ed a piegarsi alla forza proprompente ed inarrestabile di quella che da più parti viene chiamata operazione verità”.
E’ possibile oggi avere un’idea corretta e non politica del fenomeno?
“Ogni accadimento storico è indubbiamente anche politico e come tale va inquadrato. Quando però si tende a falsificare la realtà storica, quella realtà che promana dai documenti di archivio che vengono fuori ormai a getto continuo ed in quantità industriale, si compie un’opera di gretta ed inaccettabile mistificazione. Per tanto tempo sul brigantaggio è stata calata una densa patina di oblio. Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate e con il passare del tempo, sono convinto, che miglioreranno sempre di più. Ormai il meccanismo è stato messo in moto e non si potrà più tornare indietro. Anche perché la verità è sempre difficile da soffocare e prima o poi torna a galla. Se ciò è stato, e sarà, possibile, il merito va soprattutto a chi tanto si è speso in tale direzione ed è andato avanti per la sua strada senza aver paura di subire stroncature, umiliazioni e reprimende da parte di chi è ancora convinto di essere il depositario assoluto ed incontrastato della verità storica”.
Cosa consiglia a chi vuole iniziare a saperne di più sul brigantaggio? Dove e come documentarsi?
“Innanzitutto è indispensabile mettere da parte i testi scolastici, o almeno una gran parte di essi, che sono ancora imbevuti di retorica risorgimentale fino al midollo e che, pertanto, offrono un quadro artefatto del brigantaggio. Un aiuto prezioso può venire dalla lettura di libri improntati al revisionismo che, in quanto tali, offrono una versione non convenzionale, ma proprio per questo più calzante alla realtà, del fenomeno. Anche in questa direzione, però, è bene procedere con molta cautela e con i piedi di piombo: non tutti i testi cosiddetti revisionisti, infatti, hanno il pregio della attendibilità storica. Per cui, a mio avviso, chi vuole documentarsi su tale fenomeno, che è molto complesso e che offre una miriade di sfaccettature e di implicazioni difficilmente inquadrabili in categorie stereotipate, deve per forza di cose iniziare a frequentare gli Archivi di Stato. Qui potrà trovare un mare sconfinato di documenti che, pur provenendo in larghissima parte da fonti ben precise e tutte collocabili sul fronte dei vincitori (polizia, esercito o prefettura), tuttavia riescono ad inquadrare il fenomeno con sufficiente chiarezza. E’ proprio dall’analisi accurata di questi documenti che si riesce ad avere un quadro preciso sui ciò che accadde nel meridione della Penisola in quel drammatico decennio che seguì l’unificazione. Da lì e solo da lì si deve partire per intraprendere un percorso scevro da condizionamenti di sorta e da perniciosi retaggi di natura ideologica”.
Da dove viene la sua passione per questi temi?
“Dalla convinzione che il periodo risorgimentale non è stato tutto rose e fiori, specialmente per il meridione d’Italia che ha pagato un prezzo pesantissimo al processo di unificazione. Indagando su quelle vicende mi sono ben presto ed inevitabilmente imbattuto nel brigantaggio che mi ha subito affascinato. Sono rimasto colpito soprattutto dalla lotta disperata, senza quartiere e senza speranza, che i contadini del meridione hanno ingaggiato con i soldati piemontesi. Dal coraggio con il quale molti figli del sud sono andati a morire per difendere la loro patria, la loro famiglia, la loro religione, i loro costumi, in una parola la loro dignità che veniva spietatamente calpestata da stranieri venuti dal nord che pure li chiamavano fratelli. Sono trent’anni che mi occupo di brigantaggio e ogni volta che leggo un documento di archivio mi emoziono e mi stupisco. E non posso non andare con il pensiero a quei tragici giorni che si conclusero con un immane bagno di sangue. Un bagno di sangue che poteva essere evitato e che invece si volle consumare fino all’ultima goccia. E’ proprio da allora che sono cominciati i guai, i problemi per il meridione, quei problemi che ancora oggi, sia pure a distanza di un secolo e mezzo, fanno sentire nitide e tangibili le loro nefaste conseguenze”.
Giorgio Giovinazzi
fonte
Istituto Ricerca Storica delle Due Sicilie