Asia Argento e la società dello spettacolo
La nostra è una società malata e la sua malattia si chiama “spettacolo”.
Nell’epoca in cui viviamo questa malattia si manifesta con un sintomo tanto evidente quanto inquietante: la finzione ha invaso la realtà fino a trasfigurarne i contorni. Producendo, in questo modo, un magma indistinto all’interno del quale diventa impossibile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, poiché verità e falsità si sono mescolate fino a produrre una grande rappresentazione dal cui palcoscenico risulta assente proprio la realtà.
Lo vediamo quando accadono dei fatti di cronaca sconvolgenti, che generano un dibattito schizofrenico e per nulla in grado di pervenire a un giudizio sensato.
Lo spettacolo, un po’ come avviene in televisione, richiede infatti la divisione netta in squadre di fanatici tifosi del bianco o del nero, della dannazione oppure della salvazione di questo o quell’altro personaggio. Santi, eroi ed onesti da una parte; diavoli, traditori della patria e fuorilegge dall’altra. Bisogna soltanto scegliere da che parte schierarsi e tale scelta è lasciata perfettamente libera.
Purché non si commetta l’unico peccato non ammesso dal sistema spettacolare: quello di usare la ragione, di applicare la categoria hegeliana della “distinzione” e rifiutare l’aut-aut del Bene e del Male, inceppando così il meccanismo della grande giostra. Un meccanismo che ci vuole relegare al ruolo di fanatici tifosi di squadre contrapposte, perché in questo modo, mentre noi ci danniamo a parteggiare per i bianchi o per i neri, ci precluderemo da soli la possibilità di comprendere. Mentre saranno sempre e comunque altri a giocare effettivamente la partita. I grigi, che non a caso abitano quella zona grigia tenuta nascosta ai più, e dove invece risiedono gli elementi per comprendere effettivamente le questioni.
È un meccanismo che abbiamo visto anche in questi giorni, dopo che un influente produttore di Hollywood è stato accusato di aver costretto a rapporti sessuali svariate attrici, fra cui l’italiana Asia Argento, che ha ricordato gli episodi accaduti vent’anni fa.
Da qui è partito subito il coro dei tifosi fanatici: da una parte i “rabbiosi”, coloro che hanno vergognosamente apostrofato l’attrice italiana (fra essi molte donne), definendola una “troia” che ha fatto ciò che voleva pur di garantirsi parti importanti in diversi film (peraltro a fronte di una capacità attoriale su cui è lecito avanzare qualche perplessità).
Dall’altra i sacerdoti della facile morale, che hanno preso a pretesto questo episodio per denunciare la condizione di strumentalizzazione, subordinazione e violenza a cui sono costrette molte donne dagli uomini.
Ora, non v’è dubbio sul fatto che l’abitudine inveterata che molti uomini di potere hanno sempre avuto di farsi forza della loro posizione per richiedere alle donne (ma anche agli uomini) favori sessuali in cambio di un tornaconto, rappresenta una piaga umana e sociale che va combattuta in ogni sede e con tutte le forze a disposizione, compresa ovviamente quella giudiziaria.
Ma che si provi a far assurgere un’attrice, in questo caso Asia Argento, al ruolo di paladina delle donne che subiscono molestie dagli uomini, di potere o meno che siano, rappresenta una distorsione inaccettabile.
Innanzitutto perché l’attrice ha comunque ottenuto quello che, volente o nolente, rappresenta un imperativo categorico del mondo dello spettacolo: salire agli onori della cronaca e ottenere visibilità. Del resto, il teorico della società dello spettacolo (Guy Debord) aveva chiaramente spiegato come in essa “tutto ciò che è, appare, e tutto ciò che non è non appare”, insegnandoci come nello star system se smetti di apparire, quindi anche salendo alle luci della ribalta, ti trasformi in una stella spenta, già morta prima ancora di oscurarti del tutto.
L’impressione, piuttosto, è quella che Asia Argento (e con lei molte attrici che hanno denunciato l’evento con colpevole e ipocrita ritardo) abbia finito col prostituirsi una seconda volta, stavolta da “adulta” e in maniera più grave. Piegandosi sempre allo stesso sistema, quello in cui è risaputo che chi vuole beneficiare delle ricchezze prodotte dal mondo dello spettacolo deve scendere a compromessi spesso di natura anche fisica.
Ma la cosa più grave è che lo stesso sistema mediatico, che è un grande meccanismo finalizzato alla produzione di icone e, in ultima analisi, di profitti economici, stia provando a far passare coloro che ottengono la celebrità scendendo a compromessi come delle vittime ignare che assurgono al ruolo di emblema delle donne discriminate e sfruttate.
Ciò risulta altamente ingiusto e diseducativo nei confronti di quelle donne che, senza le luci della ribalta (e senza le ricchezze che ne derivano), subiscono nella quotidianità più oscurata e rimossa soprusi, violenze e discriminazioni senza avere a disposizione alcuna scelta, e senza poter disporre di un tornaconto che gonfia oltremodo la loro celebrità e il loro conto in banca.
Sono loro le vere vittime, come lo sono quelle attrici (e quegli attori) che non si sono piegati a compromessi e, perciò, hanno visto bloccata la propria carriera vedendosi scavalcati sa persone magari meno talentuose e di sicuro più spregiudicate.
La lezione che se dovrebbe trarre è una soltanto: non è dal regno della finzione, da questa grande giostra che sempre più sta colonizzando ogni aspetto della nostra vita, che possiamo trarre lezioni che fungano da insegnamento o salvezza per la realtà.
La società dello spettacolo, malgrado le sue luci abbaglianti e suggestive, è il riassunto di tutto quello schifo da cui un’umanità sana ed equilibrata dovrebbe fare di tutto per liberarsi. Possibilmente senza alimentare nuove giostre e nuove finzioni.
Paolo Ercolani
fonte blog.espresso